21 giugno 2023

Ultimo banco 166. Operazione speranza

Qualche giorno fa mi rammaricavo di essere a conoscenza del numero di coltellate inferte a una donna incinta nel recente delitto che ha catalizzato la nostra attenzione, mentre mi sfuggiva il numero di anni compiuti da un amico. Sappiamo l’età di un calciatore ma non conosciamo la canzone preferita di chi amiamo. La nostra memoria è piena di informazioni superflue che ci danno scariche di dopamina (cronaca nera e gossip soprattutto) che spingono alla ricerca continua di “news”: si parla infatti di infodemia, intossicazione di notizie.

Tra quelle recenti una in particolare mi ha colpito: il ritrovamento di quattro fratelli (anni 13, 9, 4, 1) nella giungla di Guaviare in Colombia. Unici superstiti di un incidente aereo hanno resistito per 40 giorni grazie alla maggiore, Lesly, che li ha guidati seguendo le conoscenze che ha imparato dai nonni indigeni. Poco prima di spirare dopo lo schianto dell’aereo la madre ha suggerito loro di muoversi continuamente, così facendo sarebbero stati meno a rischio di predatori. E così la ragazzina ha guidato i fratelli nella giungla tropicale per più di un mese, orientandosi con i raggi del sole, riconoscendo i sentieri nascosti, sapendo come procurarsi acqua potabile, quali frutti e funghi mangiare e quali evitare. Hanno resistito fino a quando le forze dispiegate per le ricerche, battezzate con il nome di “Operazione Speranza”, li hanno trovati. Come sarebbe andata a un nostro/a tredicenne?

Ho recentemente visitato “Amazzonia”, una bella mostra fotografica di Salgado: dedicata per metà, la parte esterna dell’allestimento, alle montagne, agli alberi, ai fiumi di terra e di cielo (ho scoperto che lì esistono i “fiumi volanti”, dovuti all’acqua che si condensa sopra gli alberi grazie alla loro traspirazione) della regione, e per l’altra metà, simili a isole nello sconfinato paesaggio, ad alcune delle popolazioni indigene che vivono in un rapporto con la natura a noi sconosciuto. Nei loro occhi, corpi, abitudini, parole, miti, ho visto qualcosa che non ho: sono tutt’uno con il creato.

Questo ha consentito a Lesly, nutrita dalle conoscenze tramandate per secoli, di collaborare con la natura per salvarsi e salvare i fratelli: sapeva come vivere là dentro. Un indigeno che ha partecipato alle ricerche ha affermato che Lesly è stata capace di seguire non solo il suo istinto ma anche gli “spiriti guida” della foresta, nella quale, per loro, nessuno si perde ma viene accolto: la giungla che per loro è madre ha “partorito” i bambini dopo 40 giorni. Le conoscenze di Lesly sono diverse dalle nostre, che puntano al controllo della natura più che alla relazione. Se vogliamo sapere il nome di un fiore lo fotografiamo e cerchiamo in rete, non conosciamo le proprietà medicinali o nutritive delle piante, come Lesly con il “juan soco” o il “milpesos”, il frutto e l’erba di cui si sono nutriti per sopravvivere. La ragazza sapeva come fasciare i piedi scalzi e costruire ripari di fortuna.

Ho pensato allora a un ragazzino o ragazzina che in questi giorni affronta l’esame di terza media, e alle conoscenze che ha disposizione per “sopravvivere”. Di certo si affiderebbe al cellulare che ha in tasca per mandare la propria posizione. Ma nella giungla non avrebbe gran fortuna… Quel telefono non avrebbe campo e ben presto si scaricherebbe. Non voglio mettere in contrapposizione due stili di vita – forse Lesly avrebbe problemi a orientarsi nella nostra giungla metropolitana – ma in dialogo. Noi ci rapportiamo per lo più alla tecnologia, a cui chiediamo di gestire la realtà con la quale abbiamo quindi un rapporto “mediato” e “mediatico”, Lesly attinge invece a un rapporto “immediato” e “primario”, di collaborazione con le cose, la sua memoria è vitale non digitale. Pochi dei suoi coetanei da noi sanno fare un orto, accendere un fuoco, orientarsi con le stelle, distinguere bacche e frutti…

Sarebbe interessante bilanciare una scuola basata su conoscenze teoriche con una sapienza pratica del mondo, una relazione più “viva” con la vita. Vedo le famiglie in cerca di campi estivi per i figli dopo la fine delle scuole, e potrebbe essere invece un servizio scolastico. Non dimenticherò mai, all’inizio della mia professione di insegnante, i tre anni alle medie. Ero a Roma e leggevamo l’Eneide, e il collega di scienze si inventò di fare insieme ai ragazzi un orto con tutte le piante citate da Virgilio: l’Eneide si impresse nella loro memoria in modo indelebile, fecero con le loro mani l’orto del poema. Quel poco che so del creato mi dona continua meraviglia, l’ho imparato nella campagna avita, in cui amavo girare da bambino tra orti, alberi, animali e dove ho visto fare il pane, l’olio, i sistemi di irrigazione…

Un rapporto più “corporeo” e non solo “mentale” con le cose cresce bambini più sereni, fiduciosi nella vita e non dipendenti dalla mediazione e iperstimolazione digitale. Mi auguro che questo periodo di vacanze possa essere per i ragazzi un’occasione per recuperare un po’ di questo rapporto con la vita: toccare meno lo schermo e più la diversa consistenza delle cortecce degli alberi, piantare anche solo del basilico per la pasta e imparare a raccoglierlo, bere acqua di fonte, distinguere le farfalle, gustare le more direttamente da un rovo… Tutti gesti che, coinvolgendo i cinque sensi, guariscono da quella deriva che porta a pensare di non avere più il corpo e che non ce l’abbiano gli altri.

