2 marzo 2012

Eravamo quattro amici (prof) al bar

Typeverything.com
We not me poster by ChangethethoughtQuando ho cominciato a insegnare, 11 anni fa, un conoscente mi disse: “Per sapere qualcosa di una professione ci vogliono almeno dieci anni”. Mi sembrò un’esagerazione sul momento e un’assurdità dopo solo un mese di scuola: avevo visto abbastanza per scappare… Altro che dieci anni! Invece aveva ragione: comincio a capire qualcosa di questo mestiere adesso, dopo dieci anni suonati dalla prima campanella. E c’è una cosa che vedo sempre più chiara dopo tanti errori: la forza di una scuola dipende dalla forza delle relazioni tra colleghi.

Spesso i nostri sistemi educativi, improntati ad un illuminismo becero, sono basati sul fatto che basta pronunciare i concetti perché la mente li recepisca e li metta in pratica. Inventiamo le mille “educazioni” teoriche, come quella alla cittadinanza, credendo che l’enunciazione e lo studio di alcuni principi renderà i nostri ragazzi cittadini responsabili e rispettosi delle regole. E magari i colleghi dello stesso consiglio di classe non solo non si parlano fra loro, ma sparlano l’uno dell’altro…

Ho deciso di superare i normali muri presenti in ogni posto di lavoro, ma poco giustificati in un sistema non competitivo come la scuola, in cui fai punteggio per il fatto stesso di entrare in classe, e non perché lavori meglio o peggio (ma questa è un’altra storia…) e ho scoperto che superare questi muri è distruggere la incapacità di collaborare con gli altri, per la pretesa di essere migliore di loro o per la paura di essere da loro giudicato.
Ho trovato una ricetta, da buon siciliano, che mi sembra funzionare. Sono nato in una terra in cui l’affetto si manifesta in calorie e l’amicizia si nutre di lunghe, troppo lunghe a volte, chiacchierate postprandiali. Così ho deciso di pranzare ogni settimana con un collega diverso.

Alla fine dell’orario scolastico ci troviamo nel piccolo bar della scuola e sgranocchiando un panino ci raccontiamo dei ragazzi, delle materie, dei nostri interessi. Insomma facciamo quello che fanno gli amici: quando mettono in comune le vite raccontandosele.

Questo mi ha portato a scoprire le battaglie personali e familiari che molti miei colleghi conducono, spesso difese da volti inconsapevolmente arcigni (come sempre quando guardi da vicino il giudizio si trasforma in empatia), ho scoperto le passioni di alcuni di loro, ho scoperto che possiamo fare una lezione o un modulo intero in parallelo perché stiamo trattando gli stessi argomenti, ho imparato in un solo pranzo cose che due ore di preparazione personale non mi avrebbero consentito di raggiungere perché quel mio collega ha già approfondito quel tema in passato, ha già preparato una verifica su quell’argomento, ha appena letto un libro su quell’autore.
Uno dei miei colleghi scrive poesie e mi ha regalato il suo più recente libro, una collega mi ha dato uno spunto su un ragazzo da aiutare in un certo aspetto, un altro mi ha chiesto una mano per affrontare una difficoltà nelle relazione con alcuni alunni, un’altra mi ha spiegato alcune cose di fisica di cui sono a digiuno, un altro ancora aveva un dolore da condividere, un’altra invece una gioia, una collega ordina il panino vegetariano e un altro si sente inadeguato come padre. Insomma i pranzi con i colleghi stanno diventando una necessità, dei veri e propri toccasana all’individualismo o all’anonima burocrazia di alcune riunioni scolastiche in cui uno parla e gli altri si dedicano ad altre attività: proprio come fanno i ragazzi di cui ci lamentiamo.

Ogni tanto ci scappa un sorriso, una risata aperta, o magari gli occhi si inumidiscono, e questa umanità trabocca. E i ragazzi al bar ti guardano stupiti e scoprono che abbiamo bisogno anche noi di amici con cui confidarci, collaborare, lottare insieme.
Al pranzo di ieri abbiamo cominciato in due.
Alla fine eravamo sei.

