9 dicembre 2011

Caro D’Avenia, i miei alunni sono così diversi dai suoi.

Pubblico una bellissima lettera apparsa su La Stampa di oggi a seguito del mio articolo del 4 dicembre, con la risposta di Mario Calabresi e mia.

Gentilissimo sig. D’Avenia, ho molto apprezzato il suo bell’articolo di domenica scorsa su La Stampa e condivido gran parte delle sue considerazioni. Faccio solo una fatica tremenda a riconoscere nei giovani che lei descrive, i «giovani» che ho davanti a me tutti i giorni. Io insegno elettrotecnica in una scuola professionale. Diciamola tutta: sono un docente di «serie B» che insegna in una scuola di «serie B» e le assicuro che questo non è vittimismo, ma una semplice constatazione. Nelle nostre scuole, (almeno qui in provincia, nelle grandi città non saprei) non si iscrivono più i ragazzi che una volta ultimato il percorso dell’obbligo vogliono imparare un mestiere, ma coloro che per una ragione o per l’altra non riescono a fare nient’altro e sono obbligati a raggiungere i dieci anni di scolarità. Un tempo era diverso, lo so.
Oggigiorno, quelli che davvero hanno «passione» per un lavoro pratico e si iscrivono a un percorso professionale, sono all’incirca il 30%. Gli altri vengono da noi, le ripeto, perché «è più facile», «non c’è tanto da studiare», «sa, mio figlio non ha voglia, per cui…». E noi ci ritroviamo in classe accozzaglie di ragazzi vuoti, demotivati, disinteressati, annoiati, nervosi, violenti, problematici in tutti i sensi e non abbiamo sufficienti risorse e aiuti per gestirli. Quest’anno io ho una media di 28 ore settimanali in 13 classi diverse. Ci sono classi dove ho paura ad entrare, nonostante il mio metro e 84 e i miei 45 anni. Abbiamo gruppi di 25-30 ragazzi stipati in spazi ridottissimi, fra i quali ci sono ragazzi che non sanno fare una moltiplicazione, non distinguono un angolo da 60° da uno di 90°, non hanno mai né materiali scolastici, né la minima intenzione di utilizzare il cervello per imparare qualcosa di diverso dell’arrotolarsi una cicca: semmai si cimentano nel trovare un nuovo insulto da dedicare alla mamma o alla sorella del compagno. O al loro sport preferito: dormire. Sono vecchi, morti dentro, sembra abbiano vissuto tutto e nulla possa più sorprenderli. Lo scoraggiamento arriva dopo che hai adoperato tutti i metodi possibili per incuriosirli, per far lezioni non noiose e hai usato computer, fantasia, «cooperative learning»… insomma tutto quel che i tuoi limiti ti consentono e ottieni in cambio soltanto maleducazione e menefreghismo. Ti arrendi e ti stupisci di come descrivono i giovani gli altri. Quelli che vedi tutti i giorni sono altra cosa.
Sa… io ho due figli adolescenti, di 15 e 17 anni. Mi meraviglio che leggono, studiano, fanno sport, capiscono quello che dico e mi stanno ad ascoltare, mi lasciano perfino finire di parlare, prima di obiettare o di mandarmi a quel paese. Così dò loro la colpa di non avermi «allenato»: dovevano essere più problematici, sarei diventato un insegnante migliore. Perlomeno avrei condiviso un modo di «guardare» dentro ai giovani che mi piacerebbe poter fare, ma che non mi riesce. Una barriera invisibile mi divide dai «giovani» di tutti i giorni. Li sfoca. Come faccio a sognare un futuro con «giovani» così? Vorrei tanto essere Pennac…
S.B.

Ho ricevuto questa lettera indirizzata ad Alessandro D’Avenia e mi piaceva l’idea che il dibattito continuasse sulla Stampa, così ho chiesto a lui, il professore-scrittore, di rispondere.
MARIO CALABRESI

«Caro Silvano, per me è un onore avere colleghi come lei: persone che nel silenzio lottano tutti i giorni in un contesto che sembra più una trincea e non restituisce nulla o quasi. Ma come racconti tu stesso (scusa se passo al tu, ma tra colleghi credo mi sia consentito) i tuoi figli sono diversi da quei ragazzi che trovi in classe. La differenza è lì e anche la speranza: e sta nel fatto che tu hai educato i tuoi figli. Se non c’è una famiglia alle spalle che cosa possiamo mai fare noi a scuola? A volte i genitori chiedono a noi miracoli che non possiamo né dobbiamo fare, o parcheggiano i figli tra le mura scolastiche delegando una educazione che non hanno dato in casa. Inoltre mi rattrista che non si faccia nulla per questo tipo di indirizzi scolastici, abbandonati da decenni e conservati come rifugio per chi non vuole far nulla, punta dell’iceberg di una scuola che è diventata solo un ammortizzatore sociale. Nell’articolo per questo parlo di ripartire da scuola e famiglia.
Senz’altro il mio osservatorio cittadino e liceale è diverso dal tuo e la motivazione di partenza dei ragazzi è diversa. Quindi non ho soluzioni sensate e adeguate.
Le puoi avere solo tu, che conosci i tuoi colleghi e i tuoi ragazzi. E non si tratta di essere Pennac, ma di concentrarsi su quel 30% motivato di cui parli e farli diventare il traino per gli altri e la ragione dei tuoi sforzi. Sono stato in scuole come la tua in cui l’unità di intenti tra gli insegnanti e un dirigente come si deve riescono a fare miracoli, e non scherzo. Da te può partire questa piccola rivoluzione, ma insieme ai tuoi colleghi: a volte ne bastano due o tre (noi insegnanti, Silvano tu lo sai, moriamo di solitudine e di invidie).
Ma se non lo fai tu, chi lo fa? A questo ti chiama una realtà difficile e quasi asfissiante, ma io sono sicuro che se li tiri su come i tuoi due figli qualcosa accadrà. Forse ne stanerai uno, due, magari tre. E questo è un futuro migliore che se fossero tutti abbandonati alla loro morte in vita.
Grazie per quello che fai. Grazie per la tua lettera, che spero molti leggeranno: neo-ministro dell’Istruzione compreso. Magari un giorno gli eroi silenziosi della scuola come te verranno riconosciuti. Nel frattempo facciamo quel poco che ci è dato».
ALESSANDRO D’AVENIA

81 risposte a “Caro D’Avenia, i miei alunni sono così diversi dai suoi.”

  1. exsor ha detto:

    ero di scuole anche messe peggio di quel primo prof che ha parlato e posso dire in tutta sincerità che ci vogliono kili di educazione da buttare stile betoniera su quei ragazzi che oggi distruggono le cattedre e le lavagne del professore per non fare lezione e andare fuori a prendere erba..
    la scuola deve essere l’educazione severa al fatto che sei entrato in un mondo nel quale non puoi fare come a casa tua, nella quale tutto ti viene concesso perchè non ci sono più genitori che riescono a opporsi alla mentalità odierna, ben entrata nella mente dei figli più deboli dal punto di vista critico/razionale

  2. Mattia Bianchi ha detto:

    Salve, scusate l’intromissione…
    Sono Mattia, 18 anni e sono svizzero. Abito nella parte della Svizzera dove si parla italiano e ( non é per essere ruffiani o altro ) adoro entrambi i libri del Prof. D’Avenia.

    Ho letto qui sopra e sono sorpreso. Io non insegno, sono animatore in colonie e corsi di recupero scolastico da 5 anni ormai. La fascia d’età che mi concerne é quella dai 6 ai 14-15 anni.
    Per quel che riguarda colonie ( forse in Italia li chiamate campeggi), mi sono ritrovato – per mia scelta, ovviamente- due settimane, giorno e notte a stretto contatto con 60 bambini e ragazzi, con i loro piccoli problemi, paure, insicurezze, sogni e desideri.
    Ho sempre visto di tutto, da bambini psicopatici a quelli con crisi epilettiche, bambini iperattivi e ragazzine undicenni già in giro con il perizoma. Nonostante non abbia studiate pedagogia o psicologia me la sono cavata. E sono d’accordo con il Prof. d’Avenia: per aiutarli devi amarli come fossero figli tuoi. Anche se credo che l’entusiasmo di fare le cose non lo si può dare alle superiori. Bisogna partire dall’asilo o forse meglio dalle Scuole elementari.
    Perché già alle medie trovo difficile aiutare i ragazzi in difficoltà. Non hanno voglia, ti sfidano.E più ci si arrabbia più ti prendono di petto.
    Il vero problema, diciamocelo, non sono solo le famiglie. Certo, quelle sono le prime, ma anche gli insegnanti, quelli che ogni mattina vanno a scuola, raccontano quello che devono raccontare e tornano a casa. Lo fanno per lo stipendio insomma.
    Insegnare significa mettersi alla prova, tirare fuori le unghie e far vedere la passione non solo per la materia ma anche per i ragazzi che ci guardano. Sono convinto che Prof. d’Avenia l’abbia ben rappresentato nel suo ultimo libro.
    Ok… mi sono lasciato andare troppo.

    Ad ogni modo nessuno può pretendere di avere una classe perfetta. Sta a noi riuscire a catturare l’interesse diverso di ogni allievo e poi rivoltarglielo contro, obbligandolo ad ascoltarti, anche solo per il fatto che gli stimoliamo la curiosità o per cercare una risposta provocatoria.
    È difficile e sono in pochi a farlo. Ma vedo che qui sopra ce ne sono già due.

    Si dice che si deve partire dal basso, beh… forse non hanno tutti i torti.

    Scusate divagazioni ecc.

    Saluti
    Mattia

    • Alessandra ha detto:

      Ciao Mattia, scusa l’intromissione nell’intromissione… Ma volevo dirti che apprezzo molto quello che fai. 🙂 Ho 18 anni anche io e leggere la tua esperienza mi dà un sacco di speranza: mi fa sentire parte di quella fascia di giovani che hanno qualcosa da raccontare (e da insegnare) agli adulti che di noi hanno un’opinione veramente bassa.
      Grazie
      Alessandra, Bergamo

  3. francesca ha detto:

    Caro Alessandro,
    quanto mi ritrovo nella lettera del collega!
    Io sono trentina e ho insegnato in provincia per 10 anni poi mi sono trasferita a Palermo e lavoro in una scuola di periferia in uno dei quartieri dormitorio della città…
    Lì ho scoperto come non fare l’insegnante…o meglio faccio ogni giorno la baby sitter, il carabiniere, la segretaria, l’assistente sociale.
    Ho ragazzi che in prima media sono semi analfabeti, non hanno i libri perchè il padre è in carcere da anni.
    Ho ragazzi di 16 anni che frequentano solo perchè la madre percepisce un sussidio finchè i figli stanno a scuola.
    Ho buttato nel dimenticatoio le unità didattiche, le lezioni preparate con supporto multimediale, le lezioni fatte con libri e quaderni per reiventarmi un lavoro…
    Facendo appello a Don Milani, mi siedo con loro e insegno come si traccia un margine su un foglio, scrivo per loro le copertine dei quaderni, parto dai loro vissuti e racconto..racconto dei miei viaggi, di ciò che c’è fuori dal loro orizzonte minimo disegnato dall’undicesimo piano del palazzo di fronte.
    Faccio lezione al freddo, rincorro i ragazzi che mi scappano nei corridoi, vado al lavoro con le scarpe da tennis perchè non sto mai ferma in aula.
    Questi ragazzi vivono in n mondo a sè, che non è Palermo, è una sorta di escrescenza a sè stante dove tutto sembra essersi fermato. Tutto tranne i cellulari, la wii, l’x box, la parabola.
    E qui sta il paradosso…povertà materiale e morale intervallata dall’acquisto (?) dell’elettronica di ultima generazione.
    E sono ragazzi geniali, avvezzi alla strada, svegli, terribilmente belli, di quella bellezza selvaggia e sfacciata che li fa padri e madri a 13 anni!
    Caro Alessandro che esperienza per una polentona!
    Ce ne sarebbe da scrivere un libro intero.
    Buon lavoro!

