14 giugno 2011

La meglio gioventù

Per parlare dei ragazzi bisogna guardarli e ascoltarli. Non in televisione, ma in carne e ossa. Da quando insegno ho sempre avvertito una certa distanza tra i ragazzi che incontravo in classe e quelli raccontati dai media. Il ragazzo che emerge dai media non è reale: come il marziano che cercando di decodificare i segnali usati dagli uomini senza conoscerli pensa che il semaforo rosso obblighi a fermarsi e mettersi le dita nel naso. La distanza tra realtà e rappresentazione ha lentamente scavato dentro di me il desiderio di raccontare il volto dei giovani che le telecamere non inquadrano. I ragazzi mi sembravano molto migliori di come ce li raccontano, ma non volevo cadere nell’errore opposto: una rappresentazione ideologica nell’altro senso.

Posso essere felice?
Negli anni precedenti all’uscita del mio libro sono andato in giro per molte città italiane per conoscere realtà scolastiche diverse grazie all’esperienza di professore e a quella di esperto di educazione e media, punto di osservazione privilegiato per cogliere i bisogni di questa generazione. Dopo l’uscita del libro la mia possibilità di incontrare ragazzi di scuole e città diverse si è moltiplicata aldilà di ogni mia più rosea aspettativa, ed è stato uno dei doni più interessanti del libro. Sono stato in decine di scuole di tutto il Paese e ho incontrato migliaia di ragazzi, con un dispendio di energie ripagate cento volte tanto: chi sta con i giovani diventa giovane. Il libro era il punto d’appoggio su cui fare leva: durante gli incontri si partiva dal libro per raggiungere altri porti. Questo è accaduto senza forzature, perché erano i ragazzi stessi a porre domande a un interlocutore che ritenevano valido per il semplice fatto di aver parlato di certi temi in un romanzo. Ho trovato un’accoglienza sorprendente (in scuole di tutti i tipi), e spesso gli incontri si svolgevano in orario pomeridiano, a partecipazione libera: centinaia di ragazzi. Li ho visti rimanere oltre l’orario scolastico, ritardare l’orario del treno, organizzarsi affittando un pullman… per ascoltare un professore parlare di un libro. Mi chiedevo dove fosse la ragione di questa mobilitazione. La risposta era nelle loro domande: venivano per chiedere su dolore, morte, felicità, amore, sesso, Dio, fede, paura… Insomma quelle domande che ruotano attorno ai quesiti di sempre, riassunti nel grido: posso essere io felice? Percepivano nel libro uno spiraglio su un mondo desiderato. Niente muove le persone come la felicità, niente muove un ragazzo o una ragazza come la possibilità di raggiungerla.

Donare il tempo
Mi ha colpito il fatto che mentre molti adulti mi ringraziano o criticano per quello che faccio o dico, per la mia performance, i ragazzi ringraziano soprattutto per il tempo che dedico loro: «Grazie per il suo tempo» è il grazie più frequente. Così ho capito che prima ancora di giudicare i ragazzi che ho di fronte devo giudicare l’uso che faccio del mio tempo: quanto tempo dedico ai miei alunni al di fuori delle ore in classe? Tempo di quello vero: che prendi e butti via per loro. Donare tempo è l’unica forma di amore reale: Dio si è fatto tempo per regalarci il senza tempo. Il ringraziare per il tempo donato manifesta due punti forti di questa generazione: la silenziosa richiesta di ascolto da parte degli adulti (che rinfacciano loro proprio il fatto di non ascoltare, ma perché una persona ascolti deve essere prima ascoltata) e la capacità di ringraziare quando riconoscono la gratuità. Sono attratti dalla vita come dono, non come prestazione o come consumo egoistico.

Niente effetti speciali
Negli incontri non vado a fare pubblicità al mio libro, ma vado a complicare le loro vite, a spronarli, a metterli in crisi. Molti di loro escono in crisi, una crisi positiva, una benedizione, la crisi di chi scopre che può liberare delle forze imprigionate. Solo a contatto con la ricerca della verità le forze di un ragazzo si liberano, la libertà è messa in gioco. Non uso effetti speciali, solo le parole. E la parola che loro vogliono sentire non è quella che dà soluzioni, quella non l’ascoltano, ma la parola accompagnata da occhi che brillano, la parola vissuta, la parola che cerca la verità e la ama senza nascondere la fatica e gli insuccessi. Questi ragazzi hanno bisogno di persone che manifestino di non avere paura di vivere, anche se la vita fa tremare e non bisogna nasconderlo, solo così cominciano a generare la vita e si sentono spronati a farlo, nell’età in cui il loro corpo scopre di essere fatto per generarla. Ma abbiamo talmente anestetizzato la verità e virtualizzato la realtà che le verità più evidenti come il corpo, l’amore, il sesso, il dolore, la morte, la felicità, Dio… diventano allegorie ideologiche, ingabbiate in interpretazioni preconfezionate prima ancora di essere vissute, e questo vale anche in ambito cattolico.
Ho visto ragazzi creare canzoni, pezzi teatrali, balli, video ispirati al libro. Ho ascoltato confidenze disperate di ragazzi che non riuscivano a trovare un adulto a cui chiedere aiuto, ho visto ragazzi alla ricerca di un sogno diverso da ciò che si può comprare. Mi sembra di avere a che fare con una generazione che è stata generata biologicamente ma non culturalmente, e quindi è privata di un ordine simbolico e narrativo grazie al quale interpretare esperienze ed emozioni. Se manca il senso si perdono i significati. Dolore senza significato, vita senza significato, sesso senza significato… Ecco cosa cercano: una capacità di lettura della realtà, che se viene a mancare oscilla tra labilità delle emozioni (più forti sono, più mi sento vivo) e dipendenza dal più forte, dal così fan tutti (conformismo). Entrambi gli atteggiamenti scavano un pozzo di dolore nei loro cuori, una prigione interiore di noia e incertezza.