Rubrica Per chi suona la campanella, febbraio 2012

28 risposte a “Eravamo quattro amici (prof) al bar”

  1. Sara ha detto:

    Molto interessante! E’ un po’ la scoperta dell’acqua calda. Nel senso che dal lato degli alunni i professori sono visti come un team.
    Quando alle superiori scoprivo che un professore non sapeva cosa faceva un altro oppure che un altro professore aveva un lutto o stava poco bene io mi stupivo sempre tanto. Anche in base a questo davo un giudizio di simpatia e rispetto. Se un professore vive su un mondo tutto suo e non interagisce con i colleghi come può essere in grado di interagire con noi?!?!?!
    Inoltre, il modo più bello per avere un bel rapporto con gli alunni è raccontare annedoti di vita.
    La professoressa che all’ultimo non si è presentata all’altare, per esempio, per noi era una star. Sapeva un sacco di cose ma le spiegava in modo noioso come un predica. La storia è una materia splendida. Se raccontata con delle battute rimane impressa.
    Ma lei ha guadagnato il nostro rispetto con quella storia. Anche se potevamo copiare ai suoi compiti e falsificare le crocette…

  2. Marta ha detto:

    penso che il rapporto fra alunni e professori sia ancora più importante…

  3. marco ha detto:

    Grazie per questa esperienza che hai scritto..mi rammenti che la mensa non serve solo a dar da mangiare al corpo,ma anche a spezzare il pane della condivisione…

  4. Francesca B. ha detto:

    Condivido pienamente. Ho iniziato dieci anni fa anch’io e quanto ho imparato e quanto sono cambiata, e come sono sfumate le false ambizioni, gli ideali non reali, le idee senza riscontro. E dopo dieci anni restano le competenze e le relazioni….le relazioni che hanno bisogna di cura, di attenzione, di sforzo e di rischi da correre. E sono quelle che sostengono, il confronto che fa crescere, che aiuta a superare le difficoltà, a guardare le cose da un punto di vista diverso. Però, a volte, dopo dieci anni, c’è la voglia di cambiare, di fare altro, di capire se questo lavoro è qui per un caso o è il mio lavoro. E non c’è risposta. Soltanto, ancora una volta, il bisogno di confrontarsi. E mi chiedo e mi chiedono: perchè non vai a lavorare nell’azienda di famiglia, a produrre l’olio, a respirare l’aria pura, a nutrirmi di “altre calorie”….Grazie.

  5. Afavordialibi ha detto:

    Nei miei ricordi di quando ero bambina, ci sono le riunioni di mamma il sabato pomeriggio.

    Forse perchè abitavamo in una piccolo centro ma lei e le sue colleghe si davano appuntamento ogni week end in una casa diversa, bevevano thè,parlavano di figli, di mariti, dell’ultimo pettegolezzo che girava in città e poi acchiappavano il registro e analizzavano ogni singolo studente:problemi personali, familiari, caratteriali, rendimento scolastico e cose simili.
    Il week end che venivano da noi, mio fratello ed io avevamo l’obbligo di non entrare nel salone dove avveniva questa riunione.

    Quando poi siamo cresciuti e quelle insegnanti sono diventate le nostre, ogni tanto spiavamo.

    Certo, sto parlando di venti anni fà,ma la buona scuola c’è sempre stata,secondo me.

  6. patrizia ha detto:

    Come te ho sempre sentito con quanta difficoltà ci si rapporta ai colleghi della stessa scuola. La difficoltà sta non nella cordialità più o meno quotidiana, ma nel non conoscersi e nei fraintendimenti generati dalla scarsa conoscenza. Mettiamoci anche lo stress da insegnante che complica la comunicazione interpersonale. Così oscillo tra periodi sereni di calma relazionale a periodi di insofferenza. Il metodo del pranzo con un collega può essere una buona idea ma non per tutti realizzabile.