    • Angela ha detto:

      Grazie Francesca per questa testimonianza! Ogni volta che leggo di Palermo e dintorni, penso che e’ patria di don Puglisi….., tanto caro ad Alessandro D’Avenia.
      E che come lui, Solo una forza che arriva dalla Fede in Dio puo’ aiutare ad essere “eroi” come lei! Non si scoraggi, la prego, quei ragazzi, saranno loro malgrado, il futuro. E dobbiamo sperare, che il futuro sia migliore.
      Tanti Auguri. Angela

      • francesca ha detto:

        Cara Angela, mio marito è di Palermo, o meglio di Brancaccio e viveva a due passi dal luogo dove Padre puglisi è stato brutalmente assassinato. Conosco bene ormai alcune realtà delle periferie di questa città meravigliosa e densa di contraddizioni come poche.
        Noi viviamo in centro, in un quartiere della Palermo bene…una di quelle zone dove le scarpe nei negozi costano in media 300 euro. Ogni mattina, a 10 minuti di macchina scendo all’inferno, nella scuola dove lavoro.
        L’affetto dei miei ragazzi, quell’affetto così schietto e verace tipico del sud, scalda il mio cuore trentino avvezzo alle cime innevate. Vado a scuola per loro. Perchè il mio cuore sa che mi aspettano, che sanno che io CI SONO, perchè nelle mie parole regna la speranza, perchè VOGLIO SCONFIGGERE la loro rassegnazione. A 11 anni sono già RASSEGNATI, si sentono perdenti in partenza. E sono così incazzati, così tremendamente bisognosi di affetto. Dietro ogni porta incendiata o cattedra smontata c’è scritto GUARDAMI SONO QUI! CI SONO ANCHE IO! E io sono, sarò ogni giorno a scuola per loro! Anche un solo ragazzo salvato dalle grinfie dei clan (perchè ci sono ancora eccome!) sarà per me un successo…è dura ma so che ce la posso fare…senza banchi, senza libri, senza preside, con l’esempio, con le parole. GRAZIE!

  4. Patrizia, Acireale ha detto:

    Oggi la famiglia è sempre più un agglomerato di interessi e non un “focolare”, uso di proposito la parola desueta ma che dovrebbe trasmettere il senso di calore che manca oggi nelle famiglie. Tante idilliache pubblicità per vendere divani e merendine mostrano quello che non c’è (quasi) più: un nucleo dove diverse forze di energia (ogni essere umano è una fonte di energia)sono attratte da sentimenti comuni, ci saranno dissidi, discussioni, vociate ma… ma poi basta guardarsi negli occhi. Chi ama la scuola e il lavoro da insegnante (lo faccio da quasi 39 anni alle elementari) ama gli alunni ma, grande MA, sempre meno riesce a capire certi nuclei familiari, allargati, dispersi, conflittuali e soprattutto “disattenti”.Per cambiare la società si deve ripartire dalla scuola e dalla famiglia e qui, c’è poco da fare, ci vuole la sana politica. POLITICHE LUNGIMIRANTI E ONESTE PER AIUTARE FAMIGLIE E INSEGNANTI. LA SCUOLA E’ FATTA DAGLI
    INSEGNANTI CHE VANNO ANCHE SELEZIONATI, MA SOPRATTUTTO RIVALUTATI A LIVELLO SOCIALE, RESTITUENDO LORO UN RUOLO CONSIDEREVOLE E CONSIDERATO NELLA SOCIETA’.Forza, Silvano, sei un grande!

  5. Graziella ha detto:

    anch’io tanti anni fa ho insegnato in queste scuole,ed erano anni difficili,gli anni di piombo,in cui si contestava tutto,e gli insegnanti agli occhi dei ragazzi di allora rappresentavano lo stato.Ricordo il mio primo giorno di scuola al Galletti di Domodossola.Io,insegnante emigrata dal Sud entro in classe,seconda elettrici e li trovo con i banchi girati a giocare a carte.Non mi sono arresa e poi un giorno li ho guardati con altri occhi,ognuno di loro aveva una storia,molti erano figli di emigrati,emigrati anche loro come me.Li ho voluti bene,e dopo tre mesi,per Natale,giu in Sicilia mi hanno inviato le loro cartoline con affetto.Dopo 34 anni di insegnamento posso dire che di ragazzi irrecuperabili con i quali ho fallito non ne ricordo più di due o tre.Ma questo accade anche nel film il club degli imperatori

  6. Antonella ha detto:

    Sono Antonella, insegnante di Inglese, precaria da dieci anni. Anche io quest’anno (dopo anni di licei) insegno in una scuola professionale e anche io vivo la stessa esperienza del mio collega. Spesso viene da domandarmi “chi me lo fa fare” di lottare tutti i giorni a spiegare il perchè non è giusto bestemmiare ogni due secondi, chi me lo fa fare di studiare il pomeriggio lezioni di inglese elettronico (mai fatto!)per spiegarlo poi a tre ragazzi perchè gli altri venti giocano con i loro Iphone. Mi rispondo sempre che lo faccio per quei tre e per la mia coscienza, ma sotto sotto so benissimo che lo faccio perchè amo questo lavotro, ci credo e ho fatto e continuo a fare enormi sacrifici per continuare a farlo. Nonostante tutto. Spero solo di non arrendermi perchè se ci arrendiamo noi, a questi ragazzi che solitamente non hanno famiglie alle spalle..chi vorrà un pò di bene????

  7. MADDALENA GUSMERI ha detto:

    Cari colleghi, capisco perfettamente ciò che esprimete! Condivido a volte le sofferenze e le frustrazioni di Silvano (insegno lettere in un istituto tecnico della provincia di Brescia) poiché anche da noi, per comodità e “dato che siamo una bella scuolettina”, le famiglie ci parcheggiano i figli delegandoci tutto, troppo… è avvilente: ho anch’io due bimbi piccoli da crescere e, con tutta la buona volontà, se le famiglie dei miei alunni non hanno intenzione di attivarsi, non capisco perchè debba farlo io… Poi però capisco anche ciò che esprime Alessandro: è vero, siamo noi il motore, siamo noi che dobbiamo incuriosire ed appassionare i nostri studenti, fargli venire la voglia di scoprire e capire ciò che li cinrconda..è ciò è una sfida continua, ma quando a me capita di farcela..la gioia che provo è impagabile!! Silvano quindi non demordere; Alessandro invece supportaci e rincuoraci: ne abbiamo bisogno!! Poi scrivi, scrivi sui giornali, racconta di noi nella speranza che, prima o poi,qualche ministro, qualche “esperto” si degni di sentire anche noi prima di progettare qualche assurda riforma o dei tagli economici…grazie!!

  8. maria rita ha detto:

    Guardare con uno sguardo d’amore i ragazzi problematici non è facile, quando ti sfidano vorresti prenderli a schiaffi, ma sarebbe inutile perchè sono ruvidi e aspettano solo la nostra rabbia per affermare la loro delusione. Che fare? non c’è una via certa da seguire in questi casi, forsa bisogna aver compassione, penare con loro, appassionarsi a loro quando si aspettano solo punizioni o, peggio, indifferenza… Non sono solo parole, io ora sono arrivata ad un punto di rottura con un ragazzo che nega ogni evidenza e dal primo giorno mi ha dichiarato che sbagliavo a fidarmi degli alunni: ma ugualmente sto lottando con lui per fargli capire che mi interessa che lui sia lì, che sono lì per lui, anche se quando sta a casa la sensazione di maggior benessere è oggettiva. Non so come andrà a finire, ma so che è giusto guardare anche i più disgraziati con “benevolenza”: voler loro bene, volere il loro bene, anche se tutto ciò passa attraverso severità, serietà, richieste pressanti puntualmente disattese: siamo messi a volte in condizioni sovrumane, la lettera di Silvano lo presenta chiaramente, ma la nostra vocazione è forse proprio questo, essere un segno, una possibilità di cambiamento per chi nella vita non ha trovato un padre capace di lasciare una impronta di vera vita. Penso ad alcuni miei alunni che vivono in comunità affidatarie e ai sentimenti
    ( terribili!)che provano verso i loro genitori, ma mi ricordo di una di queste ragazze che un anno fa,in gita scolastica a Roma, durante la visita in San Pietro mi ha chiesto di entrare nella Cappella del Santissimo e lì si è inginocchiata e dopo un momento di preghiera neanche breve, uscendo mi ha riferito che Gli aveva detto tutto, compresi i suoi perché e la sua rabbia e ora si sentiva liberata.
    Credo che abbiano bisogno di questa libertà di essere amati per quello che sono e nonostante tutto, e noi possiamo fare poco, ma quel poco è veramente tanto. Seminiamo, anche se non sappiamo nè se, nè quando raccoglieremo… E non siamo soli, mi rendo sempre più conto che la scuola ha moltissime belle persone che, anche se a volte si scoraggiano un po’, poi sono pronte a ripartire.

  9. Elisa ha detto:

    Insegno da 26 anni e la mia carriera mi ha portato attraverso quasi tutti gli ordini di scuola, dalla materna all’elementare poi alla media, con una puntatina anche alle superiori. Leggendo i commenti qui sopra penso che abbiano tutti ragione: chi invoca l’educazione familiare come fonte primaria, chi l’empatia degli insegnanti, chi gli sforzi tra colleghi, chi la forza di una buona presidenza, chi l’aiuto dello Stato perchè l’educazione è pubblica e deve esserlo per tutti i cittadini.
    E’ vero, l’insegnante fa fatica e si sente solo; la sua figura è poco stimata ( e poco pagata se mi è permesso dirlo) ma solo lui può cambiare le cose e fare la differenza. Certo, non riuscirà ad indirizzare i propri sforzi verso tutte le agenzie educative sopracitate ma, se è maestro per davvero, cercherà di dare il meglio di sé.
    Forse raggiungerà solo una parte degli studenti o solo uno ma non deve dimenticare mai che gli alunni lo guardano…e non si dimenticano ciò che vedono.
    Dare l’esempio è l’arma più faticosa, ma è la migliore.

  10. Caterina ha detto:

    Sono una studentessa universitaria ormai alle soglie della laurea magistrale. Ogni volta che mi guardo indietro, dal primo anno di scuola materna sino alla fine di ogni ricevimento con la mia relatrice di tesi,in ogni momento del mio percorso, dietro ogni piccolo successo e ogni piccola cosa imparata (quindi, anche e soprattutto detro ogni errore da cui ripartire) c’è qualcuno dei miei educatori: non solo la mia famiglia, ma anche maestri, catechisti, professori di liceo e università. Anche quelli che non mi hanno ascoltato o pensavano di aver capito tutto e non facevano niente; quelli che sembravano non sentire e invece poi, al momento del bisogno, c’erano e agivano. Forse diventerò anche io un’insegnante, forse no.A volte mi sembra che per questo mestiere ci vogliano una vocazione e un’onestà intellettuali dei quali non sono all’altezza; la esponsabilità richiesta è talmente tanta che mi scoraggio. Inoltre, nonostante il mondo del lavoro sia per me sempre più vicino, le mie idee, come sempre di fronte a grandi cambiamenti o momenti di passaggio, sono confuse.
    Ma da studentessa e da donna mi sento di dire che voi insegnanti siete tra le figure più importanti nella crescita e nella vita dei ragazzi cui insegnate. Anche quando vi sembra di sbagliare o di non avere le forze, ci sarà sempre qualcuno, dietro quei banchi, che magari non ve lo dice ma vi è grato. O lo sarà un giorno. Mi tornano in mente le parole del mio docente di lettere del liceo, un padre stimmatino burbero e poco incline alle chiacchiere di poco conto, in due momenti distanti e diversissimi,eppure imprescindibili l’uno dall’altro. Il primo, quando ci spiegò il canto XV dell’Inferno, dicendo che se anche solo uno degli studenti avuti in non so quanti anni di carriera arrivasse a provare la stima e l’affetto che Dante manifesta nei confronti di Brunetto Latini, allora quello sarebbe stato il compimento della propria missione sulla terra; il secondo ricordo che ho di lui non è fatto di parole, ma di esempi. L’estate tra la seconda e la terza liceo ci portò in una missione in Tanzania. Sotto il sole concente, mentre tutti noi, giovani e forti, sentivamo la fatica,lui continuava a picconare. Qualcuno si offrì di dargli il cambio, casomai si sentisse stanco. “Se non mi sporco le mani con il lavoro della terra, con quale faccia posso venire a leggervi Dante in classe?”. Questi due momenti sono per me legati indissolubilmente nella mia mente. Forse noi studenti dovremmo ringraziarvi di più, o dimostrarvi più spesso la nostra gratitudine col nostro impegno. Ma abbiamo tempi lunghi, e a volte ce ne accorgiamo troppo tardi. Ma voi, per favore, continuate ad esserci…