C’è bisogno di adulti
Quali le risorse da intercettare? Infinite. La loro fame è maggiore, perché più profonda. Più difficile da raggiungere perché più facilmente soddisfatta da surrogati.
Ho incontrato ragazzi che a 14 anni hanno già messo in piedi business leciti da centinaia di euro, ho incontrato ragazzi che a 16 anni hanno inventato una radio dal computer di casa loro, ho incontrato ragazzi generosi e disposti a mettersi in gioco per gli altri, se solo qualcuno sfida le loro vite e le inserisce in un orizzonte più grande. Ho incontrato anche ragazzi cinici, scettici: già arrugginiti e disincantati alla loro età, rifugiati in un mondo piccolo piccolo di affetti privati e ossessivi, droghe e disturbi di vario tipo, senza interessi o passioni, se non quelle capaci di scatenare adrenalina.
Ecco cosa mi ha scritto sul blog (profduepuntozero.it) una sedicenne: «Prova un giorno a travestirti da insegnante precario e a insegnare a una terza aziendale, dove sono tutti ragazzi che spacciano a cui non importa nulla di avere un diploma… O semplicemente nella mia classe, ghetto di ragazze popolari che arrivano la mattina strafatte di canne e dormono tutto il tempo con la testa sul banco… Prova a insegnare Dante, Boccaccio e Petrarca a dei ragazzi che non sanno cosa vuol dire amare la vita… E i professori si lasciano trasportare, un po’ come quei ragazzi, a quella stessa condizione, pensando che non ci sia più nulla da fare. Il più di volte troviamo insegnanti con poca voglia di vivere, quindi di lavorare, quindi di insegnare. Allora la domanda che sorge è se non bisogna cambiare il mondo adulto prima di voler cambiare il mondo adolescenziale, prima di lavorare sull’insegnamento lavoriamo sugli insegnanti». Accolta la provocazione le ho risposto che sono stato precario sino all’anno scorso (33 anni), che ho cambiato due volte città (Palermo, Roma, Milano), che ho cominciato a insegnare alle medie e in un doposcuola di un quartiere disastrato della mia città natale. Ho incontrato ragazzi del liceo, ma anche di istituti professionali, tecnici, nautici e chi più ne ha più ne metta, e non li ho trovati meno motivati e reattivi dei primi, anzi, gli incontri più interessanti li ho avuti proprio in questo tipo di realtà. Le ho poi chiesto spiegazione su alcune delle dinamiche autodistruttive descritte e mi ha risposto: «Non tutti sono capaci di costruire il ponte della comunicazione tra alunni e insegnanti, certi ci provano ma usando un legno scadente che si distrugge alla prima bufera. Allora si rinuncia a ricostruirlo con gli strumenti giusti e si resta bloccati ognuno dalla propria parte senza possibilità di congiunzione. A me personalmente la distanza fa paura. Fa paura a molti ragazzi. Hanno paura che nessuno in realtà possa davvero arrivare a concepire almeno in parte il loro dolore, spesso perché a casa, la famiglia non si rende conto del disagio e li abbandona emotivamente a loro stessi, così quando arrivano a scuola cercano in qualche modo di attirare una silenziosa attenzione, cercano di esternarlo con comportamenti “animali”, sfogando una rabbia e una tristezza davvero spaventose. Ai ragazzi forse importa avere un diploma, il problema è che se non hanno le basi affettive indispensabili per affrontare la crescita con le sue difficoltà, non avranno le energie necessarie per arrivare a guadagnarselo. Se però sono stanchi a 16 anni e la vita ti annoia, probabilmente l’apatia affettiva li ha già svuotati e non sanno come andare avanti, con che forza e per quale scopo. I genitori sono lontani anni luce sensibilmente parlando. Allora ci provano con gli insegnanti, insomma con qualcuno che ricordi loro, e chiedono aiuto attraverso i loro comportamenti. Abbiamo pochi professori che se ne accorgono, pochi quelli che ci tengono davvero. Per questo sei l’eccezione che conferma la regola. C’è bisogno di adulti: chi c’è? Se fossi un’insegnante mi rimboccherei le maniche per fare la mia parte, non emarginando nessuno. Se fossi un’insegnante cercherei di sfruttare al meglio gli attrezzi che ho a disposizione». Io meglio non avrei saputo dirlo.

«Prof, avremo un futuro?»
La meglio gioventù c’è, ma la meglio “non-gioventù” dov’è? Il problema restiamo noi adulti e la cultura che abbiamo costruito attorno a questi ragazzi. Così mi scrive una maturanda: «La prof di italiano ci ha detto: Smettete di sognare, non ne vale la pena… perdete solo tempo… vivete con i piedi per terra perché con una generazione senza futuro e senza valori come la vostra solo vivendo razionalmente riuscirete a concludere qualcosa… Non date retta a certi professori che vi spingono a osare… a puntare in alto… a credere che ogni tanto la botta di “fortuna” arrivi per tutti… la fortuna non esiste… esistono solo raccomandazioni e raccomandati… quindi rassegnatevi…».
La misura alta del quotidiano di cui parlava il beato Karol è spazzata via.Il criterio di felicità è ridotto al successo e non alla capacità di sognare la vita che ci è stata data, accettare e trasformare il destino che abbiamo in una vita personale, vivendo per la ricerca di verità, bene e bellezza nello spazio consentito dai nostri limiti e pregi. La razionalità è pura funzione pragmatica. «Ho paura prof, tanta paura, paura di crescere, paura che la prof abbia ragione, paura di sognare. Sono demoralizzata perché mi rendo conto che forse non avremo mai davvero un futuro. È così brutto a 18 anni pensare questo…».