Mentre c’è chi, per un video di assurde sfide acchiappa clic e incassi, rende la strada una giungla mortale, strappando la vita a un bambino, Lesly, mettendo in pratica tutto ciò che sapeva al servizio dei suoi fratelli, ha reso la giungla una strada, portando in braccio per 40 giorni la sorellina che ha compiuto un anno proprio nei giorni dell’Operazione Speranza.

Corriere della Sera, 19 giugno 2023 – Link all’articolo e ai precedenti

3 risposte a “Ultimo banco 166. Operazione speranza”

  1. Io credo che l’essere umano viva troppo alla periferia, giudichi le persone per quel poco che conosce di loro (la punta dell’iceberg), mentre si dovrebbe andare al centro, al nocciolo delle questioni, si dovrebbe imparare di più a capire, di meno a giudicare. La tecnologia moderna, che potrebbe aiutarci, in realtà, a lungo andare ci sta rendendo suoi schiavi. Siamo smartphone dipendenti! Dovremmo imparare a conoscere di più il mondo reale e di meno quello virtuale.

  2. ROBERTO ha detto:

    La principale cosa sulla quale è sempre più necessario lavorare e la Cultura (dal vocabolario: il complesso delle manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale con le quali un popolo vive e sopravvive).
    Secondo me nel mondo occidentale da troppi anni, volutamente (si può dire per un’operazione commerciale?) si è pensato di dover sbriciolare le varie Culture proponendo un “pappone” unico come in un carcere. Della serie: o ti mangi sta minestra o ti butti dalla finestra.
    Per rifondare della Cultura dovrebbe ripartire da strumenti e istituzioni come Famiglia, Scuola, Politica. Se per sbaglio fosse plausibile la mia teoria dello sbriciolamento, queste sono le cose che sono state attaccate di più.
    Ognuno, personalmente, dovrebbe intanto rifuggire dal rischio di imputare la colpa (per facilità di giudizio) di volta in volta a Famiglia, Scuola, Politica.
    E’ comunque ognuno di noi anche nel piccolissimo di quello che può pensare, condividere e “magari” fare, deve porsi come obiettivo quello di contribuire a riformare, ricompattare le tre cose necessarie a ricostruire la cultura propria e quella condivisa da tutti.
    Dove condivisa non significa soltanto che debba essere giusto solo ciò che fa o pensa la maggior parte della gente (parola pessima e divisiva) ma il veramente giuste sono le celte personali ma fatte comunque rispettando alcuni valori irrinunciabili a prescindere (es. uguaglianza di fronte a tutto ciò che è bene condividere e garantire a tutti……forse una Costituzione comune da rispettare?)
    Per quanto riguarda i social, come per tutte le cose di fronte alla quali il nostro obiettivo sembra soccombere, se comunque esistono non si può soltanto pensare di esserne sconfitti. Domattina è ancora da provare a vivere. Questo è che le Nonne di ogni latitudine hanno insegnato sempre.
    Forse il nemico va usato dandogli un senso che lo scavalchi (Hai presente il concetto dello judo?)
    Followers sono la maggior parte dei nostri giovani (anche no!)? Forse toccherà andare a pescali lì dove lanciano i loro messaggi? I followers “buoni” possono essere coinvolti?
    Insomma se questo è! E’ qui che dobbiamo cercare la sopravvivenza. QUI’ OGGI SUBITO
    Io non me la sento proprio.
    Chiederò aiuto.

  3. ilaria ha detto:

    io credo che purtroppo questa sia un’analisi troppo semplicista della questione. In primo luogo perchè si stanno paragonando due realtà diametralmente opposte, ed in secondo perchè come al solito tendiamo a demonizzare una cosa, in questo caso i social, ed ad ergerne un’altra: la natura. Che, ahimè, anch’essa non è priva di insidie e pericoli. Anzi. E’ sempre l’uso che si fanno delle cose che, a mio modesto avviso, dev’essere sempre ponderato. Sia che si tratti della natura, che dei social. Perchè che ci piaccia o no, la società globalizzata di oggi si trova suo malgrado a fare i conti anche con i social, e di conseguenza i followers e gli influencers. Sta ad ogni singolo individuo capire quale messaggio voglia veicolare tramite i social. Se non l’avete ancora vista, vi consiglio di guardare la rubrica che il tg2 dedica ogni giorno sul tema influencer e social: io la trovo molto interessante.

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