10 maggio 2015

L’ora di lezione come la intendo ve la racconto al Salone del libro: un assaggio

ATTENZIONE: ci vediamo al Salone del Libro di Torino per Ciò che inferno non è: Sabato, 16 maggio alle 18.00, nell’Auditorium (quanto scritto in calce al seguente articolo in merito a luogo e ora dell’incontro sulla versione cartacea di TuttoLibri del 9 maggio è un errore)

BoyIl bel libro di Recalcati sull’ora di lezione ha scandagliato la criptonite della didattica: manca eros nelle lezioni. Si anela al sapere, sostiene Aristotele, per imitazione, perché ciò che l’uomo ama più di tutto è imitare. Per Girard il desiderio è sempre mimetico: è proprio la sollecitazione nell’allievo del desiderio di possedere una “cosa” bella, il sapere che il docente cerca e/o mostra e di cui è mediatore. Recalcati descrive con grande perizia diagnostica le caratteristiche di questa capacità erotizzante, purtroppo interrotta in molti docenti, ma desume le soluzioni soprattutto dall’insegnamento universitario, nel quale l’ora di lezione è “scelta” dagli studenti e il docente può concentrarsi sulla trasmissione del suo eros per ciò che insegna.

Nella nostra scuola le cose sono diverse. L’eros per essere fecondo si deve muovere in tre direzioni, dal momento che i ragazzi sono “obbligati” a quella lezione, hanno scelto un percorso generico, ma non quell’ora né quel docente. In classe, per trasformare l’obbligo in eros, quest’ultimo deve diventare tridimensionale e tridirezionale: non solo amore verso ciò che si insegna (erotizzare l’oggetto del sapere secondo la versione lacaniana di Recalcati), ma anche per la vita della persona a cui lo si insegna e per il modo (non è solo questione di stile e di voce) in cui lo si insegna. Senza queste tre dimensioni (coltivate in sé) o direzioni (coltivate per gli altri) non si dà lezione: amore per ciò che si insegna (conoscenza e passione: studium), amore per il chi a cui si insegna (empatia: non sentimentalismo, ma riconoscimento dello studente come soggetto di un “inedito stare al mondo” e non oggetto da cui ottenere prestazioni), amore per il come si insegna (creatività che rinnova ogni lezione in base ad allievi e contesto: metodo). Senza questi tre elementi l’ora di lezione genera contro-effetti: noia, avversione, disinteresse. Solo se amo Leopardi, solo se amo trasmettere Leopardi a quei ragazzi con quelle caratteristiche, solo se amo come trasmettere Leopardi a quei ragazzi con quelle caratteristiche, allora Leopardi entrerà in classe e prenderà il mio posto sulla cattedra e io ne sarò solo il postino, che porta proprio al tuo indirizzo le altrui lettere.

Una classe di qualche anno fa era stata segnata da un suicidio in una delle famiglie dei ragazzi, proprio all’inizio dell’ultimo anno. Leopardi inaugura il suo percorso poetico e filosofico proprio a partire da questo tema. Mi chiedevo come fare? Nascondere Saffo e Bruto e il famoso frammento sul suicidio? No. Anzi, partire proprio da lì, sostando sulle parole del recanatese per trovare la capacità di sostare nella nostra condizione di drammatica finitezza, considerarla e abitarla. A che cosa serve la cultura se non ad abitare meglio la vita, proprio dove si sgretola? Per Rilke ogni opera d’arte è frutto dell’essere stati in pericolo, un pericolo buono, che obbliga chi le si accosta a chiedersi su che barca attraversare l’abisso. Caproni ribadiva che il poeta è un palombaro che scende nell’abisso, affronta silenzio e solitudine ma, quando arriva in fondo al cuore, ci trova tutta gli altri uomini. Non basta l’eros per Leopardi, occorre eros per le vite dei ragazzi e per come Leopardi parlerà a quei ragazzi.

Solo quando il sapere orienta è fecondo per un adolescente, risveglia i sensi irretiti dalle superfici degli schermi verso il senso come significato da dare ai fatti della vita e verso il senso come direzione da dare alla vita intera. Dante, quando incontra il suo maestro di studi, Brunetto Latini, riassume così: “ché ‘n la mente m’è fitta, e or m’accora, / la cara e buona imagine paterna / di voi quando nel mondo ad ora ad ora / m’insegnavate come l’uom s’etterna”. Il ricordo gli ferisce la memoria nelle due dimensioni, mente e cuore, perché insegnare è generare intelletti d’amore (cuori intelligenti o intelligenze accorate), portando avanti “ad ora ad ora” un unico tema: come l’uomo, con la sua opera, in ogni campo, possa abitare la sua finitezza e trascenderla.

Oggi abbiamo ridotto tutto alla prestazione, il “programma”; si corre angosciati, invece di sostare nella bellezza che ha valicato il momento in cui è stata creata, insediandosi in un tempo salvo dal flusso. Il sapere è desiderato se serve a eternarsi, cioè a vincere il tempo, trascendendone il flusso di fatti e di dati, con opere durature e integrali, e non effimere emozioni antologiche o nozionismi sterili. Faremo centro (andremo al centro, in profondità) sole se torneremo a mirare più in alto, come gli arcieri di Machiavelli: “gli arcieri prudenti, ai quali parendo il loco dove disegnano ferire troppo lontano e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per giungere con la loro freccia a tanta altezza, ma per poter con l’aiuto di sì alta mira pervenire al disegno loro”.

Ma si può, in un sistema che mortifica gli arcieri, anche i più preparati, pretendere così alte mire erotiche?