  11. Maria Teresa ha detto:

    Ringrazio per le testimonianze fin qui condivise, che per la maggior parte mi hanno lasciato senza fiato. Coraggio.
    Maria Teresa (genitore)

  12. antonio ha detto:

    Caro Silvano, la sua lettera mi ha colpito moltissimo. Leggendola mi ha riportato indietro nel tempo, al mio primo anno di superiori. Nel 1994 mi ero iscritto in un Istituto professionale ad indirizzo elettronico a Baggio (periferia di Milano). Mi ero iscritto lì perchè non mi sentivo all’altezza di un liceo, visto il mio curriculum scolastico. E poi mi piaceva l’idea di impare un mestiere: volevo diventare un riparatore di computer! Purtroppo quello che lei oggi ha descritto era già realtà 18 anni fà: non non ho imparato a ripare pc e mi sono fatto trascinare, comportandomi davvero male, sopratutto nelle ore di laboratorio (non le sto a spiegare i dettagli..). Sono stato anche sospeso. Poi, dopo alcuni mesi, dentro di me qualcosa è cambiato: mi sono reso conto che non potevo andare avanti così.Mi sono ritirato e l’anno successivo mi sono iscritto in un’altra scuola professionale, per diventare odontotecnico.Sa che lavoro faccio oggi ? Lavoro in banca! Le assicuro che non sono raccomandato. Non ho mai esercitato la professione per la quale ho studiato ma se sono riuscito a diplomarmi e a non mollare tutto (…) lo devo a persone che come lei ci hanno messo il CUORE! Grazie Silvano, grazie a tutti voi Insegnanti (e maestri di vita) che ogni giorno non vi tirate indietro e ce la mettete tutta!

    • Silvano Bertaina ha detto:

      Grazie per l’incoraggiamento, a te e a tutti quelli che sul giornale e nel blog lo hanno fatto. Sto passando un periodo scolasticamente difficile e davvero non riesco più a capire se faccio bene a continuare la strada dell’insegnamento o son “spremuto”, insofferente agli adolescenti e al loro modo di fare gli studenti..bah..il tempo lo dirà.
      Grazie ancora.Silvano il prof stanco

      • Monica ha detto:

        Per me è importante avere colleghi amici, fisicamente presenti, con cui condividere nel concreto i passi che faccio (con gli inevitabili rischi, e gli sbagli del caso…). E poi, naturalmente, anche tutto quello che può aiutarmi a farmi rialzare la testa (come per esempio chi scrive su questo blog…)

  13. Eugenia ha detto:

    Insegno anch’io , matematica, in un istituto professionale. Più della metà dei miei ragazzi sono stranieri, vengono a scuola indossando capello con visiera, auricolare fisso, cellulare ultima generazione, zaini stracolmi di cibo che cosumano in classe, 1 unico quaderno onnivoro, 0 libri, 0 penne.Quando va bene dormono.Hanno un vocabolario ridotto al minimo ,1 su 3 delle parole usate è una parolaccia, di solito sempre la stessa. E’ una sfida ogni mattina, far togliere il cappello, guardarli negli occhi,farli scrivere qualcosa. ” tanto prof, la matematica non serve a nulla….”. Una volta perdevo tempo a spiegare il come e il perchè fosse importante studiarla ……ora non più. Dico loro ” avete ragione voi, nessuno mai oltre me vi farà studiare una funzione o risolvere un sistema di disequazioni “. ma non mi arrendo. Sono abituati a essere considerati studenti di serie B, e ci marciano , non si può pretendere nulla da loro. La prima sfida è non considerarci a nostra volta insegnanti di serie B,non lo siamo. La mia professionalità è la stessa , anzi è aumentata da quando insegnavo , da supplente, al liceo, a ragazzi più motivati, sicuramente più educati non sempre più dotati.Ecco , far capire loro che non sono scarti che almeno a noi importa di loro e che non ci sentiamo sminuiti ad averli come alunni è il primo obiettivo. Quando poi si riesce ad” addomesticarne” qualcuno,la soddisfazione è impagabile, se su 10 che dormivano 4, poi 6, iniziano a prendere il quaderno e a concludere un esercizio quella è una vittoria loro e nostra, nessun altro li ha aiutati. Forse poco alla volta impareranno che possono essere “qualcuno ” indipendentemente dal cellulare che possiedono. Ci vuole pazienza, tanta, ma se non noi chi ?

  14. monica fabbri ha detto:

    faccio l’insegnante in una scuola garantita, quasi d’eccellenza e mi sentouna privilegiata: anche io ho avuto, ho alunni problematici, ma dinamiche diverse, forse più abboradbili con gli strumenti consueti della vita
    Apprezzo tantissimo l’ammissione di stanchezza di silvano, concordo e mi commuovo con tutto quello scritto fin qui, vorrei lasciare un abbraccio virtuale a tutti quelli che, ogni giorno, entrano nella trincea dell’apprendimento; aggiungo una cosa: la scuola E’ un problema politico irrisolto, un nodo formativo di un’intera nazione che manca di realismo, soldi, respiro e orizzonte formativo di riferimento; trovo vergognoso che io abbia visto che, nei 25 anni della mia carriera, l’elaborazione e la concretizzazione di principi formativi essenziali siano stati quasi sempre affidati alla disponibilità individuale; a un certo punto, capisco la stanchezza di tanti colleghi: nponho soluzioni in tasca, non mi piace esortare o coinvolgermi solo in funzione della disponibilità indivuiduale,: chiedo una risposta politica, culturale e sociale ai bisogni di una nazione, mi rendo disponibile per una rivisitazione culturale, mi va, sento il bisogno di ricominciare a studiare, a fare, ma temo che la risposta politica che cerco sia al di là da venire. Che dire? coraggio, Silvano

    • Prof 2.0 ha detto:

      Cara Monica, hai ragione. Io però non ci spero più: la scuola è una riserva di voti e un ammortizzatore sociale. Ad una politica mediocre e di corto respiro, tutta incentrata sull’economia la scuola non interessa… Che fare?

      • maria rita ha detto:

        Che fare? Continuiamo a metterci l’anima, senza aspettarci nulla… lo so che non dovrebbe andare così, ma io non posso stare ferma e aspettare che la politica si muova, intanto mi do da fare io: che ne dite?

  15. patrizia f. ha detto:

    anch’io mi trovo ad insegnare… Alcuni anni fa avevo in classe un ragazzo difficile e assai problematico da gestire, a causa del quale quattro miei alunni, nel giro di pochi giorni hanno cambiato scuola. Sconvolta dal dolore mi chiedevo che senso potesse avere insegnare in quelle condizioni, soffrendo ogni giorno per quella persona che mi tempestava di parolacce e aggrediva i suoi compagni… cercavo una risposta a questa mia domanda… erano giorni di dolore e di vuoto… poi scrissi una poesia dedicata a noi insegnanti… “CAVALIERI SENZA GLORIA”…!!! un abbraccio a tutti coloro che insegnano… con il cuore!
    CAVALIERI SENZA GLORIA
    Noi siamo
    i cavalieri senza gloria…

    Andiamo
    nel buio della notte
    portando nel cuore
    la speranza
    di accendere
    molte luci…

    E poi
    trafitti,
    laceri,
    feriti,
    umiliati
    e affranti
    sempre
    ci rialziamo
    nel vento
    e nella polvere…

    Sofferenti
    ma non sconfitti…

    Con il sorriso
    sulle labbra
    e il dolore che trafigge

    ancora combattiamo

    ancora amiamo…

    (16 gennaio 2008)

  16. Laura Stocchi ha detto:

    Ciao sono un insegnnte specializzato dell’alberghiero di una piccola provincia dell’italia centrale. Quella parte di Italia annoverata come la regione dei santi. Condivido molto lo sconforto del collega , ed anche io mi chiedo come mai newssun ministro riconosca che gli insegnante degli istituto professionali sono sottoposti ad usura più degli operari nelle fabriche , se davvero prendono a cuore illoro lavoro. Sottolineo se poichè noi insegnanti non siamo testati da nessuno nella buona o nella cattiva sorte.Certamente la soddisfazione di aver portato qualche anima in salvo ci dà garnde soddisfazione ma il prezzo che paghiamo è molto alto.

  17. giulia ha detto:

    sono giulia, ho appena letto la lettera di Silvano e sono saltata sul divano. insegno da un anno e pochi mesi e quindi sono totalmente inesperta! ho iniziato proprio in un professionale, stessa situazione descritta dalle altre lettere, sopratutto quella di Francesca! anche io mi ritrovo a fare la segretaria, l’educatrice, l’infermiera la baby sitter e la prof.. è incredibile! è strano leggere altri insegnanti che parlano di classi difficili, di alunni senza penne e quaderni ecc ecc, i miei colleghi che lavorano in altri tipi di scuola il più delle volte non capiscono quando parlo, sembra che facciamo due mestieri diversi! non sto qui ad entrare nel dettaglio della situazione veramente difficile della struttura della mia scuola ( vi dico solo che non abbiamo i banchi ), quello che ci tengo a dire è che non vorrei avere altri alunni che questi. certo, vorrei che la scuola fosse più bella, che ci fossero più strumenti, vorrei che fosse più bello per loro in primis e per me perchè questo aiuterebbe anche il mio lavoro che spesso viene vanificato dall’inadeguatezza del luogo fisico. ad ogni modo volevo solo dire che insegnare nel professionale è il lavoro più incredibile del mondo e anche se a volte mi sono dovuta chiudere in bagno a piangere ( quando vogliono sono crudeli ) ogni giorno ho sempre voglia di ripartire, di cercare una via migliore di quella del giorno prima, ho voglia di guardarli, di guardare me stessa davanti allo specchio dei loro occhi. mi impressionano perchè sono ragazzi che per i loro 17 anni ne hanno viste già troppe e la cosa che desiderano di più è che tu ti accorga di loro, desiderano essere guardati prima di tutto e guardati con simpatia. più si ribellano e bestemmiano, urlano, si alzano ecc ecc e potrei scrivere anche io un libro, più fanno così più capisco che hanno bisogno di essere guardati. ah, loro sono grandi e grossi il più delle volte e hanno avuto comportamenti violenti nelle altre scuole ( incendi, macchine bucate, porte smontate, prof minacciati col taglierino ecc ) e io sono piccolina di statura e di corporatura e quando compro le sigarette a volte mi chiedono la carta d’identità.. questo per dire che il punto non è spaventarli! buon lavoro a tutti. giulia

    • Silvano Bertaina ha detto:

