21 maggio 2015

Lettere sulla scuola: n.2 – Tre tipi di docenti: maestri, indocenti, indecenti

Il giornale La Stampa mi ha affidato la rubrica delle lettere per questa settimana, il tema è la scuola. Ecco la seconda. Le trovate sul sito del giornale nella colonna di destra nella rubrica “Secondo me”. 

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Caro prof,

non sono più una studentessa delle scuole superiori da ormai due anni – frequento il secondo anno di università, facoltà di Scienze Politiche a Bologna – ma vorrei raccontarle i 5 anni migliori della mia vita.

Per mia fortuna sono capitata in una classe che fin da subito è stata unita e che è riuscita a trovare un suo equilibrio. Eravamo in 24, 17 ragazzi e 7 ragazze. Ci sentiamo ancora e ogni tanto (salvo impegni) ci incontriamo anche se siamo sparsi per l’Italia e per il mondo. Grazie tecnologia!

Ma non è stato tutto rose e fiori, abbiamo dovuto affrontare i nostri problemi con alcuni professori. Sì, perché alcuni di loro arrivavano in classe, aprivano il registro, firmavano e poi giocavano con il cellulare per tutto il tempo. Altri nel bel mezzo dell’anno scolastico prendevano un mese di ferie e lasciavano a poveri, giovani e inesperti sostituti il compito di insegnarci qualcosa. Ovviamente, e mi dispiace dirlo, io perdevo il «filo» e quando il professore tornava dovevo studiare il doppio. C’erano poi insegnanti che invece di chiamarci con i nostri nomi o cognomi utilizzavano dei nomignoli, a volte offensivi, e altri che credevano di essere preparati quando invece dovevamo correggerli noi.

Parliamo anche della pessima organizzazione nelle scuole: sa quanto tempo abbiamo impiegato per avere il permesso di fare una gita di 3 giorni? Due mesi. E alla fine non siamo andati neanche nella città che volevamo. Oppure di tutte quelle circolari che non ci sono mai arrivate e che si sono perse nei meandri oscuri della segreteria… è normale che la segreteria sia aperta solo 3 giorni alla settimana per 2 ore? Beh, nella nostra scuola lo era. Vogliamo parlare delle due ore di ginnastica alla settimana? La maggior parte del tempo le utilizzavo per studiare e, ammetto, la colpa è anche mia… ma mai una volta che il professore mi abbia invogliato a partecipare ad una partita di pallavolo.

Le ho detto che avrei parlato dei 5 anni migliori della mia vita e lo sono stati grazie ai compagni, ma anche a quei professori che sono ancora per me fonte d’ispirazione. Che mi hanno sostenuta, mi hanno fatto credere in me stessa, mi hanno invogliata a studiare, perché non c’è nulla di più bello di imparare e conoscere cose nuove. Li ringrazio ancora perché, durante la maturità, sono stati un sostegno per tutti noi, con messaggi d’incoraggiamento, gruppi di studio e tanto altro.

Caro prof, la lista dei vorrei è lunghissima, ci sono tantissime cose da cambiare nella scuola. Vorrei più professori così, motivati, vorrei più ore per scienze, musica, geografia (guarda mai «L’Eredità»? Mi è capitato di sentire che Trento si trova in Puglia…). Vorrei scuole più sicure, vorrei presenza e non assenza, vorrei rispetto per tutti. Vorrei più contatto con il mondo del lavoro (mai sentito parlare del sistema scolastico svizzero?), vorrei vedere la faccia degli studenti di oggi soddisfatta. Mi sono dilungata troppo forse… ma questa è la mia buona scuola.

Ale

Gentile Ale,

la tua lettera (una delle centinaia che da anni ricevo sull’argomento) fa emergere un dato incontrovertibile: la scuola sono i professori, nel bene e nel male. «Ogni cosa che ho imparato dalla viva voce dei miei insegnanti ha conservato la fisionomia di colui che me l’ha spiegata e nel ricordo è rimasta legata alla sua immagine. È questa la prima vera scuola di conoscenza dell’uomo». Così lo scrittore e Nobel Elias Canetti ne «La lingua salvata» definiva l’essenza della scuola: la viva voce e l’immagine dell’insegnante.

Prima ancora di qualsiasi scontro sul merito, i cui toni offuscano persino la constatazione della realtà (può mai bastare come unico criterio di merito per avanzare in carriera la sola anzianità di servizio?), riporterei il discorso a monte del merito: sulla professionalità. Per i docenti che descrivi all’inizio della lettera non si tratta di meritare o demeritare: occupano un posto indebitamente.