  7. maria rita ha detto:

    Come è vero quello che scrivi!!! Anche io provengo da una terra dove il cibo nutre i rapporti e dà allegria: la Romagna! E vivere e insegnare in Lombardia non è stato facile, all’inizio. Ma visto che tutti, prima o poi, hanno bisogno di condividere qualcosa di vero ecco che trovarsi a pranzo o a cena è diventata un’abitudine, soprattutto tra colleghi. Nella scuola dove sono attualmente trovo molte difese a lasciarsi andare da parte di alcuni, ma nell’altra scuola era abituale pranzare insieme, anche con il dirigente; ci siamo trovati perfino durante la settimana bianca a fare spuntini notturni, quando già i ragazzi erano chiusi nelle loro camere e ci ha guadagnato il nostro modo di insegnare e di capire i ragazzi. Ognuno di noi percepisce qualcosa di diverso e mettendo insieme le nostre osservazioni ci scopriamo più attenti e disponibili ad essere un riferimento. E poi siamo più contenti anche noi nella scoperta che l’altro poi non è poi quel “bip” che pensavamo fosse, ancorati al nostro irrinunciabile pregiudizio… Che fortuna hanno i tuoi colleghi a condividere con te le loro gioie e le loro fatiche! Piacerebbe anche a me, però non ho un “Alessandro D’Avenia” come collega e allora devo essere io a smuovere gli altri: è bello, ma è duro! Anche perché non ho più tempo per me…

    Ps e se ti invitassi a pranzo(cena), accetteresti il mio invito e ti sorbiresti una classica famiglia con 2 figli adolescenti un po’ rompi, ma tanto adorabili? non siamo lontani da Milano…

    Un grande abbraccio e continua nella tua missione: abbiamo tutti bisogno di colleghi così, non smettere di insegnare!

  8. PAOLA ha detto:

    Grazie perché hai la capacità di andare al cuore delle cose; grazie perché ancora una volta le tue parole mi commuovono (forse perché arrivano dopo una complicata settimana scolastica); grazie perché dopo dieci anni di scuola anch’io non mollo e continuo a pensare che, nonostante tutto,insegnare mi piace molto.

  9. Simona ha detto:

    Il tuo tentativo fa bene al cuore, sl tuo, a quello dei tuoi colleghi e a quello degli studenti che possono effettivamente vedervi sotto una luce diversa. Abbiamo bisogno tutti di comunicare di piú, di raccontarci e di accogliere l’altro senza avere paura. La paura ci limità sotto tanti aspetti , non dovremmo permetterglielo.

  10. chiara ha detto:

    la tavola, la condivisione del cibo è sempre un momento importante: io, che non insegnoa e faccio tutto un altro lavoro, ogni tanto organizzo dei momenti di scambio informali in ufficio, dei break in cui si condivide quello che qalcuno ha portato in ufficio; oppure ci troviamo per un lavoro manuale e un po’ poco gratificante e si finisce con mangiare la pizza insieme, con le mani ridendo un po’ gli uni degli altri…e poi ieri in un riunione con persone della nostra Direzione, ti senti dire dai tuoi collaboratori” E’ bello perchè qui ci sentiamo a casa e c’è sempre qualcuno che è dietro di te”… vale la pena spenderci del tempo, vale la pena investire in relazioni. Io non insegno, ma lavoro con entusiasmo e cerco di trasmettere la mia esperienza alle persone che lavorano con me e per me e mi piace tanto. Grazie prof perchè mi stimoli sempre e mi fai scoprire lati positivi della vita di tutti i giorni, con uno sguardo positivo al futuro. Buona strada. Chiara

  11. Simona ha detto:

    Quattro amici al bar, quattro vite da raccontare, quattro confidenze da ascoltare. Allora, diciamolo pure, tutti dovremmo passare la pausa pranxo in compsgnia e piú è varia, meglio è! La persona che a prima vista sembra tanto lontans da noi, potrebbe riservare piacevoli sorpre e noi non l’avremmo mai saputo altrimenti! Quanta paura abbiami noi per primi di esporci? Siamo sinceri e ammettiamolo! La veritá è che tutto dipende ds noi, se noi per primi mutiamo il nostro atteggiamento, l’approccio con chi ci circonda, l’ambiente muterá di conseguenza. come molti di noi, molti altri attendono in silenzio che qualcosa cambi ma bisogna pur prendere l’iniziativa! Lunedì pranzo sola ma Martedì invito l’arcigna segretaria del ragioniere…vuoi vedere che ci strappiamo un sorriso a vicenda?