      Non volevo più leggere nessun commento, poi ho ceduto e cara Giulia, al tuo non ho resistito.Sono S.B il prof che ha inviato la mail a D’Avenia e sono davvero contento di aver sollevato un po’ di dibattito sulla scuola professionale. Se ci lavori, sai bene che queste scuole sono diventate l’ultima spiggia per tanti ragazzi che hanno fallito altrove o sbagliato scelta o semplicemente hanno impiegato un sacco di tempo a finire le medie;oppure sono arrivati da poco in Italia e altro tipo di istruzione, non possono permetterselo. Dicono che abbiamo una funzione sociale,che se non venissero a scuola sarebbero in giro a far di peggio.Dicono che quel poco che riusciamo a fare è già tanto.Io ti giuro, amo tantissimo la mia materia, mi piace davvero e in questi anni ho anche goduto di successi insperati, ho visto ragazzi ottenere la qualifica con merito, facendo enormi progressi.Ma sono stanco di tanta maleducazione. Sai di cosa parlo.Non sopporto più il poco rispetto per gli altri, per le cose, la strafottenza, il rifiuto a “provare”, la mancanza di curiosità.Mi innervosisco subito, non ho più la pazienza di qualche tempo fa. E naturalmente “loro” se ne accorgono, mi percepiscono in difficoltà e ne approfittano. Sta nel loro ruolo d’altronde. Per questo ho paura di aver fatto il mio tempo e di non averne più. Poi leggo certe cose e mi viene il magone. Davvero devo mollare? Riuscirò a cambiare un pochino io e a far cambiare le cose nella mia scuola? Davvero ci provo o mi lamento solo e basta?
      A “leggere” il tuo entusiasmo mi son venute le lacrime. Ne vorrei un pezzettino accidenti! che lunedì ripartirei con un altro spirito. Grazie e tanti auguri per la tua carriera scolastica! Silvano Bertaina

      • giulia ha detto:

        carissimo Silvano, ti ringrazio tanto per quello che hai scritto. posso solo immaginare quanto sia dura dopo tanti anni entrare ancora in quelle classi.. io, anche se ho bene in mente tutta la fatica che si fa, però sono pur sempre solo all’inizio! se sei lì dove sei, in quella scuola, di certo non hai fatto il tuo tempo. c’è una frase sull’armadietto della mia mini sala insegnanti/ufficio/segreteria: o la vita è una serie di problemi o una serie di occasioni.
        credo sia normale essere stanchi, scoraggiati, sfiduciati a volte, siamo umani.. io spesso mi chiedo se sia il mio posto perchè mi sembra di non fare mai passi avanti, di ripartire sempre da capo, di non guadagnare mai terreno, e allora mi dico: non sono capace, non fa per me questo lavoro.
        ma poi mi accorgo che invece per me i ragazzi, con tutta la loro maleducazione e a volte ingratitudine, sono un’occasione per me. sono io che imparo da loro, non ad essere educata evidentemente.. ma a conoscere me stessa. mi ha molto colpito quello che hai scritto perchè tu non accusi ma ti metti in discussione, che per me è il segno più grande che non hai affatto fatto il tuo tempo! mi piacerebbe che mi scrivessi per dirmi come va e mi piacerebbe chiederti tante cose proprio perchè hai più esperienza di me! posso lasciarti la mia mail? grazie e buon lavoro.
        giulia

  18. Aurelia Danielis ha detto:

    Cari prof,
    è vero che ogni realtà scolastica è diversa (sono prof anch’io) e sicuramente alcune sono più difficili di quella di Alessandro D’Avenia.
    Tutti quelli che hanno scritto, però, dimostrano la stessa cosa: la voglia da fare bene un lavoro che continuo a pensare sia il più bello del mondo.
    Questa è una certezza e insieme una speranza: finchè ci saranno giovani insegnanti pieni di entusiasmo (anche se non sono tutti così) e vecchi insegnanti (come me) convinti di poter ancora fare qualcosa di buono, c’è futuro per la scuola!
    Aurelia

  19. Maria Teresa ha detto:

    “C’è chi insegna
    guidando gli altri come cavalli
    passo per passo:
    forse c’è chi si sente soddisfatto
    così guidato.

    C’è chi insegna lodando
    quanto trova di buono e divertendo:
    c’è pure chi si sente soddisfatto
    essendo incoraggiato.

    C’è pure chi educa senza nascondere
    l’assurdo ch’è nel mondo,
    aperto ad ogni sviluppo,
    ma cercando d’esser franco all’altro
    come a se stesso
    sognando gli altri
    come ora non sono:
    ciascuno cresce solo se sognato.
    (Danilo Dolci – Ciascuno cresce solo se sognato)

  20. silvia ha detto:

    …ho 2 figli una di 20 e uno di 16..Ho sempre parlato bene dei Prof!Però ne ho veramente viste troppe. Ho trovato prof veramente degni di essere chiamati tali!e altri..con grande delusione no…
    Devo però ammettere che a volte i Prof non hanno,i mezzi per educare,a volte dimenticano l’amore per l’educazione da qualche parte..Capisco anche che ci siano ragazzi difficili da educare..genitori che non ascoltano..che non sentono..ragazzi che si perdono per strada..
    La mia esperienza di madre,mi ha portato a vedere tanta maleducazione nei ragazzi..Però ho visto anche che tanti ragazzi non vengono ascoltati..Ho visto prof superficiali..come i ragazzi..Ho trovato un prof che mi ha aiutato nel momento in cuo ho visto mio figlio,vittima di bullismo..ma solo uno!Anzi una..Ho visto mio figlio con attacchi quotidiani di panico..Ora mio figlio va in una nuova scuola in un altra città..perchè da noi non c’è il liceo classico..
    Ora lo vedo più sereno..mi scuso per il mio sfogo..ma vi ringrazio di avermi dato questa possibilità

  21. Simona Del Mastro ha detto:

    Sono una formatrice di un Ente di Formazione  di Torino ed insegno Lingua Inglese ai ragazzi dell’obbligo di istruzione. Mi permetto, in punta di piedi e senza volermi arrogare il diritto di fare un’analisi sociale, che peraltro non fa parte delle mie competenze e tantomeno del mio percorso di studi, di esprimere un pensiero che ormai da parecchi anni vivo fortemente e cioe’ che il mondo dell’educazione e’ “cosa del cuore”! Don Bosco già l’aveva intuito nell’ottocento e nonostante siano passati parecchi anni e’ così sorprendentemente attuale questo pensiero.
    Gli adolescenti che ogni giorno incontro e vivo nel mio lavoro sono spesso problematici, sofferenti, demotivati, ribelli ma questo è solo uno degli aspetti di ciò che si può intravedere nelle classi e tra i giovani che frequentano le scuole o gli enti.
    Lavoro con allievi che spesso hanno perso la consapevolezza di ciò che sono in grado di fare, sapere e soprattutto hanno smesso di sognare. Sono cinicamente realistici e non si fidano più del mondo degli adulti che tanto li giudica e studia ma poco li accompagna ed abbraccia!
    Lavorare con le persone e soprattutto con le persone in crescita e’ sempre una sfida ed i segni che rimangono in loro saranno visibili, forse, in futuro, nei loro gesti e scelte.
    In tutta onesta’ non e’ semplice comprendere  davanti ad un atteggiamento, spesso apparentemente svogliato ed a volte anche aggressivo, i loro messaggi di ricerca di fiducia, di voglia di essere semplicemente ciò che sono, di paura di non riuscire, di solitudine ma se provi ad ascoltare con attenzione lo senti nell’aria tutto questo, quando entri  in aula!
    Non ci sono segreti, sappiamo bene, come educatori, quali potenziali abbiano gli adolescenti e, a mio parere, è nostra responsabilità evidenziare i loro punti di forza ed amplificarli in modo che possano riconoscerli ed alimentarli da se’. Dobbiamo accompagnarli nel viaggio di scoperta!
    Troppo spesso sento frasi del tipo ” Sono un formatore o insegnante, non altro! Devo insegnare la mia Unita’ Formativa o Materia e se non me lo permettono non e’ un problema mio, peggio x loro!” . Allora mi chiedo, forse troppo ingenuamente, dove sta la nostra valenza educativa in tutto questo? Dove possiamo fare la differenza?  O meglio ancora, possiamo fare la differenza?
    Io credo di si, perchè la maggior parte degli allievi ,quando coglie il cuore nel nostro agire , ci segue, si racconta e raggiunge cime inaspettate!
    Non possiamo esimerci dal creare una relazione con gli  adolescenti  ancor prima di qualunque altra cosa. Costruire un dialogo in cui ci si parla e ci si ascolta, in cui ci si rispetta e si da fiducia prima ancora di chiederla. Questo e’ ciò che sento tutte le mattine quando varco la porta dell’aula e, con più o meno fatica, provo a metterlo in pratica! Davanti a me ho persone! E’ questo che mi motiva e mi sprona, siano essi dei liceali o studenti di una scuola professionale o di un centro di formazione!

    • Prof 2.0 ha detto:

      Cara SImona, grazie per le tue parole. Anche io credo che l’unica regola sia la persona che hai davanti. Il resto sparisce.

  22. M.Grazia ha detto:

    Ho letto e riletto più volte la lettera de collega e, poiché anch’io insegno in un centro professionale, e visto che spesso mi sono ritrovata nella sua stessa situazione, mi sono chiesta che cosa mi fa entrare tutte le mattine a scuola.
    È vero, i nostri ragazzi sono terribili, ma nello stesso tempo desiderano qualcosa di bello per la loro vita, desiderano essere presi sul serio, sfidati, desiderano entrare nel mondo per essere qualcuno, desiderano realizzare i loro sogni.
    In questi anni di insegnamento, e di certo non sono tanti come quelli del collega, ho capito che attraverso la materia che insegno, l’italiano e la storia che loro dicono che non servono a nulla, devono trasparire le mie passioni, le ragioni che hanno spinto anche me a studiare, deve passare un gusto ed una passione per la bellezza che, per dirla con Dostoevskij, salverà il mondo. Allora, a volte, basta citare il titolo di un libro oppure basta toglierlo dalla borsa e citarne un breve passo, perchè qualcuno, dal fondo dell’aula, qualche giorno dopo, arrivi con il libro e fermi in corridoio l’insegnante perchè non aveva mai letto un libro così bello.
    Infine, sulla base della mia esperienza, dico che in questo compito non si può essere da soli perchè la ‘voglia di insegnare’ quando si fa fatica non basta. Io sono fortunata ad avere colleghi ed un direttore con i quali, tra uno sfogo e l’altro, ci si aiuta andando oltre la fatica del momento.
    Aiutiamoci e magari, come proponeva la collega, iniziamo uno scambio di mail.
    Ancora grazie

    • Prof 2.0 ha detto:

      Adesso mi attivo, questa situazione si fa interessante!

    • Silvano Bertaina ha detto:

      Come dice il prof 2.0, la situazione si fa interessante davvero. Avrai capito cara Maria Grazie che sono un insegnante di elettrotecnica un po’ matto, da sempre lettore e scribacchino per “scaricare”, un po’ come qualcuno fa correndo o andando a nuotare. Così vorrei tanto riesumare le mie “Lezioni di Elettrotecnica”, che sono un raccontone che scrissi lo scorso anno scolastico, per cercare di far lezione in un modo diverso, con un gruppo classe parecchio duro.Funzionò così:mi presentavo in aula e consegnavo ai ragazzi un foglio, in genere due, massimo tre pagine. Dentro c’era la storia di un “nuovo” compagno di classe immaginario, che in prima persona raccontava la sua vicenda, le sue sensazioni nel vivere in quella classe e soprattutto, prendeva appunti. Gli appunti quindi erano la “lezione”, che loro potevano ritagliarsi e conservare nel quaderno (chi l’aveva..). Naturalmente inventai molto.Cambiai anche modo di scrivere, seguendo il mio umore e il mio tempo, che alle volte finivo il pezzo poco prima di andare in aula. Mi dipinsi peggio di quel che sono e mi feci anche picchiare, tanto per introdurre un po’ di macabro.
      Comunque..funzionò. Leggevano. Mi dicevano: lei è matto!quando scrive ste robe qui? E io: mica vado in discoteca al sabato sera! E volevano continuassi. In realtà mi scocciai, dopo che mi avvidi che con l’elettrotecnica non facevamo passi avanti e c’era un esame in arrivo.
      Comunque il documento può essere interessante, per qualcuno che sicuramente ritroverebbe situazioni di tutti i giorni e potrebbe prenderne spunto per lezioni alternative.
      Non so bene come fare a renderlo pubblico e leggibile. Chiederò al prof 2.0 se mi permette di pubblicarlo sul suo bel blog.Per il resto..hai detto cose giustissime, che condivido.E forse sentirsi meno soli può regalare un po’ di grinta. Domani è lunedì e si ricomincia.Avrò più grinta, grazie a tutti voi. Il prf S.B, quello stanchino..