L’epoca delle passioni tristi
La meglio gioventù c’è, non c’è però speranza, perché le utopie si sono rivelate tali. La meglio gioventù c’è: c’è quella forte, con alle spalle famiglie forti, che stanno già costruendo il loro futuro e non aspettano altro che il tempo faccia il suo corso con chi li ha preceduti (la società italiana è una piramide rovesciata, pochi giovani portano il peso di un’Italia che invecchia). C’è la gioventù fragile, che soccombe sotto i colpi del cinismo e del disfattismo di chi spesso non vuole fare i conti con i propri fallimenti, ma anche questi cercano interlocutori per sopravvivere e a volte la loro fragilità esplode in richiami che non si possono ignorare: dipendenze, disturbi alimentari, suicidi. Sono i frutti più maturi della dittatura del relativismo. Ho sentito una professoressa dire, dopo un mio incontro: «A scuola dobbiamo seminare dubbi, non certezze». Io non semino certezze, ma voglia di vivere per la verità, il bene e la bellezza. L’alternativa non è tra dubbi e certezze, ma tra senso e non senso della vita. L’epoca delle passioni tristi (titolo di un libro che ogni educatore dovrebbe leggere) è l’epoca che ha imbrigliato le risorse migliori, perché la ricerca della verità è stata rimossa dal centro della società e delle relazioni. Non si genera vita perché si ha paura di vivere e si ha paura perché non c’è verità da seguire.
Chi paga la dittatura relativista sono quelli che per essenza sono fatti per la verità: i giovani. Le loro passioni tristi sono la nostra mancanza di vita interiore e di tempo, il nostro attaccamento alle cose prima che alle persone, la nostra fatica a donare, la nostra ebbrezza di carriere e consumi. Valgano le parole del rabbino di un romanzo di S.Zweig: «È più forte chi si aggrappa all’invisibile di chi confida nel percepibile, perché questo è effimero, quello permanente». Avremo il coraggio di tornare ad aggrapparci all’invisibile?

Avvenire, 10 giugno 2011

32 risposte a “La meglio gioventù”

  1. Gaia ha detto:

    Io ho paura di vivere una vita non mia..Di vivere x gli altri.. diventare quello che vogliono gli altro.. Anche se cercano di comandare la mia vita sono pienamente coscente che finchè vivrò su questo mondo deciderò io x la mia vita. Senza compromessi..

  2. Sarah ha detto:

    Io non sono più tanto giovane ahimé. Certo l’ età è solo un numero, e messuno mi darebbe l’ età anagrafica che risulta sulla mi carta d identità, comunque non li dimostro. Sono e mi sento giovane. Perché? Perché do molta importanza all’ “invisibile” all’ essenziale” al cuore. Mi si prende in giro per questo, e a volta la forza che possiedo crolla. Crolla perché non è abbastanza solida davanti agli altri. Io credo nella citazione di Blaise Pascal: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce.” La interpreto così: io sono il cuore gli altri la ragione. Entrambe diversi ma insieme più forti. Finché non capiremo che amore e razionalità si possono congiungere non avremo mai la tanta agoniata armonia di un tempo che fu, quella dgli antichi (Toltechi e non). “L’ essenziale è invisibile agli occhi” Antoine de Saint Exupéry. Per cui continuate a sognare ragazzi, e vedrete che se ci crederete fortemente il sogno si faraà realtà.

  3. Ariel ha detto:

    Ci vorrebbero ore per commentare questo articolo! Ti faccio ancora una volta i miei più sentiti complimenti, perché hai centrato in pieno e “qualcuno” da lassù ti ha dato un dono: quello di capire gli altri e di scrivere come pochi. Grazie Alessandro, perché davvero, leggendo ciò che scrivi, rifletto, ragiono, e continuo a sognare, anche se alle volte è difficile. Ci dicono che siamo inutili, bruciati, dei delinquenti, dei giovani che si ‘dedicano’ alla droga e al sesso. Sono tutti pronti a giudicare. Nessuno è pronto a riflettere e dire: “Perché sono così i giovani di oggi?”
    Perché la maggior parte degli adulti è presa dal lavoro, dal volere sentirsi ancora giovani, è pronta a trascurare anche i propri figli.. o i propri alunni. Considerandoli o superflui o degli esseri qualsiasi. Non sono disposti a capire, o nemmeno si pongono il problema. Sono presi dal tram tram quotidiano, e si risvegliano solo quando c’è qualcosa di realmente tragico. Ci fanno capire di averci amato o di amarci solo troppo tardi alle volte. Professori che tengono ai propri alunni realmente ne conosco proprio pochi, e per fortuna uno è ‘mio’. Ti confesso che gli ho inviato un’email per ringraziarlo di tutto quello che quest’anno ha fatto e per la pazienza che ha avuto, e l’ultimo giorno di scuola mi ha detto “Grazie di tutto!”. Quel grazie non valeva solo per averlo aiutato, ma per avergli dato fiducia, per essermi aperta con lui.. e come ti ho scritto qualche tempo fa, se noi vi apparteniamo, ci apriamo con voi. Perché ne abbiamo follemente bisogno.
    Non ti ringrazierò mai abbastanza.

  4. Valerio ha detto:

    Perché i professori come te si contano sulla dita di una mano?
    E’ un vero peccato che siate così in pochi, perché, capisco la generazione senza valori e senza futuro, ma se ci fossero più educatori (e perciò anche genitori) come te i giovani sarebbero migliori. O, meglio, sarebbero visti in maniera migliore; perché quelli che descrivono i mezzi di informazione sono una (piccola) minoranza.

