21 giugno 2013

Semplicissima felicità

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Nell’atrio della mia scuola alla fine dell’anno è apparso un albero, con il tronco e i rami di compensato e le foglie di carta multicolore. In cima all’albero è scritto: «Felicità è…». In ogni foglia è contenuta la risposta di un bambino della scuola materna.

Mi sono fermato a leggere una per una quelle foglie, quasi fosse il responso nell’antro della Sibilla cumana. E ho scoperto che la felicità per i bambini non solo è semplicissima, ma è soltanto relazionale. Tutte le foglie sono dedicate ad altri: familiari e amici. Nessuno di quei bimbi è felice da solo. Le foglie sono, per la maggior parte, dedicate ai genitori, ai padri in particolare: felicità è «quando papà mi gonfia un palloncino e giochiamo insieme», «quando papà mi fa il solletico». Felicità è: padri che giocano con i figli.

Mi sono reso conto che la mia felicità non era all’altezza di quella di quei bambini. La mia felicità è molto più complicata, assomiglia a un contenitore pieno di oggetti nuovi, di luoghi da vedere e di eventi futuri. È tutta coniugata al futuro e all’assente. Invece la felicità dei bambini non ha tempo e non ha spazio, anzi, meglio, ha il presente come unico tempo e la presenza come unico spazio. È relazionale, non individuale. Quanto tempo la cultura in cui sono immersi questi bambini ci metterà a cambiare il loro modo così chiaro e univoco di essere felici? C’è un antidoto per proteggere quella felicità così raggiungibile, così a portata di mano, rispetto alla felicità dettata dal consumismo?

Il consumismo è un implacabile dispensatore di felicità, infatti è «la prima vera possibilità di liberarci della resistenza della realtà», dice Bauman. Basta trovare il negozio giusto. Oggi ogni negozio è una farmacia in cui lenire i dolori che la buona vecchia natura ci infligge con i suoi uragani, terremoti, solleoni, monsoni, umane bassezze, tradimenti e cuori spezzati. Basta scegliere il negozio giusto e rimettiamo a posto la relazione dolorosa con la realtà, scegliendo l’oggetto che salverà la nostra frustrazione, rispondendo come noi ci aspettiamo, soddisfacendo senza fallo le nostre aspettative. Siamo diventati soggetti che comprano oggetti che finalmente rispondono perfettamente. Non importa che la nostra capacità di guardare negli occhi la realtà e gli altri si sia dimezzata, perché siamo impegnati a guardare lo smartphone che risponde perfettamente all’ansia di controllo e al desiderio di trascendere se stessi. La tecnologia sostituisce egregiamente quel mondo naturale, colpevole di essere troppo indifferente ai nostri desideri.

Infatti non si fa in tempo a crescerli questi figli, che già hanno in mano gli oggetti che avrebbero almeno potuto desiderare. Non gli abbiamo dato neanche il tempo, di desiderarli. La loro capacità di desiderare, atrofizzata per poco uso, anchilosata per troppa soddisfazione, non vuole più conoscere, cercare, scegliere, attendere. Non ne vale la pena. Eppure i genitori sanno bene che il bambino privato di qualcosa è costretto a mettere in atto la sua immaginazione per risolvere il dolore. Se un bambino chiede un secondo gelato e i genitori pur di non sentirne i capricci glielo comprano non solo lo viziano, ma gli tarpano le ali. Chi ha tutto non comincia mai la ricerca, perché non mette in moto l’immaginazione, la creatività, la sua relazione con il mondo a partire dalle proprie risorse interiori. Se i genitori resistono il bambino dovrà trovare altro per occupare il suo “bisogno” e lenire il dolore, magari sarà un gioco inventato sul momento: un mazzo di chiavi agitato in aria dal papà, di fronte al quale il bimbo rimane incantato. Lo porta alla bocca e così conosce qualcosa di nuovo, proprio grazie a una privazione, e inventa un gioco con quelle chiavi. I bambini che hanno tutto e hanno tutto il tempo pieno, che non si annoiano mai, sono atrofizzati nella loro creatività, riempita dall’esterno e mai sgorgante dall’interno. E lo stesso vale per i ragazzi rimpinzati di oggetti, emozioni e tempi pieni. Quelli che non si annoiano mai sono fregati: il loro processo creativo, cioè lo scavare e scovare le risorse dentro di sé e non fuori, per arginare il vuoto e il nulla, rimane soffocato. E la realtà ha e fa troppa “pena” perché valga la “pena” giocarci dentro.