  23. Aurelia Danielis ha detto:

    Che meraviglia queste testimonianze: Silvano, davvero hai ancora dei dubbi?
    E che bello quando, allievi che hanno finito le medie, mi scrivono su facebook per chiedermi: “Prof, ha già letto in nuovo libro di D’Avenia? Io l’ho ordinato, non vedo l’ora che arrivi!” E’ il segno migliore che qualcosa ho passato.
    Ciao
    Aurelia

  24. Matilde ha detto:

    Grazie infinite al prof. Silvano per la sua lettera sincera e coraggiosa e grazie a lei prof. D’Avenia che con la sua risposta ha avviato questo piccolo dibattito. Sono una docente di lettere (precaria!) di un istituto professionale e vivo ogni giorno questa realtà. Un esempio per tutti: la mia terza quest’anno è partita con 30 alunni e da pochi giorni ha raggiunto quota 36 iscritti, tutti reduci da ripetuti insuccessi scolastici e giunti qui all’ultima spiaggia, sistemati in un’aula che contravviene ad ogni parametro di edilizia scolastica; parafrasando il titolo del suo romanzo io direi che queste sono “cose che nessuno vuol sapere”. Siamo impegnati per ore ed ore in collegi docenti che somigliano sempre di più a consigli di amministrazione aziendali, e mai una parola o una risorsa vengono spese per quello che a mio avviso è il cuore della questione. Ogni giorno sperimento un forte senso di fallimento per un tempo che avverto sprecato e sterile,che non semina e non raccoglie nulla e soprattutto un dispiacere profondo per quelli che comunque restano i miei ragazzi. Ciò che in molte giornate mi salva è lo sguardo intenso e sincero di qualche ragazzo che sembra aver colto non tanto il significato della mia lezione (quando riesco a farla), ma il desiderio che ho di riuscire in qualche modo a raggiungerli.

    • Prof 2.0 ha detto:

      Cara Matilde, grazie! Cercherò di dare voce alle tue parole. Vi ringrazio tutti per le cose che state raccontando e il coraggio con cui entrate in classe ogni giorno.

  25. frufru ha detto:

    Nemmeno io sono un’insegnante, sono solo una ventenne ex studentessa di un liceo di provincia. Quello che ha scritto quel professore del professionale lo conosco molto bene. Quando ero in terza media era evidente che sarebbe andato al professionale solo chi non aveva voglia di fare di niente, non certo chi sarebbe voluto diventare un idraulico, un elettricista o una sarta. Avevo degli amici che “studiavano” (passavano il tempo) al professionale e raccontavano cose allucinanti per me: compiti in classe di matematica a crocette (???), professori che piangevano, finestre rotte, bagni attappati. Raccontavano che quelle poche volte che erano in classe facevano di tutto per farsi buttare fuori, ovviamente però si dovevano far buttare fuori in quattro, altrimenti non avrebbero potuto giocare a briscola. Cose assurde, dal mio punto di vista.
    Il mio liceo non era perfetto, però queste cose non succedevano, nonostante i professori non fossero affatto tutti di serie A. Io non penso che il valore di un insegnante dipenda dalla scuola in cui insegna. Ho avuto, in un liceo, una prof di chimica che non sapeva fare nemmeno gli esercizi svolti sul libro, ho avuto un prof di storia dell’arte che bestemmiava e giocava a carte con noi. Anche se insegnavano, e insegnano, in un liceo non penso proprio siano di serie A.
    Ho finito la scuola solo due anni fa e mi ricordo bene quello che pensavo di chi occupava la cattedra. Mi addormentavo durante le ore di italiano (incredibilmente per me), mi risvegliavo in quelle di matematica che all’improvviso mi sembrava avere tutte le risposte. A priori poteva darmi molto di più la letteratura dei numeri e invece no. Avevo un insegnante di matematica che mi sapeva incanatare. Lui era lì a farmi domande, a chiedermi risposte, era lì ogni giorno e si informava e mi voleva bene. Diceva che ero la sua pupilla. Oggi, leggendo il tuo libro, ho scoperto che pupilla significa “bambina”. Bello. Pensa che io, ai tempi del liceo, avrei pagato per avere un padre come lui. Quello che voglio dire è che voi professori che ci mettete il cuore in quello che fate diventate pezzi importanti nella semplice vita di sedicenni un po’ confusi. Sembrate forti, sembrate avere mille risposte, poi magari non le avete per voi stessi, ma a chi siede davanti a voi le date. A distanza di due anni ricordo ancora le formule di matematica, ma soprattutto ricordo con affetto le parole di quel professore, parole che copiavo nei miei diari segreti, parole fatte di fiducia, di curiosità, di interesse, di consigli. Magari un giorno dimenticherò anche come si risolve un’equazione di secondo grado, ma quello che quell’insegnante mi ha insegnato, a prescindere dalla matematica, io non lo dimenticherò mai. Sarà sempre un pezzetto di me, qualunque cosa farò da grande. Perché io non l’ho ancora capito quello che voglio fare da grande, ma mi sto enormemente impegnando per capirlo, anzi forse l’ho capito. Devo solo rimboccarmi le maniche.

    • Prof 2.0 ha detto:

      Grazie, Frufru, tu sei la testimonianza che esiste una scuola che si salva dal naufragio ed è quella dei professori che fanno il loro mestiere. Degli altri di cui parli vorrei che lasciassero il posto a tanti giovani…

    • Caterina Isoldi ha detto:

      grazie frufru!!!!!!!!!!!!! quello che dici mi motiva un sacco! non sempre si capisce se arriva qualcosa dietro quei banchi tricerati…. ma la sassaiola di pezzi di cuore continua! e parole come le tue ci fanno capire che siamo sulla buona strada!!!!

  26. Monica ha detto:

    Caro Silvano,
    mi sento toccata da quello che scrivi e vorrei farti notare una meraviglia che potrebbe sfuggire, soffocata dall’analisi che fai, impietosa ma veritiera e condivisibile: la meraviglia è la descrizione che fai dei tuoi figli. Ed è proprio questo che può sostenere la tua speranza: tu sei capace di educare i ragazzi al rispetto e alla bellezza!
    I tuoi studenti, probabilmente, non hanno avuto questa fortuna nelle loro famiglie e questo è un motivo in più per non cedere, per mostrare che un’alternativa è possibile. Non guardarli come se fossero già anime perse, ma come persone che valgono, anche se non sono liceali, perchè non abbiamo bisogno solo di medici, avvocati, ingegneri…
    Non ti arrendere!

    • silvano bertaina ha detto:

      Hai ragione e lo so. Ovviamente la mia famiglia non è la famiglia del mulino bianco. E’ vero che la “normalità” ha dei vantaggi: i ragazzi hanno dei riferimenti, magari noiosi, magari grigi e non particolarmente esaltanti,però sicuri. Molti ragazzi non ne hanno. Io non ho costruito niente, semmai sono andato dietro gli eventi che mi hanno fortunatamente concesso due figli svegli e una moglie che mi sopporta.Alle volte conta tanto la fortuna. Ai colloqui con i genitori, non trovate mai persone del tutto diverse dai loro figli o al contrario, straordianariamente uguali? Io comunque noto sempre quel che dice un mio collega, dopo aver incontrato i genitori degli allievi più “difficili”:”c’è stata un’evoluzione,un miglioramento.. Darwin non è morto invano!”. Grazie, salutoni.

  27. Alice ha detto:

    Anche io insegno alle superiori e mi domando: con l’aiuto di D’Avenia e di tutti questi accorati e sinceri interventi dite che ce la facciamo a fare capire che tanti insegnanti vanno a scuola non solo per lo stipendio….. In tanti pensano sia così e sanno solo criticare, ma purtroppo (ha ragione Mattia)in tanti sfruttano la scuola come “entrata” fissa senza dare niente ai loro studenti, i ragazzi se ne accorgono e la situazione peggiora si sentono sempre meno considerati.
    Comunque domani sarò in classe con un po’ di amici in più. Voi. Ciao

  28. MARIA ANGELA ha detto:

    Voglio esprimere solidarietà al professore ” di serie B ” come lui si definisce. E come lui ne esistono tanti che purtroppo vedono la realtà più vera ogni giorno e non formulano le loro opinioni guardando ad una realtà di nicchia. Non sono un’insegnante, faccio altro nella vita, ma sono una mamma. I miei figli frequentano scuole pubbliche e per fortuna sono della specie dei figli del professore S. Ma non sono tutti così e la colpa non è sempre e solo dei genitori.Come più volte D’Avenia ha denunciato mancano maestri di vita ed esempi credibili a tutti i livelli:nella famiglia,nella politica e spesso anche nella scuola .Qualcosa va cambiato nel profondo ,facendo ritornare di moda “gli ideali” e tutti quei valori di cui ormai non si sente più parlare e di cui abbiamo privato i nostri ragazzi.

  29. Pi Viedma ha detto:

    Cari Silvano e Alessandro:
    Scusatemi se faccio errori gramaticali ma sono spagnola e non ho studiato la vostra bella lingua. Ho fatto l’università di Filosofìa, ma dall 2006, insegno Religione alle medie e alla superiore in un liceo statale dove ci sono ragazzi di tutti “colori”. In questo liceo ho studiato anche io parecchi anni fa e, si può dire, non era molto brava. Anzi, quasi nessuno dei miei insegnanti avressero dato niente per me, per il mio futuro. Si fa fatica ad insegnare ai ragazzi diversi di come eravamo noi al ’99, ma che hanno bisogno di insegnanti che li guardano e li voglia bene, cioè, insegnati come voi, che sebbene si fa fatica a cercare la raggione dell nostro lavoro quando tutto è contro, qualcuno ti guarda e ti dice: “credo alla tua capacità. C’e la puoi fare!”. A me mi è capitato una volta, dopo vedere che mi avevano bocciato l’esame di storia, mi sono messa a piangere e il mio prof mi raccomendò di non smettere a studiare. Grazie al cielo, non è stato l’unico, ma questo fatto mi è resa conto della relevanza di insegnanti così. Silvano, se il 100% non possono-vogliono seguire le tue lezioni, devi andare avanti per quelli 30%. Sono convinta di che anche l’atro 70% se ne accorgerà dopo anni di te e forse, chissà, ritornerenno in scuola per ringraziarti. Vi saluto e vi abraccio. Pi

  30. Pi Viedma ha detto:

    Cari Silvano e Alessandro:
    Scusatemi se faccio errori gramaticali ma sono spagnola e non ho studiato la vostra bella lingua. Ho fatto l’università di Filosofìa, ma dall 2006, insegno Religione alle medie e alla superiore in un liceo statale dove ci sono ragazzi di tutti “colori”. In questo liceo ho studiato anche io parecchi anni fa e, si può dire, non era molto brava. Anzi, quasi nessuno dei miei insegnanti avressero dato niente per me, per il mio futuro. Si fa fatica ad insegnare ai ragazzi diversi di come eravamo noi al ’99, ma che hanno bisogno di insegnanti che li guardano e li voglia bene, cioè, insegnati come voi, che sebbene si fa fatica a cercare la raggione dell nostro lavoro quando tutto è contro, qualcuno ti guarda e ti dice: “credo alla tua capacità. C’e la puoi fare!”. A me mi è capitato una volta, dopo vedere che mi avevano bocciato l’esame di storia, mi sono messa a piangere e il mio prof mi raccomendò di non smettere a studiare. Grazie al cielo, non è stato l’unico, ma questo fatto mi è resa conto della relevanza di insegnanti così. Silvano, se il 100% non possono-vogliono seguire le tue lezioni, devi andare avanti per quelli 30%. Sono convinta di che anche l’atro 70% se ne accorgerà dopo anni di te e forse, chissà, ritornerenno in scuola per ringraziarti. Vi saluto e vi abbraccio. Pi