  5. Anna ha detto:

    Sono un’insegnante di sostegno della scuola primaria. Quest’anno sono entrata di ruolo e domani farò l’esame per l’anno di prova, la Dirigente mi ha già detto cosa mi chiederà all’esame: perchè ha scelto di fare l’insegnante?
    Sappi che nella risposta ti citerò….

  6. Francesco ha detto:

    Grazie mille per le tue bellissime parole e riflessioni. Ogni volta che passo in questo blog trovo sempre qualcosa che mi emoziona, che mi ispira, che mi incanta, che mi ridà un po’ di speranza, che mi sprona ad andare ancora avanti, continuando a sognare.
    Ho una domanda: spesso mi trovo a voler inseguire i miei sogni, a fare ciò che mi piace davvero, senza rimanere invischiato in quello che vogliono gli altri. Ci sono momenti in cui mi sento carico di energia, in cui penso di poter fare qualunque cosa. A volte, però, guardandomi attorno, mi assale un po’ la tristezza, mi butto giù e mi sento sommergere da tante altre cose che mi distraggono, da altre persone che sembrano essersi già arrese, da realtà in cui non si sogna più. Come fare a mantenere sempre viva quell’energia? Come fare a non farla spegnere e a non farsi distrarre? E (ancora più difficile) come cercare di trasmetterla?
    In ogni caso, almeno di una cosa sono sicuro: questa energia che mi fa sognare e mi muove so che è bella e buona, e non voglio mai smettere di cercarla, anche se il mondo, talvolta, sembra prendermela proprio tutta. Forse (mi azzardo) questa energia è vera Vita?
    Grazie a chiunque mi darà una sua risposta! 🙂

    • Lanfranco ha detto:

      Francesco, se in questo blog trovi qualcosa che ti emoziona, che ti ispira, che ti incanta, che ti ridà speranza, allora sai benissimo quello che cerchi. Dopo una giornata di scrutini leggo i messaggi in bottiglia di Alessandro perché mi aiutano a pensare alla scuola come ad un luogo di speranza, appunto, uno spazio di Vita in cui le persone valgono più dei voti e dei giudizi (con tutto il rispetto).

      • Francesco ha detto:

        Grazie Lanfranco! Effettivamente, penso di sapere cosa cercare, cosa voglio, cosa desidero. Però un po’ ho la paura di dimenticarlo o lasciarlo andare. Ho anche paura di adeguarmi alla massa di persone che rinuncia, che sceglie la via più “facile”, la via che sembra più “normale” solo perché è quella che percorre la maggioranza. Spero di avere sempre il coraggio di non abbandonare i miei sogni!

    • Sarah ha detto:

      Sai Francesco, io credo che non bisogna arrendersi. Non è facile lo so, ogni volta che mi sento forte e piena di energia, arriva sempre qualcuno o qualcosa pronto a distruggermi. Non capisco perché o forse sì, fa parte di un disegno, un progetto, che mi renderà più forte e più energica. Ogni prova, ogni ostacolo, ogni giudizio, va affrntato sapendo che è comunque per il nostro bene, la nostra crescita personale. Ho avuto insegnanti severi “tosti”, antipatici, ma che mi han dato tanto. A volte un buon insegnate va guardato oltre ciò che appare. Ciò che è certo è che oggi nelle scuole si dovrebbe dare più spazio al dialogo. all’ ascolto empatico, alla formazione. La mia risposta non so se è stata esauriente. Ho toccato molti punti, sta a te rifletterci sù ed elaborarli. Altrimenti leggiti un buon libro, un libro che “ti chiami” e troverai la/le risposta/e. Tuttavia:”ascolta il tuo cuore, esso conosce tutte le cose.”

      • Francesco ha detto:

        Grazie! Hai toccato tanti punti, ma tutti molto belli e interessanti. Penso che, in fondo, nel mio cuore, molte cose già le so. Il fatto è che, forse, abbiamo bisogno di sentircele dire di nuovo, abbiamo bisogno di qualcuno che ci sproni, per non sentirci soli. A volte temo di essere come l’ultimo servitore della parabola dei talenti, che preferisce sotterrare la sua moneta invece di rischiare e mettersi in gioco. Avendo questo timore, però, cerco sempre di non arrendermi, sapendo anche che posso sempre trovare persone che mi aiutano.

  7. Marta ha detto:

    Questo articolo mette i brividi. Si capisce che noi giovani abbiamo una componente che ci rende tutti uguali: la paura. Che, a sua volta, genera sfiducia nel mondo, ma soprattutto in noi stessi. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci prenda per mano e, che quella mano, non la lasci mai.
    E’ bello vedere che qualcuno ha il dono di riuscire a entrare nell’anima delle persone. A capirle, ad ascoltarle, a rispondere alle domande importanti e silenziose.
    Finalmente qualcuno che ci descrive come “la meglio gioventù”, con pregi e difetti, con punti di forza e debolezze.
    Perchè chi vuole realmente bene sa stare vicino alle persone anche solo con una parola, uno sguardo, un sorriso. Sa giudicare, ma non in maniera definitiva, bensì in modo costruttivo. Sa rassicurare, ma proiettare anche verso un futuro pieno di sogni e ambizioni.
    Sfortunatamente le persone con queste caratteristiche sono assai poche.