Eppure giorni fa in treno avevo di fronte a me una coppia di trentenni che giocavano. Lei aveva qualcosa che le pesava sul cuore e la rendeva triste e silenziosa. Lui a un tratto ha scritto qualcosa su un taccuino bianco, poi le ha passato il taccuino. Si è messa a leggere svogliatamente e ha chiuso il taccuino. Dopo un po’ qualcosa ha rotto le sue difese, ha preso la penna e ha scritto sul taccuino che ha poi passato a lui. Non si dicevano una parola. Non si guardavano neanche negli occhi, si passavano il taccuino chiuso con la penna sopra, come fosse una mano di poker tra abili giocatori. Il gioco è andato avanti per quasi un’ora. A poco a poco ho visto il volto di lei rilassarsi e cominciare a sorridere. Dopo poco ogni lettura si concludeva con una sonora risata, mentre l’altro sorrideva in attesa. Alla fine hanno cominciato a parlare e ridere. Quei due si amavano. Lui l’aveva stanata dalla sua tristezza. E lo aveva fatto con un gioco, come quelli invocati dai bambini, mettendoci la sua semplice presenza creativa: taccuino, parole scritte a penna, attesa.

Mi è sembrato un rito di eros e agape. Darsi e riceversi come l’altro ha bisogno. Senza scorciatoie, piano piano, nel tempo presente e nel tempo della presenza. Non era la relazione di un soggetto con un oggetto che risponde perfettamente. Anzi, il contrario: lei non aveva voglia di esser felice. Era la relazione tra due soggetti, tra due persone, che si richiamavano alla reciproca fedeltà. Non si buttano via le persone quando non rispondono perfettamente, quando non soddisfano le nostre aspettative, non si buttano via come si fa con gli oggetti, che non richiedono fedeltà.

Con gli oggetti ci sentiamo forti: interrompiamo la relazione quando vogliamo, ma in realtà questa mancanza di fedeltà, persino verso le cose, ci rende più fragili, perché la forza della vita non sta nella liquidità delle relazioni, ma nella loro profondità e faticosa grandezza. Forse per questo la moglie del ricchissimo e impegnatissimo inventore di Facebook ha fatto firmare al marito un contratto matrimoniale nel quale era pattuito che avrebbero passato 100 minuti alla settimana sotto le lenzuola. Priscilla non ha permesso al marito di giocare solo con Facebook, lo ha obbligato a ricordarsi di lei.

Forse più che felicità dagli oggetti noi vogliamo attenzione e fedeltà dalle persone. Quella attenzione e fedeltà che fa felici i bambini che aspettano i loro padri per giocare, presenti nel presente. Forse potrebbero metterlo a contratto anche loro, per essere felici.

43 risposte a “Semplicissima felicità”

  1. Monica ha detto:

    Bellissimo l’esempio dei due trentenni sul treno!
    La vita dell’uomo è proprio nei rapporti che ha e che costruisce.
    Grazie!

  2. Domenico ha detto:

    Quella bellezza che nei bambini è così cristallina…

  3. Agnese ha detto:

    Grazie Prof per quest’articolo.
    Penso che anche il consumismo di questo tempo non scalfirà mai l’immaginazione dei bambini. Il consumismo è nelle nostre vite da parecchio, ma ancora nel 2013 i bambini scrivono che la felicità è giocare con il proprio padre.
    Sarò forse troppo ottimista?

    Grazie per le sue belle parole e per i suoi splendidi libri che hanno fatto sognare anche me: non avrei mai pensato di potermi innamorare dei personaggi di un libro!

  4. Sara ha detto:

    Grazie per le parole di questo articolo.
    Purtroppo anch’io riesco a vedere la mia felicità solo legata all’assente o a un futuro troppo lontano, ma le foglie di quell’albero o il taccuino sul treno trasmettono un po’ di “presente” in tutti i sensi.