  31. don Sam ha detto:

    Ciao Alessandro, mi chiamo don Sam e sono un prete docente della diocesi di Imola (Bo). Ti parlo come insegnante. Mi unisco al tuo giudizio iniziale della risposta. Anche io sono orgoglioso di essere in comunione con colleghi che di fronte alla realtà dei giovani, della scuola e della cultura attuale non si tirano indietro ma vedono i volti degli alunni come una provocazione per crescere in noi. Come condivido appieno il fatto non si può vivere la scuola sentendosi da soli. Quando entro in classe mi porto tutta la mia vita, tutta la mia esperienza di umanità. Sarà una contro 30 ma è una. Ecco il mio ‘lavoro’ personale e ‘missione’ sociale è far uscire, valorizzare e rendere pietra questa umanità mia e del ragazzo. Che spettacolo la scuola e ogni ambito della vita. un caro saluto, dSam

  32. Giovanni De Bellis ha detto:

    Mia madre insegnava Latino e Greco al Classico e quando qualcuno si complimentava lei rispondeva che i complimenti erano da indirizzarsi agli insegnanti dei Professionali, i migliori insegnanti per capacita’ didattiche. Gli allievi dei licei sono fiori di serra; quelli dei professionali fiori di campo. Giovanni De Bellis

  33. Caterina Isoldi ha detto:

    a volte le sfide sono più grandi di noi. e ci troviamo senza braccia e senza gambe in un mondo che ci dice che è impossibile anche solo provarci!
    eppure
    più aspra è la battaglia più grande la vittoria
    http://thebutterflycircus.com/

    • Prof 2.0 ha detto:

      Vi leggo tutti con attenzione e imparo. Sto preparando un bell’articolo basato su questo dialogo. Vi ringrazio di cuore: quanto c’è da imparare! E se solo sapessimo parlarci…

    • maria rita ha detto:

      video commovente!!! è proprio vero, l’impossibile si realizza, ma abbiamo bisogno di un amico, di amici che ci rivelino a noi stessi.
      Questo blog mi piace sempre di più, mi fa sentire a casa, in mezzo a persone che condividono passioni come le mie, mi incoraggia a continuare lungo una strada iniziata anni fa e non ancora conclusa: grazie (come sempre!) ad Alessandro e a tutti voi.

  34. Fausto Tinti ha detto:

    Vorrei intitolare questo commento NON VOGLIO ESSERE CRONO ed usarlo anche come nickname.
    Ringrazio innanzitutto Alessandro D’Avenia per i suoi libri, il suo blog, i suoi articoli sulla Stampa (grazie anche a Mario Calabresi per queste “ubriacature di profondità”) e per aver scoperto, anzi riscoperto, la via delle domande dei giovani, dei loro sogni, e soprattutto delle responsabilità di noi adulti nei loro confronti e della loro vita.
    NON VOGLIO ESSERE CRONO perché sono forse inadeguatamente nella posizione di poterlo essere. Oltre che padre (6 figlie) anche assessore alle politiche giovanili di una piccola città (bastardo posto! Direbbe il maestrone Guccini) bolognese che per molti anni ha mangiato i suoi figli privandoli della vita e delle opportunità preferendo, nel pratico delle scelte politiche e civili, un mondo ed una dimensione adulta piuttosto che la scommessa sui giovani e sull’abituarli a trovare una strada e avere dei sogni che potessero poi essere i sogni della città. Un pasto fatto nell’abbondanza e nella ricchezza emiliana di vita e benessere civile (sono assolutamente d’accordo con Alessandro D’Avenia sulla natura prima di questa crisi che ci pervade e che rischia di disgregarci e farci perdere umanità prima che ricchezza). Il bastardo posto a cui tengo e’ oggi una città che vive molto del passato (non sulle radici) senza dei sogni per il suo futuro.
    Grazie ad Alessandro D’Avenia per avermi data la possibilità di pensare e costruire il lavoro di questo assessorato e faro’ di tutto perché lo sia anche della giunta e della città. Davvero grazie per questi pilastri indistruttibili.
    Ma vorrei chiedere ad Alessandro D’Avenia di completare (almeno per me e per adesso) l’opera di scrittore e di insegnante venendo qui, nella piccola città, ad entusiasmare e rianimare i giovani e la loro città nell’avere dei sogni e non delle attese, delle speranze piuttosto che delle certezze? Magari sognando un’intervista dialogo con chi ha fatto dei sogni una vita, la propria (ad es. Il maestrone!).
    F.T. (NON VOGLIO ESSERE CRONO)

  35. Lorenza ha detto:

    grazie Silvano e grazie a tutti i prof di questo dibattito
    grazie perchè non siete solo insegnanti ma anche educatori!
    e-ducare significa tirar fuori da ogni ragazzo quel 5% di buono che ha (e che a volte neppure lui riesce a vedere) e farlo diventare 6-7% anche 10-20- 99%
    siate contagiosi 😉

  36. Raffaella Nardini ha detto:

    Caro signor/professor S.B., sapesse quanto è fortunato!!! Se avesse in casa anche uno solo di quei ragazzi che ha a scuola forse allora sarebbe davvero sfortunato. meglio essere un docente di serie b(al quadrato) che un genitore della stessa categoria.
    Per capirci, di quelli che voi professori trattate da incapaci ogni volta che vengono ai colloqui mattutini o pomeridiani e che accogliete con un gesto di “caduta di braccia”. Lei essendo lì può essere una occasione per tutti quei ragazzi che magari non si aspettano più nulla e dai quali non ci si aspetta nulla. Capisco che è difficilissimo e che la colpa è sempre di noi genitori ma lei può essere nel fuoco di questi inferni di provincia una goccia d’acqua fresca. Sia felice dei suoi figli e pensi che, se è riuscito con loro, sicuramente senza accorgersene, avrà fatto qualcosa anche per quei ragazzacci che incontgra per 18 ore settimanali.

  37. Alef ha detto:

    Ho 16 anni e studio al classico. Un mio amico frequenta un professionale di provincia, e a volte ho incontrato i suoi compagni di classe. Sono rimasta abbastanza scioccata e ..intristita. Probabilmente non hanno mai letto un libro in vita loro, sono annoiati, ignoranti a livelli inenarrabili (“andiamo in gita a Cracovia…ma dov’è? Ah, la Cracovia è uno stato mi sembra!”). Non hanno argomenti di conversazione a parte il calcio, gli insulti e i racconti di cos’hanno fatto il sabato, in discoteca con le “tipe”. Le ragazze, poi, non parliamone…si danno come niente e si lamentano se i ragazzi dicono che sono tutte “poco di buono”.
    Mi viene una tristezza infinita! Non saprei veramente cosa fare per loro. Forse è nella natura delle cose ma..sicuramente si può fare qualcosa! professori motivati e che riescano a trasmettere passione e valori li aiuterebbero…
    se gli insegnanti non hanno più in testa i loro obiettivi e non ci credono in prima persona non si smuoverà mai nulla.
    Vi ammiro, voi che lavorate con il cuore e sbattete la testa contro le sfacettature della mia generazione..

  38. anna d'arpa ha detto:

    Il mio alunno Tonino mi è accanto mentre Vi scrivo, invitata a farlo dalla mamma del prof-scrittore.Tonino ha 14 anni,nelle mani calli spessi ,duri, nodosi.Come me vive a Palermo e frequenta,per la terza volta,la Prima Media.La sua storia è simile a quella di tanti:Tonino “tiene famiglia” e la famiglia “tiene lui”,non c’è altro da dire ne da raccontare.Ogni giorno viene a scuola e il pomeriggio a lavorare.Mi ha detto che per lui la scuola è un carcere,ma è un obbligo e lui deve resistere…o gli mandano i servizi sociali…Tonino ride,a scuola si diverte: Gioca a nascondino,decora le pareti,fa giochi di prestigio con le cose dei compagni,corteggia le ragazze di diverse classi,aiuta le bidelle, trasporta libri,banchi e lavagne, sfotticchia quacheduno ed ogni tanto picchia,ma tanto per scherzare…Insegno da trentanni e dopo 15 in una scuola voluta e sostenuta dalle famiglie , negli ultimi 15 ho vissuto con tanti Tonino, ho pianto e riso con loro,molti li rivedo padri di figli,alcuni mi hanno tirato pietre altri mi son venuti a salutare prima di partire militare .Li abbiamo,i miei colleghi ed io,sostenuti quando erano abusati,offesi ,defraudati del diritto allo studio da altri colleghi o dalle istituzioni.Tonino ha l’aula senza maniglia,usiamo un laccio per chiuderla ed aprirla.Tonino non puo andare in palestra perchè non è agibile,la proffy che è in “gamba” lo accompagna con tutta la classe,quando può, alla villa .Tonino aveva il sostegno , legge male,scrive poco,gli piacciono i film…potrei continuare ma non vi voglio tediare…torno a lavorare…con Tonino.TVB a tutti da me e da Tonino

  39. G.L. ha detto:

    Eroi che lottano contro una scuola in disfacimento, questa definizione mi sento di dare a tutti coloro che, come noi, si trovano davanti dure barriere da abbattere. Insegno da tre anni in scuole private (chiaramente per necessità) e posso assicurare che lì il quadro è di gran lunga più drammatico rispetto a quello delineato dal nostro collega. Quando si entra in classe si hanno mille propositi su come motivare, appssionare e interessare i ragazzi, ma poi ci si scontra con la loro indifferenza, con le loro battute su di te, provano a farti sentire una fallita (mai ci riescono). Quando leggo i tuoi libri, scopro un’altra realtà possibile, uno squarcio di luce nel grigiore della vita di un’insegnante anonima e allora mi dico che, fosse anche per un solo studente su venti, vale la pena di dare tutta me stessa quando sono dietro la cattedra. E, almeno su due studenti, l’esperimeto sta riuscendo. Sembra incredibile, ma sono riuscita a farli commuovere spiegando il canto V dell’Inferno dantesco. Per l’emozione che ho dato loro e che loro hanno dato a me, mi convinco sempre di più che insegnare è una missione, una vocazione. Insegnare non può essere un ripiego per chi nella vita voleva fare altro, ma deve essere una scelta sentita e consapevole da parte di chi, come te e come me, sente di poter dare qualcosa agli altri attraverso l’istruzione. Scrivo questo perchè sono molto giovane e mi rattrista vedere alcuni colleghi demotivati che non hanno nulla da dare cristallizzati nella loro bella cattedra di ruolo, mentre io e quelli della mia generazione sgobbiamo nelle scuole private. Questa gente non ha il diritto di dire che i giovani di oggi non danno nulla, perchè sono i primi essi stessi a non dare, col loro lassismo, colla loro indolenza, col loro dire “per domani studiate il cap. 2” senza spendere una sola parola su questo. Certo, affrontare situazioni delicate come quelle del nostro collega è dura, ma per poterlo fare, c’è bisogno di gente motivata e perdutamente innamorata del nostro bellissimo lavoro.

  40. Chiara ha detto:

    Salve, sono una ragazza di Messina che frequenta il secondo anno di Liceo Scientifico (anche se ho 14 anni). Nonostante l’indirizzo di studi da me scelto, però, so bene di cosa si parla qui: è assurdo per me anche solo pensarci, ma in una delle scuole più prestigiose della mia città ho trovato quello che per anni ho cercato – inutilmente – di evitare. Guardo i miei compagni e mi sento dire che son secchiona, che son la cocca dei prof; lo schifo che ho visto in provincia era decisamente meglio, considerando che era “dello sterco che studiava”. Adesso sono in mezzo a una massa di ignoranti (nel senso letterale del termine) che con la loro svogliatezza fanno rimanere indietro col programma praticamente tutti i prof e che pensano che tutta la vita sia fuori dai libri… Libri DI QUALSIASI GENERE. Mi danno della preferita solo perché so scrivere in italiano corretto e guai se faccio una battuta più difficile da comprendere rispetto ai loro standard con la prof. di Lettere, una delle persone più intelligenti, interessanti e acculturate ch’io abbia mai conosciuto! Poi non fanno altro che cercare un motivo per incastrarmi in questa situazione: l’insegnante con me ha un rapporto molto intenso perché io son affettuosa e lei ormai è la mia mentore… Ma pensate che loro possano comprendere questa situazione? Ovviamente no, e non fanno altro che pizzicarmi su questa mia ammirazione in modo decisamente inadeguato, perché non sanno e non vogliono sapere (l’ho accertato nel momento in cui ho cercato di spiegar la situazione nel modo più sincero e trasparente possibile).
    Ma fatto sta che mi trovo in una classe di alunni svogliati più di quelli di un industriale (un esempio ce l’ho col mio ragazzo, che ha una voglia assurda di imparare quello che ha scelto, perché adora l’informatica) che non sanno cosa fare della propria vita, ed anche dopo un anno – nonostante la classe dimezzata – non hanno intenzione di andarsene pur sapendo che questo non è posto per loro.
    Parliamo tanto di come devon reagire gli insegnanti… Ma gli alunni?