TUTTOLIBRI, La Stampa, Edizione speciale per il Salone del libro 2015, 9 maggio 2015 – link pdf

10 risposte a “L’ora di lezione come la intendo ve la racconto al Salone del libro: un assaggio”

  1. Luisa ha detto:

    Ciao Alessandro, sono rimasta molto colpita dal tuo articolo.
    Sono una ricercatrice e non una professoressa, ma mi capita a volte di insegnare a studenti e bambini.
    Forse potrà sembrarti strano, ma le lezioni per me più riuscite sono proprio quelle che mi danno come un brivido lungo la schiena mentre parlo. Lo percepisco lì, davanti alla mia platea e che ben si identifica con quel sorprendente eros di cui parli.
    L’amore verso ciò che si insegna è più che mai importante per un lavoro come il mio: penso che non avrei mai potuto occuparmi di nient’altro che di scienza. L’amore verso chi si insegna è il motore che mi spinge a offrire tutto quello che so, anche quando sono stanca, pensando di avere davanti sempre e comunque delle persone speciali: sono convinta che in ogni ragazzo ci sia almeno un talento da mettere a frutto. L’amore per il modo in cui si insegna è il mio desiderio di stupire e interessare i ragazzi, cercando di strappare un sorriso o una scintilla di interesse nello sguardo di tutti.
    Quanto queste condizioni si realizzano, allora sento quel brivido.
    Grazie per le cose belle che scrivi.

  2. Calogera ha detto:

    Leggere i tuoi ultimi due post mi ha riportato alla mente una poesia di un nostro conterraneo:
    C’è chi insegna
    guidando gli altri come cavalli
    passo per passo:
    forse c’è chi si sente soddisfatto
    così guidato.

    C’è chi insegna lodando
    quanto trova di buono e divertendo:
    c’è pure chi si sente soddisfatto
    essendo incoraggiato.

    C’è pure chi educa, senza nascondere
    l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
    sviluppo ma cercando
    d’essere franco all’altro come a sé,
    sognando gli altri come ora non sono:
    ciascuno cresce solo se sognato.

    CIASCUNO CRESCE SOLO SE SOGNATO di Danilo Dolci.
    La condivido con te e con i tuoi lettori.

  3. Valentina ha detto:

    Ciao Alessandro,
    sono rimasta molto colpita dal tuo articolo perché ho trovato le parole che descrivono quello che provo a fare nel mio piccolo. Purtroppo sono dovuta venire in Francia per potere fare l’insegnante perché è sempre stato il mio sogno ma l’Italia non mi ha permesso di realizzarlo. Insegno Italiano (lingua straniera) in una scuola media di banlieu nel sud della Francia. E’ il mio primo anno d’insegnamento e a settembre mi sono trovata molto in difficoltà perché dall’alto mi dicevano che dovevo seguire pedissequamente il programma mentre “in basso” avevo davanti ragazzi con grosse difficoltà (di ogni tipo) e zero voglia di fare quello che chiedevo.Dovevo trovare un modo per comunicare con loro. A dicembre ho abbandonato il programma, il libro di testo e ho iniziato a parlare in classe di argomenti/ autori che mi stavano a cuore: Dante (ho fatto leggere il primo capitolo del tuo primo romanzo per introdurlo!!), Boccaccio, Don Bosco, la Storia italiana, Caravaggio, Giotto ecc… Da quel momento in poi tutto è cambiato. I miei alunni sono cambiati, i loro occhi, i loro cuori. Ma non è un punto di arrivo perché l’anno prossimo avrò’ altri alunni e si ricomincia da capo! Per questo insegnare è cosi appassionante!Grazie mille per tutto quello che scrivi!!

  4. Fabrizia ha detto:

    Rinnovatemi le pieghe delle mani, voi insegnanti, facendole piegare nello stringere altro, qualcosa di nuovo e diverso dall’acqua del grembo di mia madre, il materiale concreto, nel grembo del mondo. Rinnovatemi le pieghe delle mani, ma esattamente sappiate che a volte non mi importa neanche del mio destino nel chiedervelo, di quello che ci sarebbe segnato, quello che dicono, m’importa piuttosto di me destinato, perché il primo avvertimento che ho del futuro sono io che mi sento inclinato a cercarlo.

    • Prof 2.0 ha detto:

      Cara Fabrizia, è un tuo pensiero?

    • Fabrizia ha detto:

      è il tuo pensiero, anzi forse è il tuo passaparola generoso, al quale ho provato a dare parole mie, quando l’ho ascoltato. Poi ho avuto il dono meraviglioso di sentire pronunciare le stesse cose con parole ancora diverse, dai ragazzi che mi parlavano e mi chiedevano di parlare nelle classi che ho avuto in dono brevemente, come supplente. è la voce che nella vita mi parla forse più di tutte. come quando qualcuno risorge e lo devi riconoscere nel giardiniere, nel pescatore… non pare lui ed è sempre lui, come in un gioco, ma di importanza capitale.

  5. Vecuum ha detto:

    Vada a lavorare in un scuola pubblica statale e poi ne riparliamo.

  6. Nino ha detto:

    Caro Alessandro, sono Nino, un seminarista di Palermo della parrocchia del nostro mitico don Pino. Siccome i miei superiori mi hanno mandato a studiare a Napoli per la specialistica, sono felice di poter partecipare all’incontro che terrai a Sorrento questo sabato. Porto con me alcuni amici seminaristi di quella diocesi coi quali svolgo l’attività pastorale nel fine settimana e che ci tenevano a conoscerti (uno di loro me lo trascino quest’estate a Brancaccio per rimboccarsi un pò le maniche coi nostri ragazzi). Spero di poterti salutare allora Sabato, non scappare!! Ahahaha

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