  8. Angela ha detto:

    Caro Prof.
    leggendo il tuo articolo, mi è venuto in mente un ricordo del Beato Giovanni Paolo II, quando citava un proverbio della sua terra: se vuoi stare con i giovani, tu stesso devi restare giovane. Ovvio che tu sei ancora giovane, ma vedo il tuo futuro su quella strada….resterai giovane, per loro, eterne generazioni di orfani di guide di riferimento, ma anche per noi, genitori senza idee, o forse solo svogliati e incapaci di impegno a maturare…

  9. marco ha detto:

    Citerei anche Don Bosco,giusto per rimanere nelle altezze: “Per amare i giovani bisogna amare cio’ che amano loro”.
    Vedi, i voli del sognatore portano vicino a coloro che sono stati grandi sognatori.

  10. patrizia ha detto:

    carissimo Alessandro, leggo sempre con molta attenzione cio’ che scrivi sul tuo blog e devo dire che condivido molti dei tuoi pensieri… pero’, però leggendo il tuoultimo articolo La meglio gioventu’, mi sono fatta un paio di domande…
    scusami se sono diretta in cio’ che ti dirò :
    Hai 33 anni vero? solo 33 anni…. pochi mio caro Alessandro per poter dire di essere un vero punto di riferimento per tanti ragazzi… certo sei un professore straordinario, averne come te… sei anche uno scrittore fantastico… ho letto il tuo libro… ma ti manca l’esperienza diretta con i ragazzi… l’esperienza che solo un genitore puo’ avere… e poi scusami, ma smettiamola di demonizzare noi genitori, a volte sai per i nostri figli è comodo direnon mi ascoltano, non capiscono eccc… io ho 52 anni 2 figli uno di 22 anni che lavora e uno di 15 che studia e sogna di fare il militare volontario… ho portato a compimento un progetto teatrale con 50 adolescenti per 3 anni (domivamo quasi sotto lo stesso tetto) e ho diretto per 10 anni un’associazione genitori (io a livello locale) che in Italia è piuttosto conosciuta (Age Associazione italiana genitori) con 500 sedi sparse in tutte le regioni e ancora ne faccio parte a livello regionale. Ma sono una mamma che ogni giorno si deve misurare con le contraddizioni tipiche degli adolescenti… Io ho sempre ascoltatoi miei figli, sto in disparte quando serve ma sempre vigile sulle loro vite. parlo il loro linguaggio a volte gioco anche lla play e rispiego le lezioni che a scuola non hanno capito, (o meglio,non hanno seguito:::) Non è facile, anzi è difficilissimo, rileggo continuamente i miei diari di quando ero adolescente per non perdere
    mai il filo, cambia il contesto sociale ma gli adolescenti sono sempre uguali… i m iei figli mi ripetonole stessefrasi che io dicevo ai miei genitori alla loro eta’…non so se loro mi considerano una buona madre… io pero’ mi sento tale (anche il loro papa’ ovviamente) e sai quale è stata la cosa che piu’ mi ha colpito utltimamamente?
    dopo un pomeriggio di chiacchiere con mio figlio piu’ piccolo e un suo amico che spesso è ospite da noi anche la notte, il suo amico mi ha detto: ca… Patrizia, ma sai che è davvero tosto parlare con te? non ci si stanca mai… e Alessandro (l’amico) ha 15 anni…. Scusa Alessandro(rivolto a te) senza nulla togliere alla tua innegabile bravura e tutto cio’ che scrivi… per poter dire di conoscre davvero i ragazzi, ripresentati quando avrai la mia eta ‘ e magari qualche figlio adolescente… potremo sicuranente mettere a contronto le nostre esperienze… come vedi io ho conoscoiuto il loro mondo sia come “educatrice” che come genitore.
    A presto
    Patrizia

    • Prof 2.0 ha detto:

      CAra Patrizia, grazie per i consigli. Non capisco perchè tu ti sia sentita criticata, io parlo per quelli che ne hanno bisogno (e dei professori in particolare), non certo per chi fa bene il suo mestiere. La mia è una semplice sintesi di quello che ho visto in questo anno e mezzo di giro a contatto con centinaia e centinaia di ragazzi. Non sono chiacchiere. Mi permetto di aggiungere che non sono d’accordo sul fatto che basti “l’esperienza” per sapere qualcosa, quello che conta è la capacità di leggere l’esperienza. Come professore ho 40 figli, so che non è lo stesso, ma è qualcosa di analogo. Sono stato figlio e so cosa vuol dire esserlo. SIamo sei figli e parlo spesso con i miei genitori su questo difficile mestiere. Insomma non mi convince questa idea che bisogna avere 60 anni per saperne della vita e avere provato le cose in prima persona. Chiaramente se ne sa di più, ma ci sono 60enni che non sanno niente della vita così come 30enni. Non è l’esperienza che conta ma l’esperienza interiore: cioè la capacità di leggere l’esperienza, anche se è più limitata. Io non voglio insegnare niente ai genitori, mi faccio interprete delle parole dei ragazzi. Se tu sei riuscita in questo non mi resta che essere felice per te e i tuoi figli. Tutto questo nella consapevolezza che ho molto da imparare.

      • Lanfranco ha detto:

        Caro Alessandro, da sessantenne sono d’accordo con te sul primato dell’esperienza interiore rispetto all’esperienza in quanto tale. E qui l’età non c’entra. L’esperienza non interiorizzata è solo acqua che passa. Domanda: siamo ancora in grado di interiorizzare, con i ritmi nevrotici che ci ritroviamo?