    • Monica ha detto:

      Finalmente qualcuno che ha capito che per dialogare, possibilmente in modo proficuo, bisogna essere in due e a scuola il rapoorto deve essere biunivoco: dall’insegnante agli studenti e, necessariamente, viceversa!
      A volte mi capita di dire ai miei alunni di non essere in classe come davanti al televisore, qui devono interagire!
      Tieni duro Chiara, perchè la vera “alternativa” sei tu!
      Un abbraccio

      • Chiara ha detto:

        Grazie mille per la risposta, son commossa! Gli insegnanti a mio parere sanno essere la “razza” migliore e peggiore allo stesso tempo, ma dipende dai punti di vista! È semplice prendersela col prof. quando non si studia e si prende 4… Eppure siete sempre lì, immortali che combattete per farci entrare dentro le testoline qualcosa, e non vi date per vinti. Credo meritiate la più grande ammirazione! Un bacio.

    • Chiara! ha detto:

      Ciao Chiara, ti capisco benissimo.
      Anche io sono di Messina e frequento il II scientifico… non c’è una persona nella mia classe che voglia veramente arricchirsi. Chi studia lo fa solo per il senso di dovere.
      Oltre ad avere lo stesso nome abbiamo anche una situazione simile, anche io ammiro molto la mia prof di lettere, credo che tutti i libri che ha letto le abbiano dato molto spessore, è una persona piena.
      Mi trovo spesso la sola ad avere gli occhi illuminati quando si parla di libri e cultura in genere, mi guardo intorno e vedo solo ragazzi svogliati. Ma questo non mi scoraggia…anzi! Mi ritengo fortunata di essere diversa e avere questa sorta di dono. Cerco sempre di “contagiare” un po’ i miei compagni, per quanto possibile.
      Ti posso solo dire di non mollare, se gli altri non capiscono è peggio per loro. E alla fine per i professori è gratificante anche vedere solo un alunno immerso nella lezione che abbia realmente sete di conoscenza.
      Buona fortuna;)

  41. Francesca ha detto:

    Mi sento coinvolta da ciò che è stato detto: sono anch’io una formatrice, una che lavora in quella stessa serie B del collega.
    È vero: se consideriamo la vita e la scuola un girone calcistico, dove chi fa più goal va in serie A, noi nella formazione professionale, senza dubbio, siamo in serie B. I nostri goal, ma soprattutto i goal dei nostri ragazzi, nessuno osa chiamarli goal.
    Ma credo che il problema sia soprattutto legato all’angolazione da cui si guarda il gioco, cioè con che sguardo guardiamo quella “strana cosa” che in qualche modo, tra una dormita, una canna, un riferimento alla mamma del nuovo arrivato, cerca di fare il nostro giocatore tra i banchi.
    Nessuno sano di mente, attraverso il grade schermo, oserebbe chiamarlo goal. E nemmeno noi saremmo definiti allenatori. Ma se guardi bene durante la partita che instancabile proponi, quello che ha fatto il giocatore di turno è il goal più bello della sua stagione e te ne racconto uno: ho deciso con la seconda di leggere “bianca come il latte, rossa come il sangue” (giuro, non è una ruffianata). Non è stata un’impresa facile, ho dovuto motivarlo e rimotivarlo ogni 15 minuti, quando l’attenzione cadeva e non ricordavano più perché io stessi leggendo. (Tra l’altro a questo tipo giocatori probabilmente nessuno ha mai letto un bel niente, neanche da bambini). Un po’ leggevo io, un po’ leggevano a casa. Poi ne parlavamo, senza voti, né pressioni “scolastiche”.
    La storia si presta molto a richiamare l’attenzione: non ne voglia male l’autore, ma il segreto è in qualche parolaccia piazzata qua e là. Un giorno un amico scrittore mi ha detto che in una classe che dorme, ogni tanto devi dire “culo” e la classe si desta miracolosamente. La parolaccia, non rivolta direttamente a loro (cosa rara anche questa), risveglia l’attenzione: “hai sentito che la prof ha detto cu..?” hai sentito che nei libri che si vendono c’è scritto merd…? Cisti (=figo)!”
    Catturata l’attenzione qualcuno si lascia anche trascinare nella storia, a modo suo, certo. Ed ecco Loris, che normalmente dorme con il cappellino sugli occhi e nessuno ha più voglia di svegliarlo, che si affaccia nell’intervallo e mi chiede se può avere il libro in prestito per leggere come va a finire. “sono preso bene”, dice. Io sollevo gli occhi al cielo, Loris è un dormiente, non ha goal da fare, che vuole nel MIO intervallo? Sorrido gli sporgo il libro, senza attenzione.
    Stavo guardando la situazione dall’angolazione sbagliata, quella del grande schermo, in cui la frustrazione di un lavoro faticoso ha il sopravvento. Ma per fortuna non siamo soli, e la mia collega più attenta di me commenta l’accaduto “hey, che successone con Loris! Ha detto che è preso bene” . Mi desto. È vero è un successone. E io nemmeno me ne stavo accorgendo! Grazie collega Enrica che mi hai ricordato dove devo mettermi per vedere bene la partita dei miei giocatori.
    E dopo? Loris è tornato a dormire. Ma ha fatto un goal e non vedo l’ora di riaprire quella partita.

    • Prof 2.0 ha detto:

      Grazie cara Francesca. Il tuo racconto da una frontiera spesso difficilissima mi aiuta e mi ricorda ancora una volta che essere insegnanti è tenere pulito lo sguardo sulla bellezza che a fatica compare. Dai un abbraccio a Loris e ringrazialo per il suo interessamento. Digli che dopo Leo, tocca a lui cercare la Bellezza, il Bene, la Verità. Buon lavoro, collega!

  42. Annalisa ha detto:

    Visto da un’angolatura diversa: sono un’insegnante di lettere, precaria ormai da dieci anni (spero che il 2012 mi sia propizio a tal proposito – utinam!) e da sette presto servizio in un istituto professionale statale. La mia storia è particolare: sono nata e cresciuta in una ricca città dell’Emilia, dove ho iniziato a fare le prime supplenze dopo l’abilitazione.Lì, però, le chiamate arrivavano solo ed esclusivamente dalle scuole medie, e il mio desiderio era quello di lavorare alle superiori. Così ho tentato anch’io la via della Lombardia, ed ecco che mi chiamano: in un paesotto perso tra la nebbia, in un IPSIA, indirizzo meccanico. Ho accettato, non senza timori. Mi sono dovuta adattare a una realtà completamente nuova e difficile: è vero, gli studenti del professionale non sono motivati, molte volte queste scuole non sono altro che un refugium peccatorum; bisogna aspettarsi di tutto e niente: maleducazione e inciviltà da una parte e mancanza totale di attenzione, partecipazione, collaborazione dall’altra. O almeno, al primo impatto così sembra.
    Oggi, dopo sette anni in cui ho combattuto per restare in questa scuola – ogni anno, alle convocazioni, ho fatto carte false pur di rimanere; ho anche rifiutato una cattedra annuale in un altro istituto e accettato invece una maternità per non andarmene – posso dire che è una scuolain cui ho imparato ed insegnato tanto, in cui ho incontrato persone speciali, in cui ho visto ragazzi crescere, maturare, cambiare, diventare pronti ad affrontare la vita. Ho visto alunni che sono andati all’università (sì, ogni tanto capita anche al professionale!) e altri che hanno trovato un lavoro che li appaga; ma soprattutto, ho trovato tanta umanità e tanto affetto. Non mi sento affatto un’insegnante di serie B: faccio il mio lavoro con impegno e serietà e riesco ad ottenere grandi soddisfazioni, a volte proprio da quelli da cui non te l’aspetteresti mai. Ed il bello è proprio quello: non si dà mai niente per scontato, ma poi i “regali” arrivano, inaspettati e per questo ancora più graditti.
    Quest’anno, per la prima volta, ho dovuto accettare uno spezzone per completare la mia cattedra, le ore rimamenti le ho in un liceo: é un’esperienza interessante e allo stesso tempo avvilente.
    Sono più che mai orgogliosa di dire che io sono un’ “insegnante da professionale”, e spero di esserlo ancora a lungo.

  43. adam aouni ha detto:

    ciao professore sono sempre Adam faccio un professionale e posso dire che non tutti gli IPSIA sono degli ammortizzatori sociali. Nella mia scuola di 900 ragazzi dove abbiamo corsi di meccanica , odontotecnica , grafica , elettronica ,termo. Come ragazzi siamo molto attivi ci interessiamo delle lezioni dibattiamo su i problemi di attualità come recessione, spred, Bce ecccc. e vorrei dire che un professionale e un mondo vero che ti insegna ha stare nelle realtà ha combattere per sopravvivere un po come la teoria delle specie di Darwin ti forma come persona ti da un carattere ti da coraggio e non e vero che siamo demotivati ,le motivazioni le devo dare i prof un po come ne calcio gli allenatori se un prof e già demotivato di suo e non ci crede non si deve lamentare. vorrei dire una cosa al prof del professionale non si scoraggi ci creda sempre vedrà i suoi sforzi non sono in vani ciao PROFFFFFF
    PS scusate per gli orrori ortografici

    • Prof 2.0 ha detto:

      Caro Adam, grazie per la tua lettera. Vorrei che tanti la leggessero. Se mi dai il permesso la userò per il mio blog. Ti va? Correggiamo gli errori o li lasciamo così?