Ecco dove troveremmo impiego per i giovani o i precari che vogliono diventare insegnanti e si vedono sbarrare le graduatorie, perché i loro posti sono occupati da persone che non lavorano e che è impossibile allontanare (solo in questo caso vorrei il preside-sceriffo…). Sono quelli che io chiamo «indecenti».

Poi c’è la seconda categoria che descrivi: quella degli insegnanti dotati di professionalità – non parlo di carisma, che se c’è è meglio, ma che è dono che non tutti hanno – sono quelli che conoscono il mestiere e che voi ragazzi sapete riconoscere subito (perché tanta paura di essere giudicati da voi? Chiedo sempre ai miei studenti alla fine dell’anno di scrivermi che cosa ho fatto bene, che cosa male, che cosa posso migliorare e ne traggo gran beneficio), quelli che non fanno sconti, che danno più del dovuto e chiedono altrettanto, che sanno guardarvi in volto, sfidandovi a dare il meglio, riconoscendo talenti e difetti (questo volete: maestri, non compagni di giochi). Questi io li chiamo «docenti in atto»: ne ricordiamo almeno uno nel nostro percorso.

Tra le due si colloca una categoria, che io chiamo «in-docenti»: hanno professionalità ma, stanchezza, burocrazia, età, difficoltà ambientali, hanno spento il motivo per cui sono diventati insegnanti. Per questo anche se sanno, non riescono a trasmettere. Per migliorare la scuola bisogna alleggerirla degli indecenti, premiare i docenti e aiutare gli in-docenti a ritrovare smalto per evitare che scivolino nell’apatia.

Per concludere, è vero serve contatto con il mondo del lavoro, ma in modo indiretto: perché hai scelto Scienze Politiche? Perché qualcuno ti ha fatto scoprire dove si indirizzava il tuo sguardo, dove potevi impegnare il tuo talento. È mai possibile che dopo 13 anni di percorso scolastico un ragazzo non sappia verso dove guardare? Se lavorare o frequentare l’università? Quale facoltà scegliere? Io credo che orientare, non solo spiegare e valutare, faccia parte della professionalità di un docente, perché istruire ed educare non si possono separare.

La Stampa, 20 maggio 2015 – link alla rubrica 

***

PS. sulla mia pagina facebook in seguito a questo scambio di lettere ho ricevuto attacchi, offese, calunnie, soprattutto da colleghi. Ribadisco quello che ho scritto sulla mia bacheca: “Grazie per tutti i vostri commenti. Naturalmente sorvolo sui luoghi comuni, sulle calunnie (lettera falsa) e sul cercare a tutti i costi di rinchiudermi in un angolo come pro o anti-renziano. Cerco di ragionare su singoli fatti e non mi importa niente se siano pro o contro, perché i fatti non sono di destra né di sinistra, e non lo sono neanche i ragionamenti basati sui fatti. Basta leggere l’articolo di ieri e quello di oggi senza pregiudizi. Quello di oggi parla chiaro e si limita a descrivere uno stato di cose molto diffuso. Ho frequentato la scuola pubblica, mi sono laureato alla Sapienza, ho un dottorato in lettere classiche, ho vinto un concorso per entrare alla Scuola di Specializzazione per l’insegnamento, poi durata due anni. Sono entrato in graduatoria. Per tutto questo mi sono trasferito da Palermo a Roma e poi da Roma a Milano. Aspetto di entrare di ruolo nella mia classe di concorso (A052: campa cavallo… aspettativa di almeno 15 anni) come tutti quelli che hanno compiuto un percorso regolare. Parlo della scuola che vedo, anche grazie al fatto di aver girato tanto, aver incontrato tantissimi ragazzi e di ricevere da anni tantissime lettere da studenti, genitori, insegnanti. Rimango stupito dalle reazioni livorose e ad personam, quasi che non si sia capaci di argomentare nel merito. Io cerco solo di ragionare, se non siete d’accordo argomentate le vostre idee con serenità. Evitate facili etichette, sospetti, calunnie. Non servono a nulla e offrono uno spettacolo francamente triste. Se poi invece questo fa stare meglio chi offende, vi mando un grande abbraccio e abbiate pazienza se vi ignoro, ma il tempo è poco e non posso sprecarlo per difendermi da certi attacchi.”