  12. barbara bertesina ha detto:

    Eh..già, annosa questione , il rapporto tra colleghi, prof…ma forse hai ragione, tu alessandro, basta un piccolo passo e un sorriso in più….beh..un pranzo al giorno mi pare eccessivo..però un caffè magari….ho fatto leggere ” Bianca…..” in classe, con relativa verifica in classe, belle cose sono uscite. Grazie a te.Barbara( collega)

  13. roberta ha detto:

    Nasce proprio da questo spontaneo bisogno di condivisione e confronto il progetto STORIE DI DIDATTICA. LA SCUOLA CHE SI RACCONTA, un progetto di autoformazione basato sulla narrazione delle pratiche professionali e promosso dal network di insegnanti e formatori LA SCUOLA CHE FUNZIONA, in collaborazione con l’Università di Verona.
    Nell’epoca della scuola dei tagli, STORIE DI DIDATTICA rappresenta un’azione di resistenza creativa e propositiva allo svilimento del ruolo dell’istruzione e dei docenti. Perché una “scuola che si racconta” dimostra di saper riflettere sulle proprie criticità e intende valorizzare il grande patrimonio di professionalità che altrimenti continuerebbe a restare chiuso dentro le aule.
    Perciò grazie Alessandro per il “mi piace” al nostro progetto sulla tua bacheca fb. Conoscendo la tua visione della scuola, ci farebbe sinceramente piacere se tu potessi dare un’occhiata all’antologia di storie che si sta componendo giorno per giorno sul nostro blog e ci dicessi che ne pensi… come quattro prof al bar.

    http://www.storiedididattica.it
    http://www.storiedididattica.it/blog
    pagina FB storie dididattica

    L’invito a partecipare alla community è ovviamente esteso a tutti i docenti, educatori e formatori che leggono Prof2.0 e non rinunciano a credere nella scuola che funziona, nonostante tutto. ATTENDIAMO LE VOSTRE STORIE.
    GRAZIE e a presto!

  14. Narcisa ha detto:

    Tutto vero quello che scrivi: se la stessa cosa facessero i genitori, le famiglie … ‘aprendo’ gli occhi sulla vita, le gioie e i dolori delle altre famiglie, sono sicura che a guadagnarne sarebbe anche la scuola e di conseguenza la società. Un sogno?
    Ma … “Il segreto di un sogno è nel coltivare il principio di ispirazione: solo questo ci libera dalla prigionia del mi piace, non mi piace, mi va, non mi va… .” vero?! ciao! 🙂

  15. Patrizia, Acireale ha detto:

    E bravo prof, stai infilando una dietro l’altra, come perle di una collana,le tematiche calde della nostra scuola pubblica. I tuoi articoli che ricevono tanti consensi,speriamo vengano letti anche da Francesco Profumo che, hai visto mai, per una volta, con uno slancio di empatia verso gli insegnanti italiani, potrebbe dettare una circolare finalmente nuova, meno codicilli, politichese, protocolli e, al contrario, poche parole ma buone.Insegnanti svegliatevi,basta poco, seguite le dritte di Alessandro, allargate i vostri orizzonti, non appiattitevi solo sul programma. C’è la crisi, gli stipendi non aumenteranno, ma se voi farete meglio il vostro lavoro, questo paese può solo migliorare e vivere un nuovo rinascimento e anche il Pil si gaserà! Il vostro ministro
    (finalmente qualche data siciliana nei tuoi incontri!)

  16. lucia ha detto:

    Caro Alessandro, mi permetto di proporre qualche altro spunto di riflessione …
    Un insegnante può capire qualcosa del suo lavoro dopo dieci anni di esperienza, sono perfettamente d’accordo; aggiungo: un insegnante può essere molto appassionato della propria materia e un altro meno; oppure, perché no, uno stesso insegnante, normalmente brillante, può risultare affaticato se sta vivendo un anno particolarmente problematico sul versante familiare, o personale; alcuni insegnanti possono, spontaneamente, tessere relazioni personali e parlare tra loro degli studenti; altri possono avere più timore di essere giudicati (o non hanno ancora superato i famosi dieci anni…); un insegnante può avere competenze straordinarie nella propria disciplina, ma essere poco comunicativo, un altro può essere preparato in modo solo ordinario, ma avere apprezzabilissime capacità relazionali…
    Se ci pensiamo cosa stiamo dicendo di strano, visto che stiamo parlando di persone?
    Stiamo parlando di attività formativa, le risorse da gestire sono quasi completamente risorse umane.
    Il fatto è che, nella scuola, non vengono minimamente “gestite”, non si prevedono e organizzano (e retribuiscono!) spazi, tempi, mansioni, allo scopo di creare le condizioni affinché queste persone lavorino insieme, TUTTO viene lasciato alla buona volontà del singolo!
    Nemmeno nel più scalcagnato dei gruppi scout, tanto per prendere un esempio che ha in comune con la scuola l’attività basata sulle risorse umane (e il volontariato), nessuno si sognerebbe di pensare che, una volta designati coloro che si occupano dei bambini delle varie fasce d’età, resti solo da SPERARE che costoro siano “bravi” e responsabili!
    Invece nella scuola, continuamente, si genera e alimenta (la generano e alimentano proprio coloro che avrebbero la responsabilità di gestire!) questa falsa e dannosa idea che la scuola Ѐ l’insegnante! Falsa e dannosa ma comoda, perché se tutto deve essere lasciato alla buona volontà dei singoli allora quel che non funziona nella scuola è colpa dei singoli!

    • SILVANO ha detto:

      Secondo me, Lucia, hai centrato benissimo uno dei maggiori problemi della scuola. Io ho a che fare con dirigenti scolastici “fantasmi”, che i ragazzi non conoscono nemmeno di vista, non sanno chi sono..ti rendi conto? Che ti danno massima libertà di risolverti “come tu preferisci” un problema, salvo poi criticarti per come hai agito. Che ti dicono “in aula hai la massima libertà, nessuno ti può giudicare” come fosse un privilegio. Io invece, anche se ho superato la soglia dei dieci anni di insegnamento, vorrei essere valutato di tanto in tanto. Vorrei sapere se faccio bene o no, se ho ancora la capacità e la voglia di trasmettere qualcosa a ragazzi, a cui si chiedono cose che non possono dare e non quello che darebbero con facilità. Io nella Scuola vedo tantissime cose sbagliate e proprio nella classe dirigente, la parte che funziona peggio. Li chiamo dirigenti “ectoplasmi” o “ragionieri”. Capacissimi a fare i conti con i (pochi) denari a disposizione, ma bravissimi ad abbandonare gli insegnanti al loro destino, senza chiedersi che razza di squadra hanno a disposizione, se davvero ognuno è messo nel ruolo più idoneo, se non si possono proprio fare cambiamenti coraggiosi. Io non ho conosciuto che pochi, pochissimi, dirigenti scolastici bravi. Ho conosciuto degli sconosciuti; delle firme sulle circolari, delle sensazioni di impotenza peggiori della mia. So che ci sono. Vorrei che uno di loro mi desse torto e mi raccontasse che è possibile far funzionare bene una scuola, far girare quelle teste di rapa di insegnanti, come meccanismi ben oliati, capaci di far bene il proprio mestiere. Sono stufo di “fantasmi” lamentosi, che controllano ogni giorno i bilanci, come si controllano le azioni in borsa. Ne preferirei uno che mi facesse fare un paio di anni il bidello, ritenendomi “bollito” o che mi desse una mano forte, di quelle forti mani paterne e mi incoraggiasse a credere ancora nelle “persone giovani”, che chiamiamo studenti.

  17. antonio ha detto:

    penso che in moltissimi posti di lavoro la forza delle relazioni giochi un ruolo fondamentale . purtroppo nel posto in cui lavoro sto vivendo in trincea proprio per la pretesa di essere migliore e per la paura di essere giudicato! che guaio. io la forza di fare quello che stai facendo tu non ce l’ho . o forse ho troppa paura.

