30 maggio 2015

Lettere sulla scuola: n.8 – La bella scuola: rose e libri

Con questa lettera termina la rubrica che il giornale La Stampa mi ha affidato sul tema scuola, durata eccezionalmente due settimane a causa del numero di lettere giunte in redazione. Le altre le trovate sul sito del giornale nella colonna di destra nella rubrica “Secondo me”. Ma proprio oggi il direttore del giornale annuncia che lo spunto lanciato nella risposta odierna trova uno spazio fisso. Fatevi avanti.

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Caro professore,

sono una studentessa che frequenta l’ultimo anno del liceo delle scienze umane a Firenze. In questi giorni, grazie ai suoi articoli scritti su «La Stampa», ho fatto una piccola riflessione e ho cercato di tirare le fila di questi lunghi anni di scuola superiore.

Premetto che sono stata bocciata due volte al liceo classico (in 5° ginnasio): ho speso un anno e mezzo dallo psicologo per ricostruire tutto quello che mi era stato distrutto e per ritrovare la voglia di studiare e di parlare senza paura di essere giudicata. Nella mia mente tornava sempre la frase che mi fu detta all’esame di riparazione di latino e greco: «Non sei buona a fare nulla». Dopo la notizia della bocciatura ero demoralizzata: volevo aggiungermi ai tanti ragazzi che abbandonano la scuola.

Mia mamma, non smettendo mai di credere in me, decise di iscrivermi al liceo delle scienze umane senza darmi la possibilità di oppormi. Sono passati quattro anni e ogni mattina mi sveglio alle 6 pensando «grazie mamma per avermi iscritto qui». Sì, perché ho trovato un corpo insegnanti che mi ha fatto crescere: ho trovato dei veri maestri di vita che mi dispiace lasciare (tornerò a trovarli con una bella torta).

Non sono stati professori «leggeri», ma ci hanno insegnato a sudarci le valutazioni, a vivere. Ho incontrato la filosofia, che mi ha insegnato a pensare, e un professore che per me si è rivelato un vero maestro di vita; ho trovato degli insegnanti che hanno risvegliato in me la voglia di studiare latino: è così bello capire il mondo antico e riuscire a tradurre un brano di Seneca da sola; ho incontrato una prof di matematica e fisica che ci ha aiutato a comprendere le sue materie che di solito sono le più difficili; ho ritrovato il mio amore per la lettura grazie alla mia prof di italiano: avevo abbandonato i miei adorati libri e credevo che non avrei più letto nulla; l’inglese l’abbiamo imparato sudando ma sentendoci poi gratificati; e mi sono imbattuta in una disciplina meravigliosa: scienze umane.

Grazie allo studio di pedagogia, sociologia, psicologia e antropologia ho imparato a capire il mondo che mi circonda e a usare la mia testa nelle decisioni importanti; con la prof è sempre una discussione sulle problematiche odierne e quindi impariamo il confronto e ad esercitare la democrazia nella nostra piccola realtà di classe.

Ecco, la mia buona scuola è questa. Una scuola composta da chi non ti insegna le nozioni di Ovidio, Dante, Pascoli, Kant, Nietzsche… ma a cogliere i loro insegnamenti. Dopo 7 anni di liceo ho deciso di iscrivermi a Lettere: voglio diventare anche io professoressa (anche se oggi è dura). Voglio donare anche io ai miei studenti la cultura e il piacere del sapere.

Ester

Gentile Ester,

la tua lettera mi ha fatto pensare che sarebbe molto interessante raccontare «la bella scuola» (la definisco così per smarcarmi dalle facili attribuzioni di partigianeria). Bello è un concetto più ampio di buono, perché lo include. Ricordo la volta che sono entrato in un istituto tecnico statale e c’erano piante curate nell’atrio e nei corridoi. Mi è bastato per capire che quella scuola era buona: e lo era.

Ti racconto una storia. Nel romanzo «Il mondo nuovo», Huxley immagina come i bambini vengano educati nel nuovo sistema di controllo che garantisce l’equilibrio – basato sui consumi – del Nuovo Mondo. Essi non nascono più nelle famiglie, ma nelle provette con una selezione adeguata, e sono educati in gruppo e obbligati ad odiare le due cose che minano il consumo continuo di beni: la natura e la cultura. Infatti, introdotti in stanze piene di rose e libri colorati, non appena cominciano a sfogliare pagine e petali, si attivano assordanti allarmi dal soffitto e dolorose scariche elettriche dal pavimento. I bambini urlano impazziti, allontanandosi da rose e libri, causa apparente del dolore. Tutto ciò si ripete regolarmente. Una volta cresciuti, in modo puramente istintivo, si terranno alla larga dalla natura e dai libri. Cioè dalla realtà, perché – spiega il Direttore del Centro di Incubazione e Condizionamento – stare nella natura o leggere libri sono abitudini che non generano consumi.

La bella scuola è «resistenza» che ripara «rose e libri» e li offre agli 8 milioni di studenti italiani, spezzando il meccanismo pavloviano indotto dalla società dei consumi, che spinge a non tenere in considerazione la realtà e il suo senso, proprio perché, alla realtà e al suo senso, i ragazzi spesso associano allarmi e scosse elettriche: noia, delusione, paura, obblighi insensati e mancanza di risposte, precipitando tra le grinfie di ciò che Pasolini definiva il fascismo odierno: il consumismo.

Anche io, come te, sono diventato insegnante il giorno in cui, a 17 anni, il mio insegnante di lettere mi prestò il suo libro di poesie preferito, dicendomi: «Leggilo, hai due settimane». Hölderlin e quel gesto aprirono il mio cuore e la mia testa al futuro. Una mia collega di scienze è diventata professoressa di questa materia perché il suo professore durante l’ora poneva solo «perché» da risolvere: le spiegazioni nascevano dalla comune ricerca della risposta. Ne ricorda a memoria uno decisivo: «Perché se metto una ciliegia in un bicchiere di acqua calda l’acqua si colora di rosso?».

«Rose e libri»: non mero campo di prova per compiti, interrogazioni e programmi da svolgere, ma sguardo contemplativo e non consumistico sul mondo. Socrate ha inaugurato lo stile occidentale del sapere e della scuola, il dialogo con i suoi allievi è infatti per lui il logos (parola, discorso, ragione) che passa attraverso (dia-) le persone per generare la verità. Ad Alcibiade che gli chiede: «Conoscere se stessi spesso mi è sembrata una cosa alla portata di tutti, spesso, invece, assai difficile», Socrate risponde: «Che sia facile oppure no, per noi la questione si pone così: conoscendo noi stessi potremo sapere come dobbiamo prenderci cura di noi, mentre se lo ignoriamo, non lo potremo proprio sapere». Rinunciamo alla conoscenza come modo di prenderci cura di noi stessi quando facciamo divorziare istruzione ed educazione, insegnamento e orientamento. Non ci salveranno riforme strutturali, necessarie se ben pensate e concertate, ma «rose e libri», come dimostra la tua lettera, Ester.

Sarebbe interessante raccontare le rose e i libri nella «bella scuola» che avete vissuto tempo fa o recentemente, dall’infanzia alla maturità, per condividere e mettere in circolo buone pratiche e buone idee, e soprattutto perché, come dice il poeta: la bellezza è per entusiasmare al lavoro.

La Stampa, 29 maggio 2015 – link all’articolo

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