    • Cecilia ha detto:

      Gentile Patrizia,
      ho 31 anni, io non sono ancora mamma ma lo sarò tra sette mesi. Secondo quanto hai scritto, deduco che tra sette mesi, quando mio figlio nascerà, non saprò ancora essere mamma, non sarò in grado di capire mio figlio vista la mia non-esperienza. Eppure, cara Patrizia, le assicuro che il fuoco è un altro. A renderci più o meno in grado di comprendere e accogliere gli altri con le loro esigenze, debolezze e desideri non è l’età, non sono gli anni spesi a fare qualcosa, non è l’esperienza professionale ma il CUORE! Ogni singola persona può scoprire in sè un mondo da donare agli altri, che siano figli, che siano amici o vicini di casa.
      Con affetto,
      Cecilia

    • Mars ha detto:

      Cara Patrizia, per esperienza dico che i genitori possono esserlo di nome ma non di fatto. Il genitore educa, è presente, insegna la vita in tutti gli aspetti che la riguardano. Una madre o un padre può aver messo al mondo mille figli ma questo non significa che poi gli abbia davvero insegnato il valore della vita. Ad Alessandro potrà anche mancare l’esperienza diretta come genitore, ma il professore in realtà non è che un’amplificazione del ruolo precedente, che insegna, educa e cresce i ragazzi in un‘ottica solamente più analitica e settoriale. Ci sono genitori che a 40 anni non si ricordano neanche più di esserlo, forse non lo sono mai spiritualmente stati. Non occorre avere figli per capire il mondo adolescente, basta lavorarci tutti i giorni, per tante ore, insieme, come fa un professore. Curo dei bambini che sono perennemente soli, con dei genitori che svolazzano da una parte all’altra del mondo e chiamano, forse, un giorno si e due no. E guardando gli occhi tristi dei due bambini che hanno tutto tranne che l’affetto dei genitori, mi chiedo se loro possono davvero definirsi tali. Mi sento più genitore io che spesso passo le giornate intere a spiegargli perché alcune cose si possono fare ed altre no, piuttosto che i genitori stessi che avrebbero l’onore di assolvere questo compito. Anche a 33 anni una persona può dire la sua su questo tema, cosa che invece certi adulti non possono permettersi di fare perché non conoscono o non vogliono approfondire. Non è il tuo caso sicuramente, però credo che si può definire genitore non solo chi ha figli adolescenti:)

  11. Margherita ha detto:

    Grazie per tutto quello che fa, anche se può sembrare strano con ogni post mi regala la speranza della felicità, quella che i miei professori sembrano cercare nascondermi.

  12. Mars ha detto:

    Che squisitezza di articolo! Si assapora un gusto inimitabile di coraggiosa fiducia, di immensa voglia di vivere, parole di un cuoco sincero che mescola gli ingredienti della realtà in modo semplice, senza troppi condimenti chimerici, offrendoci anche come contorno un’ allegra descrizione di questa gioventù disposta a essere felice a determinate condizioni. Ragazzi abbiamo di fronte a noi uno chef disposto a “scottarsi” toccando l’olio bollente dell’adolescenza. Finalmente qualcuno pronto ad accomodarsi, spostandosi dai fornelli del suo elegante ristorante, sulle sedie appiccicose di un Mcdonald’s per approfondire i diversi sapori del buono e della normale quotidianità. Ecco allora, che l’ obiettiva verità con cui serve i suoi piatti ci deliziano di generosità e di sorprendente amore verso questa delicata fase, una pietanza che a molti chiude lo stomaco solo a sentirne il nome “adolescenza”. E invece no, lui solo disponendo dell’elemento base, inventa i modi per cucinarla a dovere, usufruendo della sua esperienza per rendere il tutto ancora più appetibile. Un pranzo accompagnato da un ottimo vino chiamato passione, che delizia i palati dei più raffinati intenditori. Io consiglio di provare l’Osteria del Sognatore, prezzi modici, ambiente accogliente, un posto dove l’aspetto reale e veritiero del giovane d’oggi vengono preparate dando priorità al lato profondo, sincero e armonioso di questa età. Io una volta ho provato a mangiarci e mi sono sentita ringiovanire di almeno un paio d’anni 🙂

  13. patrizia ha detto:

    caro alessandro, scusa se replico nuovamente, io non mi sono sentita criticata, tutt’altro, e sono anche d’accordo sul fatto che l’esperienza non è sempre una questione di eta’… ma credimi essere genitori è diverso dall’essere figli, fratelli o nel tuo caso ottimi insegnanti… non volevo muovere una critica negativa nei tuoi confronti anzi, aver davvero di giovani come te, pero’ non basta cio’ che fai tu per poter dire di conoscere il mondo degli adolescenti, occorre viverli ogni giorno…e credimi se ti dico che non ci sono solo genitori distratti, ma ce sono molti come me, non sono una mosca bianca, molti come me credono amare un figlio, o amare semplicemente qualcuno significa rispettare prima di tutto la sua liberta’….e questo io l’ho imparato con il tempo, l’esperienza e nache con l’eta’….

    • Prof 2.0 ha detto:

      Cara Patrizia, lo so benissimo che ci sono ottimi genitori così come ci sono ottimi insegnanti. Sarei così ottimista se non fosse così? Io non pretendo di aver trovato la formula magica, offro un pezzo di realtà che va a completare quello che vedono e fanno i genitori, che vengono anche giustamente messi da parte dai figli adolescenti, per cominciare quel viaggio di libertà di cui tu parli. Sono il primo a fare il tifo per i genitori, che sicuramente hanno la formula giusta per i loro figli, non per i giovani. Per quelli forse la visione di un genitore non basta, soprattutto perchè tendiamo ad avere amici che la pensano come noi. Per questo ho deciso di girare e incontrare ragazzi di tutti i tipi. Grazie per le tue parole.

  14. Carlo ha detto:

    Ogni uomo è stato un ragazzo. Ogni donna è stata un’adolescente. Questa è l’esperienza. E’ sufficiente non dimenticarsi ciò che si è stati, meglio, ciò che si è… in ogni uomo c’è un bambino che corre. Non fermiamolo. Non lo fermi la paura dell’adolescente. Non lo fermi la rigidità di un professore sconfitto. Non lo fermi il pragmatismo di un genitore disilluso.

