Ultimo banco 34. Infodemia
«Garson Poole si svegliò in un letto di ospedale e si accorse di due cose: gli mancava la mano destra e non sentiva dolore». Il protagonista di Formica elettrica di Philip K.Dick, uno dei più geniali autori del secolo scorso, non ricorda nulla del suo incidente. Ma c’è di più, viene infatti a sapere dal dottore che lo ha operato di essere una «formica elettrica», un robot convinto di essere uomo. È stato creato per guidare un’azienda in modo perfetto: «Un uomo di paglia, ecco cosa sono sempre stato. Probabilmente non ho mai diretto la società; era una falsa convinzione installata in me quando sono stato fabbricato, come quella di essere un uomo e di essere vivo». È l’intuizione centrale di molte storie di Dick, che si servì della fantascienza (il racconto, del 1969, è ambientato nel 1992) per indagare su che cosa significhi essere uomini, vivi e liberi. Così Garson Poole, cercando di capire chi è veramente, scopre che nel suo petto è installata una bobina che proietta «la realtà» nella sua mente (Matrix era già quasi tutto qui). Al lettore, che condivide l’angoscia del protagonista, sorge spontaneo chiedersi: in che cosa credo? Che cosa è reale? Su che cosa baso le mie scelte?
Una recente ricerca di Ipsos (su soggetti di età diverse in 32 Paesi) ha analizzato il livello di «dispercezione»: la percezione errata di un fatto a causa della sua narrazione. L’Italia risulta ai primi posti nel campionato di chi «crede» invece di «sapere». I dati del 2019, relativi alla percezione delle cause di morte, dicono che gli italiani pensano per esempio che ogni anno: il 10% delle persone muoiano per problemi cardiovascolari e sono invece il 35%; il 6% per disturbi neurologici contro il 14%; il 9% di violenze contro lo 0,1%; il 10% per abuso di sostanze contro il 2%; il 7% per suicidi contro lo 0,7%. Perché tendiamo a sovrastimare alcune informazioni, tralasciandone invece altre? L’informazione (soprattutto via web), consapevoli o meno che ne siano i suoi attori spesso costretti ad alimentare un vero e proprio mercato delle notizie, punta ad accaparrarsi la nostra attenzione, spesso con il solo scopo di ottenere i clic necessari a vendere pubblicità. Non sentiamo mai una notizia sul lavoro ben fatto ogni giorno da migliaia di insegnanti e sappiamo tutto, video compresi, di maestri/e che picchiano i bambini. La richiesta di telecamere negli asili è cresciuta a dismisura, mentre non si fa quasi nulla per le condizioni inadeguate di tante scuole. Siamo dentro un Matrix informativo e performativo, in cui le notizie non puntano alla verità ma alla viralità: si diffonde un’infodemia (epidemia di informazioni) che non rende più consapevoli e razionali di fronte alla realtà, ma anzi orienta i comportamenti a partire da percezioni falsate. Le notizie basate sulla paura, con le loro frequenti e appaganti scariche di dopamina, danno dipendenza, ma anche l’ansia tipica dell’eccesso di questo neurotrasmettitore nel nostro cervello. Non è un caso infatti che nel racconto di Dick il protagonista scopra che «il nastro perforato fissato sul suo meccanismo cardiaco è un alimentatore di realtà. Tutti gli stimoli sensoriali ricevuti dal sistema neurologico emanano da quell’unità» (la persuasione va dal cuore alla mente, dall’emozione alla razionalizzazione). Poole, nonostante il rischio di autodistruzione, decide quindi di manomettersi, per sapere che cosa è reale e cosa no: ne va della sua identità e delle sue scelte. E noi, dopo abbuffate di «breaking news», sappiamo di più e siamo diventati più capaci di prendere una decisione? La risposta è troppo spesso: no, come mostrano gli eventi recenti, in cui l’iper-comunicazione non aiuta a capire e agire meglio, ma alimenta uno stato di paura costante, che spesso ci rende più dipendenti e manipolabili, come mostra il passare da certe convinzioni e azioni a quelle opposte nel giro di poche ore.
Se non vogliamo ingigantire problemi trascurabili e trascurare problemi giganteschi dobbiamo smettere di farci «inter-rompere» di continuo da paura e choc. In Smetti di leggere notizie, Rolf Dobelli dimostra che l’eccesso di notizie è come l’alcol, dà dipendenza e indebolisce progressivamente l’attenzione: così dal 2010 ha smesso di «informarsi» continuamente, senza per questo aver perso niente di importante, anzi ha guadagnato in conoscenza delle cose e in lucidità di scelta. Provate a non guardare la tv e consultare Internet per un giorno o due, o per una settimana, e impegnate quel tempo per leggere un articolo approfondito o un libro su un argomento che vi appassiona: ne saprete di più e sarete più sereni, perché non è la quantità ma la profondità a far comprendere la realtà. Nel racconto, quando la segretaria vede Poole a lavoro sui propri circuiti, gli chiede impaurita: «Ti stai riparando?». Lui risponde: «Mi sto liberando». E lui era solo un robot…
Corriere della Sera, 4 maggio 2020 – Link all’articolo e ai precedenti