      • adam ha detto:

        ciao ok non ce nessun problema per me va bene .ti posso dare un consiglio il suo prossimo libro lo scriva su un professionale ma dal punto di vista del ragazzo che sta nel banco come se fosse una prigione una pena da scontare e il titolo magari potrebbe essere PIU CHE UNA SCUOLA UNA PRIGIONE CIAO PROF

  44. Melissa da Prato ha detto:

    Al professore dell’istituto professionale vorrei dire soltanto una cosa, non si errenda! So che è difficile affrontare tutti i giorni una giornata lavorativa in una scuola dove si rifugiano ragazzi che APPARENTEMENTE sembrano dei nullafacenti, io stessa ho avuto modo di venire a conoscenza di alcune dinamiche scolastiche che avvengono in tali istituti frequentando un liceo di fronte ad un istituto del genere, ma sappia che finchè ci saranno professori come lei che tentano con la loro passione e con il loro impegno di cambiare le prospettive di vita future dei loro alunni, allora credo che ci sia ancora una speranza per tutti noi uomini e donne del prossimo domani…
    Questa mia frase potrebbe risuonare persino scontata ma non importa, si ricordi che sono le persone come lei che fanno la differenza,l’importante è ricordarsi che sotto ad ogni offesa, atteggiamento aggressivo o comportamento maleducato c’è sempre e sottolineo SEMPRE un disagio che con pazienza, tenacia e disponibilità può essere affrontato e superato….
    Dietro ad ogni ragazzo c’è sempre una persona che tende la propria mano in cerca di aiuto…la bravura di un insegnante, in mancanza di una solida famiglia, sta nel saperla vedere tra la nebbia dell’ indifferenza e del menefrechismo generalizzato e afferarla con sicurezza e dolce commozione come un genitore prende per la prima volta tra le braccia il proprio figlio… Nella speranza che queste mie semplici parole l’abbiano almeno per un minuto fatto ricordare la fantastica possibilità e missione che i professori hanno nel lavorare con delle giovani menti…Melissa

  45. Claudia grottoli ha detto:

    Ecco cosa intendo quando dico conoscenza: guardare la realtà e concentrarci su ciò che io posso fare senza lamentele ma con la certezza che nessuno può fare miracoli ma qualcosa si può sempre realizzare, cambiare le famiglie che stanno dietro a certi ragazzi non si può ma aiutare qualcuno di quei ragazzi a crescere, forse è possibile, essere per loro incontro decisivo, forse è possibile e magari essi stessi potranno essere testimoni a loro volta per le loro famiglie così fragili.
    pochi secondi fa ·

  46. Bianca Fasano ha detto:

    ESSERE INSEGNANTI. ESSERE ALLIEVI. UN BREVE SCRITTO DI UNA ALLIEVA

    Vi sono tanti che, purtroppo, non riescono a comprendere cosa significhi veramente “essere insegnanti”. Quei “tanti”, a volte sono insegnanti. A volte.
    Noi “insegnanti” abbiamo contatto con individui veri. Non di quelli che si possono trovare sui videogiochi, che possono “morire” e basta un “push” per far ritornare in vita. I nostri allievi sono teneri esseri umani, che si “formano” nel magma del nostro “sociale”. Il virtuale imperversa nelle loro vite, la pubblicità gli offre realtà del tutto o in gran parte distorte, fasulle; la politica viene letta in differenti chiavi di lettura, ma resta, molto spesso, ciò che è: inconoscibile. Quanto la religione. Quei nostri ragazzi vengono a scuola da noi e noi insegnanti proviamo a comprenderli, ma prima di tutto, facciamo il possibile perché si comprendano e trovino uno spazio non virtuale nel mondo in cui vivono. Martina Iannone, di cui desidero pubblicare un breve testo, è uno di quegli allievi. Bella, tenera e forte, studentessa di liceo al Vomero (Napoli). Ha fatto e “messo giù” alcune riflessioni che penso siano importanti da leggere, anche per fare sì che non si pensi, con troppa facilità “dei giovani” le cose stereotipate e false che si pensano, troppo spesso e con facilità, di noi insegnanti. Bianca Fasano.

    “I veri eroi sono quelli che ogni giorno si alzano dal letto e affrontano la vita anche se gli hanno rubato i sogni e il futuro.Quelli che alzano la saracinesca di un bar o di un’officina,che vanno in ufficio,in una fabbrica.Che non lottano per la fama o la gloria, ma per la sopravvivenza.”
    Fabio Volo.

    Martina Iannone 19.2.2013

    E’ così!! Siamo noi gli eroi, giovani studiosi in cerca di uno stile di vita dignitoso e sicuro, ragazzi che lottano ogni giorno contro un’istituzione che gli sta togliendo il diritto alla cultura, un’istituzione che gli sta portando via il futuro. Ragazzi che abbandonano case e famiglie per inseguire sogni altrimenti inesistenti, ragazzi che vorrebbero solo poter dimostrare di esistere, che non è tutto finito, che siamo noi gli artefici del nostro destino e nessun altro.
    Ma poi ogni voce viene smorzata,ogni lettera strappata e buttata via, ogni idea dimenticata e veniamo abbandonati a noi stessi, ignari di tutto e coscienti solo di dover andare avanti.
    Fin da bambini ci insegnano a volare solo per poi tagliarci le ali, ci insegnano a scrivere solo per portarci via le parole e poi, alla fine, quando cresciamo e ci rendiamo conto della violenza che abbiamo subito, ci ritroviamo sul ciglio di una strada a rimpiangere i banchi scolastici. Rimpiangeremo compiti e interrogazioni perché il mondo che ci aspetta lì fuori non è determinato dai risultati di un test, ma dalla capacità di riuscire a salvarci da soli. Siamo circondati da lupi che si fingono pecore,ignoranti più delle capre ma pieni di sé come leoni.
    Cadono le speranze e la volontà di continuare a camminare, abbandoniamo la nostra strada e ne intraprendiamo una diversa, la maggior parte delle volte però è sbagliata. Diventiamo così automi o meglio burattini, legati alle mani dei potenti,cittadini solo di casa nostra e padroni neanche più di noi stessi. Così la società viene mantenuta a bada, con la convinzione che non ci sia una scelta o via di scampo.
    Ma siamo noi gli eroi,così come lo sono stati i nostri padri e le nostre madri, così dovremmo essere noi. Combattenti. Dovremmo combattere per ciò che crediamo giusto, per il nostro futuro, per la nostra vita e per la vita dei nostri figli e attualmente l’unico mezzo che abbiamo a nostra disposizione è la nostra mente, la nostra conoscenza. E nonostante stiano facendo di tutto pur di renderci degli ignoranti non dobbiamo cedere, ma continuare imperterriti nella convinzione che noi possiamo, che se facciamo dei sacrifici e studiamo è solo per noi stessi affinché ogni scopo o obbiettivo da raggiungere diventi concretezza.
    Smettiamo di credere a chi ci dice di sperare, perché ora come ora non c’è speranza e se non siamo noi a crearla non ci sarà mai!
    Ricordiamoci, che la vita di ogni giorno è una battaglia, una battaglia che non possiamo permetterci di perdere e che saremmo in grado di vincere solo nel momento in cui, tutti noi, arderemo la nostra libertà.

    Martina Iannone

  47. ignorante ha detto:

    Buongiorno. Ho 34 anni ed anch’io ho fatto il professionale. Quando mi sono diplomato ho preso il massimo dei voti. Poi mi sono laureato. Poi ho fatto l’esame di stato per diventare un libero professionista…
    e quando dico di aver fatto il professionale mi sento dire puntualmente che sono un ignorante. Ah il professionale…tutti ignoranti, meglio non insegnare li..è come dare le perle ai porci…
    Capisco perfettamente che la platea del professionale non è quella del liceo. Tuttavia faccio notare giusto per inciso che al liceo spesso e volentieri non ci vanno solo quelli che voglio studiare, i “secchioni” ma anche tanti figli di “papà” viziati (i futuri delinquenti col colletto bianco) ai quali tanto ci penseranno i loro papini a sistemare le cose.
    Faccio notare sempre per inciso che al professionale cosi come al tecnico spesso ci va chi non è certo di proseguire gli studi e non perchè non ha voglia di studiare ma semplicemente perchè non se lo puo permettere nonostante l’università possa mettere a disposizione dei servizi come una borsa di studio, l’accesso al servizio prestiti delle biblioteche e quant’altro.
    Poi mi domando: ma se non esistessero i professionali ed i tecnici, quelli che vogliono insegnare discipline tecniche di certo non potrebbero insegnarle o sbaglio? Perchè non mi risulta che al liceo classico o scientifico si insegni elettrotecnica o ragioneria, giusto? E se non ci fossero tecnici chi si occupano di svolgere compiti “pratici” ossia esecutivi nella società? Non penso che coloro che sono diventati dottori si “abbasserebbero” a farli essendo dottori o sbaglio?
    Allora mi domando e dico: non è che forse sono chiamato ignorante perchè qualcuno si lamenta di questo tipo di scuola senza considerare che ogni moneta ha sempre due facce ??
    A proposito ma Leonardo Da Vinci non era un artigiano…?? Scusate l’ignoranza. Ho frequentato il professionale…

    • Prof 2.0 ha detto:

      Grazie per la tua testimonianza. Sono convinto del fatto che la formazione professionale sia fondamentale e da rifondare.

  48. Rosanna ha detto:

    Salve a tutti, intanto grazie per questo spazio e per le parole che ho letto….sono un insegnante di matematica e stasera ero proprio giù di morale. Ho sei classi di un Istituto tecnico e professionale e anch’io come molti degli insegnanti che partecipano al dibattito, voglio bene ai miei ragazzi e mi dispiace quando non riesco a creare una relazione serena e a far amare la mia materia. A volte sento un senso d’impotenza quando vedo i ragazzi annoiati e demotivati e mi butto giù, altre volte cerco di pensare in positivo ……Sento molto la responsabilità del mio ruolo educativo e quindi la fatica e lo scoramento arrivano proprio di fronte a quei ragazzi che son senza famiglia alle spalle o peggio storie alle spalle dolorose e disorientanti……non so proprio che pesci prendere….

    una prof di matematica

    • Prof 2.0 ha detto:

      Cara Rosanna, io credo che ciò che ti accade sia proprio il segno del tuo essere un’ottima insegnante. Il dolore e lo scoramento per queste situazioni è già parte della soluzione: qualcuno che non si rassegna allo stato delle cose. Certo portare il peso di tutto questo non è facile, ci si riesce solo se si hanno colleghi e amici con cui affrontare insieme queste battaglie. Credo che questo sia l’unico modo. Tu per quei ragazzi resti forse l’unica possibilità di uno sguardo diverso sulla vita e loro sanno che in te possono trovare tutto questo. Se poi non vorranno farne tesoro sono fatti loro: noi non dobbiamo salvarli, ma metterli in condizione di scegliere come salvarsi.

      • Rosanna ha detto:

        Grazie per la celere risposta…..stamattina, dopo una lunga notte di ‘pensa e ripensa’, sono andata a scuola e ho voluto parlare da sola con Adam, il ragazzo che ieri mi ha letteralmente fatto diventare matta….Non avevo lezione con loro, si è certamente stupito del mio interessamento! Ho due figli, uno più grande e uno più piccolo di lui e nel sentir raccontare da Adam la sua storia del disinnamoramento per la scuola mi si stringeva il cuore di mamma……Ma giustamente l’emozione dura un attimo, si torna educatori e gli ho solo ricordato che
        io ci sarei stata e che la mia materia non è poi così male….

  49. Saverio Fanigliulo ha detto:

    L’INSEGNANTE

    Il nostro lavoro è quello di saper osservare, ascoltare, educare e formare cittadini proiettati nel futuro, etici, competenti.

    Il nostro mestiere non ammette distrazioni, superficialità e disinteresse, perché in ogni momento si è circondati da energia viva, sguardi attenti ai particolari, emozioni intense, singolarità diversificate e irripetibili, di un valore inestimabile.
    Il nostro sguardo profondamente umano cerca tutti gli alunni, nessuno escluso. Si posa su quel ragazzo della terza fila, che richiama la nostra attenzione perché diver-so dal solito, triste, estraneo. Sappiamo in cuor nostro che la nostra guerra sarà vinta solo quando avremo ga-rantito a tutti fiducia nella vita e successo scolastico, in specie al più piccolo, al più fragile, all’ultimo dei nostri allievi.
    Non riusciamo a trovare un attimo per riposare la nostra testa, il pensiero dei nostri alunni, uno per uno, si è insinuato ormai nella nostra mente e insistentemente cerchiamo e cerchiamo nuovi metodi, nuove strategie, altri contenuti, nuovi materiali per coinvolgerli tutti, specialmente Christian che spesso si assenta e a casa nessuno gli prepara la colazione e i vestiti caldi e stirati.
    Li aspettiamo ogni mattina con un sorriso che accoglie e dà serenità, ci sentiamo umilmente gratificati quando la nostra lezione è piaciuta, li ha coinvolti tutti, anche quello che l’altro giorno sembrava non esistere, con la testa poggiata sul banco.
    Qualcuno ci ha visti all’opera, si è accorto che con noi gli alunni stanno bene a scuola, vivono in pieno benessere sociale e culturale, allora anche loro s’interrogano, cercano e cercano nuove strategie, metodi innovativi, contenuti e materiali più vicini ai ragazzi, si lasciano contaminare da questa comunità così operosa e accogliente ed essi stessi contaminano altri e si sentono più vivi, più motivati, e il nostro lavoro diventa così il più bello del mondo, anche se siamo poveri.

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