    Seconda stella a destra
    questo è il cammino
    e poi dritto, fino al mattino
    poi la strada la trovi da te
    porta all’isola che non c’è.

    Forse questo ti sembrerà strano
    ma la ragione
    ti ha un po’ preso la mano
    ed ora sei quasi convinto che
    non può esistere un’isola che non c’è

    E a pensarci, che pazzia
    è una favola, è solo fantasia
    e chi è saggio, chi è maturo lo sa
    non può esistere nella realtà!….

    Son d’accordo con voi
    non esiste una terra
    dove non ci son santi né eroi
    e se non ci son ladri
    se non c’è mai la guerra
    forse è proprio l’isola
    che non c’è…che non c’è

    E non è un’invenzione
    e neanche un gioco di parole
    se ci credi ti basta perché
    poi la strada la trovi da te

    Son d’accordo con voi
    niente ladri e gendarmi
    ma che razza di isola è?
    Niente odio e violenza
    né soldati né armi
    forse è proprio l’isola
    che non c’è…. che non c’è

    Seconda stella a destra
    questo è il cammino
    e poi dritto, fino al mattino
    poi la strada la trovi da te
    porta all’isola che non c’è.

    E ti prendono in giro
    se continui a cercarla
    ma non darti per vinto perché
    CHI CI HA GIA’ RINUNCIATO
    E TI RIDE ALLE SPALLE
    FORSE E’ ANCORA PIU’ PAZZO DI TE
    (E. Bennato)

    …corri e non fermarti mai.

  15. Maria Teresa ha detto:

    Oggi 16 giugno GIORNATA DEL BAMBINO AFRICANO

    “Il 16 giugno viene ricordato come giorno in cui nel 1976 diecimila bambini e adolescenti di Soweto, in Sudafrica, si riunirono per protestare pacificamente per la scarsa qualità dell’educazione scolastica e contro l’obbligo d’imparare l’afrikaans, la lingua degli oppressori. Ma la polizia armata rispose con la forza lanciando gas lacrimogeni sulla folla. Al termine degli scontri, 152 tra bambini e ragazzi giacevano a terra privi di vita e 1000 rimasero feriti.

    Le proteste continuarono anche nel 1977, anno in cui la repressione aveva già distrutto oltre 700 giovani vite. Il 26 giugno di quell’anno, il governo revocò l’insegnamento dell’afriKaans: un trionfo per il movimento anti-apartheid.

    Nel 1991, l’Organizzazione dell’Unità Africana, in onore della rivolta di Soweto, dichiarò il 16 giugno “Giornata del bambino africano”, attestando ufficialmente il contributo dei bambini e degli adolescenti alla lotta contro l’apartheid. In tale occasione i Presidenti degli Stati africani, dichiararono che “i bambini africani non dovranno più subire gli abusi come nel massacro di Soweto”. Da quel momento Soweto è diventato il simbolo del coraggio e della lotta ai diritti di tutti i bambini.”

  16. Giulia ha detto:

    Il mio commento c’entra solo in parte con questo articolo..ripensavo ai miei anni di liceo, a tutte le cattiverie e le prese in giro che ho subito dai compagni e che per anni mi hanno fatta sentire inadeguata e che solo dopo vario tempo sono riuscita a superare e a sentire che, da quel punto di vista, potevo ritenermi una persona migliore e mi chiedo, voi professori non vi rendete conto di queste cose? I miei professori vedevano che in classe ero distratta e si limitavano a riprendermi, facendomi sembrare ancora più inadeguata rispetto ai compagni. Sono certa che lei sia un professore sicuramente più attento e perspicace riguardo a questi argomenti, e mi auguro che col tempo tutti i professori riescano ad accorgersi del disagio dei propri studenti e a stargli vicino, perché penso che la scuola serva anche a questo, non solo a impartire nozioni puramente scolastiche.

  17. francesca alvino ha detto:

    gentile prof , sono una liceale e come tutti gli adolescenti sono piena di sogni. a volte ho bisogno di guardare le stelle e restare li con loro a desiderare , sogno un mondo migliore, sogno un futuro , sogno carriera, sogno uno stato più giusto però mi accorgo che tutti in fondo non vogliamo che essere amati e accettati per quello che siamo realmente e a quel punto non ho più paura di sognare fuori dal mio mondo da liceale quale sono se so che li fuori c’è qualcuno ad ateendermi ; portare avanti i miei sogni e lottare ,perchè li fuori è una battaglia, è la cosa più difficile ,e spesso ti senti dire da chi è avido che non possiamo fare niente per cambiare le cose .io non affermo di poter cambiare il mondo però sostengo di provarci , allora chiedo di guardare ogni tanto gli astri e restare un po’ da soli con noi stessi , non pretendo di trovare le risposte a questa età ma voglio interrogarmi per poi un giorno con il tempo, l’esperienza e magari con l’aiuto delle sue parole, dei suoi libri , riuscire a rispondermi. oggi ci preoccumiamo di non essere adeguati, di non essere giusti forse è vero non siamo gli uomini giusti tuttavia siamo giusto uomini ed è bello vivere questo dono che ci è stato dato. la ringrazio immensamente per tutto ciò che continua a scrivere , a dire , la stimo molto come persona e mi piacerebbe essere una sua allieva , poter srgomentare e discutere con lei . grazie ancora arrivederci ,gentile prof.