  18. Monica ha detto:

    Credo (e sperimento)che davvero che la collaborazione e il confronto tra colleghi possa fare la differenza! Per questo continuo ostinatamente su questa strada, è una cosa che fa bene, la cerco e la mantengo, non importa se ufficialmente non è compresa, se qualcuno non ci crede, se ad altri non interessa…io ci provo! E questa strategia non mi ha mai deluso.
    Anzi, credo anche nel confronto generazionale: gli insegnanti giovani mettono l’entusiasmo, quelli “senior” l’esperienza e l’insieme delle due cose è una combinazione vincente! Garantito!
    Mantengo ancora relazioni con colleghi conosciuti in altre scuole, con alcuni dei quali sono nati veri e propri rapporti di amicizia.
    Perciò, vivo come pregio il mio essere una gran rompiscatole da questo punto di vista!!!

  19. Caterina ha detto:

    tutto ciò è bellissimo…

  20. Melissa da Prato ha detto:

    Che cosa bella! Condividere del tempo con i propri colleghi anzichè parlargli alle spalle…non bisognerebbe meravigliarsi di questo ma in realtà è sempre più raro vedere colleghi di lavoro essere amici…scommetto che i miei professori non sanno nemmeno i nomi dei loro colleghi, così come non sanno quelli dei propri alunni…vi dico solo che alcuni di questi prof ai ricevimenti con i genitori si portano dietro la foto di classe e prima di parlare con il genitore gli chiedono di indicare sulla foto chi è il relativo figlio…scandaloso…

  21. Federica ha detto:

    Grazie per aver aperto, anche a noi genitori, uno squarcio nel mondo chiuso dei prof.
    Ci aiuti ad eliminare stupidi pregiudizi e indifferenza verso la classe degli insegnanti.
    Dio ti benedica.
    Federica

  22. Don Ivano Zaupa ha detto:

    Ciao Alessandro. Sono don Ivano, un prete della diocesi di Concordia – Pordenone, situata tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia… vicino a Jesolo dove tu, proprio domenica scorsa hai fatto una testimonianza in occaione della Festa dei Giovani organizzata dai Salesiani e di cui alcuni miei animatori – che vi hanno partecipato – sono rimasti piacevolmente stupiti.
    Beh; desidero comunicarti questo mio pensiero dopo aver letto il tuo articolo su ” NOI Genitori e figli”.
    Sono pienamente d’accordo con te: oggi ci troviamo a vivere in un mondo dove si fatica a comunicare i veri sentimenti che teniamo nascosti, o per vergogna, o perchè nessuna ci ascolta, soprattutto se chi vive queste problematiche ha a che fare, o per professione o per vocazione, con il meraviglioso mondo dell’educazione.
    Oggi, in particolare noi preti, abbiamo paura di avvicinare le persone che vivono questi disagi perchè sembra quasi di invadere la loro privacy, ma la realtà è che non abbiamo il coraggio di testimoniare la bellezza della vita e la straordinaria importanza delle sane relazioni.
    Ti ringrazio perchè ho trovato un incoraggiamento a seguire questa via, apparentemente tanto scontata per noi preti, ma che in realtà spesso rischiamo di abbandonare.
    Ti auguro ogni bene nel Signore Gesù, il crocifisso risorto, e mi auguro di poterti conoscere personalmente in qualche occasione….magari accogliendo un mio invito – essendo responsabile della Pastorale giovanile diocesana – ad un incontro con gli adolescenti e i giovani della mia diocesi.
    Don Ivano Zaupa

  23. Agata ha detto:

    Bella idea! Nella mia scuola solitamente pranziamo insieme quando abbiamo qualche impegno nel pomeriggio. Diciamo che non sempre sono dei pranzi così conviviali, spesso ci sono troppe questioni sepolte da qualche parte. Diciamo che nel mio caso il gruppo delle giovani (e precarie) è abbastanza affiatato e, a volte, rischia di essere anche più rumoroso degli alunni. Un abbraccio

  24. Roberta ferraris ha detto:

    Caro Ale, ti descrivi una scuola che, purtroppo, e’ privata. Nella scuola pubblica queste cose non esistono. Ogni giorno alunni e genitori devono combattere e emozioni e sentimenti non sono compresi nel pacchetto! Mi spiace dire queste cose ma la realtà che vivo al liceo scientifico Ferraris di Varese con due figli e’ questa. L’unica speranza e’ che, in un futuro, ci siano più insegnanti come te che insegnano per passione e non per portare a casa lo stipendio a fine mese!!!!!

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