6 risposte a “Lettere sulla scuola: n.2 – Tre tipi di docenti: maestri, indocenti, indecenti”

  1. Alfio ha detto:

    Istruire ed educare sono due parole-chiave, anzi le chiavi di volta di ogni discussione sull’istruzione.
    Sarebbe bello che questo processo lo si percorresse, ogni tanto, a carte scoperte, senza rigurgiti di autoritarismo, da una parte, e strascichi di posticcio sessantottisimo dall’altra.
    Sarebbe bello se, prima ancora di Manzoni o Dante, si mettesse sui tavoli, ben aperto e gli occhi sgranati, la Lezione dei Maestri di Steiner.
    Quante cose ci sono ancora da scoprire, lì dentro. Sui ruoli. E sull’Educazione.
    Eh sì, una volta tanto un prestito dall’inglese, può fare la differenza.
    Bel blog, Alessandro.

    • Prof 2.0 ha detto:

      Grazie, Alfio. Amo quel libro di Steiner, come quasi tutto quello che ha scritto. In questa linea direi anche “Errata” e “Vere presenze”. Lì c’è la riforma dei contenuti della scuola e il nesso tra educare e istruire.

    • savonarola ha detto:

      certo STEINER puo’ essere importante (come tanti altri!!|) ma la cosa piu’ importante è quella di mettersi in gioco ,ogni giorno e con tutte le classi. Purtroppo ho visto troppi colleghi vivere di autoreferenzialità e di scarso desiderio di aggiornarsi ( per pura comodità !!!!)

  2. Alfio ha detto:

    Per quanto ci tocchi essere sempre “assolutamente moderni”, e tocchi anche ammettere che i processi formativi non sono figli dell’idealismo dell’Emilio di Rousseau, ogni tanto si può tirare fuori dal cappello Giovanni Gentile e, senza colpo ferire, ricordare: ” (l’educare) è un’azione spirituale, la quale lega indissolubilmente due spiriti”.
    Grazie dei consigli steineriani. Ne farò buon uso!

  3. Pepita Jimenez ha detto:

    La ragazza che ha scritto questa lettera ha ragione. Anche lei, Ale D’Avenia, ha ragione a proporci queste tematiche.
    Purtroppo gli in-decenti esistono e sono in buona compagnia.
    Come dimenticarsi, ad esempio, del mio professore di inglese che entrava in classe e non faceva nemmeno l’appello. Leggeva il giornale in classe. A volte tirava su’ la testa e ci guardava con aria sorniona raccontando barzellette per fare il simpatico (purtroppo non è un’invenzione, ma è pura realtà). Poi riabbassava la testa e si rimetteva a leggere. Ma ogni professore deve mettere i voti e non può scappare da questo immane compito e anche lui ce li ha dati solo che erano fittizi. Quali erano i parametri?
    Andava a simpatie. Tutti quelli che lo hanno avuto come professore di inglese non sanno niente. Solo una ragazza ha scelto di fare Lingue all’università e ha fatto fatica anche lei.
    Adesso mi ritrovo con delle lacune gravi, anzi ci ritroviamo con delle lacune gravi. Sto facendo dei corsi per riprendere questa lingua,ma faccio fatica. Tanta fatica, troppa fatica.
    A volte mi sento come il ragazzo selvaggio dell’Aveyron. Nato e vissuto nella foresta, privo del contatto con gli esseri umani, a 12 anni esce da questa selva grazie al dottor Itard che cerca di fargli imparare il linguaggio e quindi di civilizzarlo… Ma non ci riesce… Questo perché ci sono delle fasi nell’evoluzione umana che se non le superi a quell’età non le superi più.
    Forse sono fuori con l’inglese, ma non mi voglio scoraggiare!
    Adesso sono insegnante anch’io (non di ruolo e non di inglese, ovviamente) e penso a lui come esempio in negativo per sapere come comportarmi!
    Il problema secondo me è che nella scuola ci sono troppi “spostati” (uso un termine preso a prestito dalla filosofa Maria Adelaide Raschini). Persone che avevano altra vocazione rispetto all’insegnamento, ma hanno scelto la scuola come ripiego perché non trovano il lavoro per cui sono portati. Ecco perché “spostati”: sono dove non dovrebbero essere.
    Oggi che il lavoro manca ancora di più!
    È un problema.
    Comunque grazie perché ci propone delle tematiche interessanti dalla scuola alla fragilità passando per l’amore e il disamore, l’amicizia, etc. Lei non tralascia proprio nulla, Alessandro .
    Vorrei avere la sua cultura ???anche per quanto riguarda le lingue straniere ?. La ammiro?!
    Un caro saluto

  4. Pepita Jimenez ha detto:

    Mi chiedo: ma ci sarà mai fine all’ in-decenza?

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