  18. Filippo Pizzuti ha detto:

    Lei mi sta simpaticamente sulle palle. Sono un ex giovane: ho compiuto 24 anni ad agosto. Apprezzo l’impegno che sembra trasparire dalle sue parole: impegno di educare, non solo di trasmettere nozioni. Detto ciò, se è vero che la scuola ha bisogno di insegnanti carismatici (e lei, sempre stando a quanto leggo sul suo blog, sembra esserlo o crede di esserlo: le due cose sono abbastanza simili) e che “resistere è creare” (conclusione del libro che ha citato nel post), è altrettanto vero che l’espressione “dittatura del relativismo” suona molto, molto male. Mi trovo d’accordo con la collega da lei citata nel post: a scuola si seminano dubbi, non certezze. Ovviamente, bisogna seminare dubbi veri, che impongano allo studente di usare il cervello in maniera autonoma per forzare l’arcano. In un’epoca ammalata di iperboli retoriche, la consapevolezza che esistono non una, ma molte verità, mi sembra un tesoro da difendere. La ricerca della verità, della bellezza, della felicità o dell’Isola che non c’è sono, a umile parere di chi scrive, processi lunghi una vita intera e destinati a non concludersi mai. Vuoi perchè parliamo di concetti a cui tendere, non afferrabili: vuoi perchè in questo processo gli uomini si fanno prendere spesso dall’insaziabile voglia di aver ragione a tutti i costi, schiacciare l’opinione altrui, insomma dalla fame di vuoti trionfi. Più che aggrapparsi all’invisibile, forse i giovani dovrebbero aggrapparsi ai loro simili: i fallibili, ridicoli, un pò patetici (ma per questo degni di simpatia e compassione) esseri umani. Mi scusi per il tono da vecchio trombone, mi lascio prendere la mano. Saluti

    • Prof 2.0 ha detto:

      Caro Filippo, non so come si possa stare “simpaticamente” sulle palle a qualcuno. Credo sia un problema del possessore delle suddette, piuttosto che del peso del sottoscritto. Ma poco importa. Quello che dici è vero, basta chiarirsi da un punto di vista terminologico. QUello di cui parli tu è il pluralismo, di cui sono tifoso assoluto, sai che noia altrimenti… Da non confondere con il relativismo. Se non ci fosse verità, bene e bellezza da cercare non ci sarebbero le molteplici vie (pluralismo) che l’uomo sceglie per raggiungerli o ostacolarli. Il relativismo rende impossibile il pluralismo, perché non si cerca più nulla. Resta solo da consumare e basta. L’esistenza di verità, bene e bellezza non determina la chiusura verso l’altro, ma il contrario. Anche questo è un luogo comune del politicamente corretto. L’affermare che si tende a qualcosa, che si vive di qualcosa, arricchisce il ventaglio di scelte, interpella la libertà. Chi la conculca costringendo l’altro è già fuori dalla verità, perchè la verità più grande è la persona stessa con la sua esperienza, le sue credenze e convinzioni. Non tromboneggi per nulla. Grazie!

  19. Monica ha detto:

    L’altro giorno a scuola si parlava degli adulti che quando devono parlare dei giovani d’oggi, li dipingono soltanto come giovani scapestrati il cui unico scopo nella vita è drogarsi e fare a botta. c’era un gran malumore in classe, tutti erano d’accordo sul fatto che i ragazzi non sono tutti così, soprattutto non sono tutti uguali! La lezione dopo la prof ci ha fatto ascoltare il suo intervento a italia sul2, e ci ha fatto scoprire il suo blog. Le tue parole mi incantano davvero, è difficile trovare un adulto che accetti di conoscere da vicino i ragazzi prima di giudicarli, GRAZIE.

    PS: “La vi ta è una canna” 🙂

  20. Marghe ha detto:

    Ciao Alessandro,
    mi chiamo Margherita e ho 17 anni, frequento il terzo anno in un Liceo Scientifico.
    Ti scrivo perchè la mia classe si trova davanti ad un problema che durerà per altri tre anni… Quest’anno c’è stato assegnato come prof. di mate lo stesso che nel biennio ci faceva fisica.
    Noi non riusciamo a seguire le sue lezioni(gia a fisica trovavamo qualche difficoltà) perchè non spiega.. risolve i problemi alla lavagna e ci chiede solo di copiare se poi gli chiediamo chiarimenti non ci dà risposte soddisfacenti.
    Classi che anno avuto lui come prof adesso non riescono ad andare avanti nel loro percorso di studi all’università, altre classi hanno fatto appello al preside ma non sono stati presi provvedimenti.
    Ci sentiamo presi un po in giro dal suo modo di “spiegare” anche perchè poi ha un modo di valutare non corretto un suo 9 corrisponde ad un 7 con altri professori vabbè,..
    Ci crea sconforto la nostra preparazione che non è paragonabile a quella di altri ragazzi che non fanno matematica e fisica come noi che siamo un indirizzo tecnologico..
    Noi vogliamo darci dare da fare subito, perchè siamo già a metà del terzo anno e non vogliamo aspettare di perdere un anno di scuola e magari anche il prossimo, per questo ti chiedo un consiglio, Come possiamo fare per farci ascoltare? considerando che ci sono persone a cui fa comodo il suo modo di fare, cosapossiamo fare senza che vada a nostro discapito?
    L’idea del doposcuola non la prendiamo in considerazione poichè noi andiamo a scuola per apprendere perchè dovremmo andare a lezioni private se il problema è di tanti?
    Con affetto
    Margherita

    P.S. ho pensato di chiedere consiglio a te perchè ho letto i tuoi libri e credo che potresti darci una mano.

    • Prof 2.0 ha detto:

      Dovreste parlarne con il dirigente scolastico. Per il resto purtroppo dovrete arrangiarvi. Non esiste la scuola del merito, ma quella dei posti si lavoro fissi, anche per chi non sa fare il suo lavoro… Però prima magari provate a parlarne con il professore. Con calma ed educazione.

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