  5. Alessandro ha detto:

    Felicità… è un sentimento, un qualcosa che nasce dentro o un semplice oggetto, una cosa che sta fuori di noi? Se è qualcosa di puramente umano non può che venire dall’umano e dalle relazioni che possiamo intessere. Se al contrario fosse anche un oggetto, la felicità ci verrebbe dalle cose e dal loro averle o meno. L’essenza della felicità provoca necessariamente una domanda, delle domande che sono il terreno fertile per le risposte e la risposta! Non ci possono essere risposte senza una domanda che le fa desiderare, cercare, bramare…chi non cerca non trova e chi non chiede non ottiene, ma a chi cerca trova e a chi chiede sarà dato. La necessità e la mancanza ci fa ricercatori e speleologi della felicità, ma a volte diventiamo crescendo astronauti alla ricerca di quella felicità così lontana anni luce che mai riusciamo ad abbracciarla, quando basterebbe forse tornare nel seno della terra, appunto speleologi, scavatori dentro il nostro cuore e le nostre relazioni: allora sarà felicità in pienezza. Alessandro

  6. Stella shan ha detto:

    Io non ho un padre

  7. lucia ha detto:

    Non so da che parte cominciare. Non commento ciò che hai scritto sulla felicità. Sarebbe troppo lungo. Ti dico che ho bisogno di te per la mia nipotina Elena che ha 13 (14) anni e il prossimo anno inizierà il liceo scientifico.Abbiamo in casa i tuoi libri.Inizierò questa sera dopo aver pregato. Elena è la figlia di mia figlia Ada. Dopo 8 anni di fidanzamento lui l’ha lasciata. Ada era incinta di Elena. Non s’è fatto più vivo. Anzi, l’ha fatto lo scorso Natale e vorrebbe riconoscerla. Elena non vuole sentirlo nominare.A scuola va abbastanza bene. Il 26 prossimo avrà gli orali di terza media.Io sono nonna Lucia e l’amo più della mia vita stessa.Con me c’è nonno Paolo e lo zio Enrico con la sua famiglia. Poi c’è Valeria che guida i nostri passi dal cielo. Ci aiuti anche tu? Un abbraccio.

  8. lucia ha detto:

    Bellissimo l’articolo. Felicità è vedere la MIA famiglia riunita la domenica a pranzo. E’ l’abbraccio di Dio quando sono triste come in questo momento. Ciao.

  9. Gabriella ha detto:

    Monica c’ha proprio ragione e tu caro prof tocchi sempre al cuore con semplicità!

  10. Cristina Z. ha detto:

    I bambini percepiscono la felicità naturale.
    Che è sicuramente relazionale perchè ha a che fare con gli altri e con il posto che occupiamo nel mondo.
    Come a ragione affermavano già gli antichi greci.
    Come ci insegna da secoli la promessa cristiana.
    Poi, crescendo, ci viene instillata la convinzione che la felicità sia qualcosa di strettamente individuale,
    che ha a che fare esclusivamente con la soddisfazione dei propri bisogni, del proprio io.
    L’attenzione si sposta dalle persone alle cose.
    Effettivamente le cose sono più semplici delle persone.
    Meno impegnative.
    La vita procede scandita dall’insorgere di desideri improvvisi che non sapevamo di avere,
    che vanno soddisfatti subito.
    E’ così facile farlo, la felicità è lì ad un passo, a portata di mano e di portafoglio.
    La vita è una corsa senza freni nè soste, ma la frenesia bulimica di cui tutti soffriamo,
    non è che un piccolo prezzo da pagare in cambio di una felicità che continuamente si rinnova ed evolve,
    in cambio degli enormi vantaggi di cui oggi godiamo.
    Pensate: il “sacrificio”, termine impronunciabile, non esiste più.
    E’ stato finalmente cancellato insieme a quell’orrenda “responsabilità”.
    Anche “dono” è sparito, troppo impegnativo, molto meglio “regalo”.
    Suona così bene.
    Lo spettacolo va in scena ogni giorno, coinvolge tutti ma non aspetta nessuno.
    Si, perchè poi inevitabilmente e senza avvisare un giorno il dolore bussa di nuovo alla nostra porta:
    soffoca il cuore, annebbia la mente, lacera le carni e l’anima.
    Lasciandoci soli,
    E noi non sappiamo più come fare, la disperazione ci assale.
    Abbiamo dimenticato le corse in lacrime dei bambini che finiscono nell’abbandono fiducioso e incondizionato
    tra braccia consolatrici che tutto sanno guarire e rimarginare.
    No, noi abbiamo dimenticato.
    L’orgoglio ci impedisce di ricordare che la felicità non è altro che l’abbraccio di un padre.
    Per fortuna basta poco.
    Basta chinarsi e tornare a guardare il mondo da un’altra prospettiva.
    Senza più paura.
    Senza più calcoli.
    Dopotutto era già stato detto…
    “Se non ritornerete come bambini, non entrerete mai”…

  11. federica ha detto:

    felicità è vedere sempre il bicchiere mezzo pieno

  12. Giovanna ha detto:

    Ho iniziato la giornata leggendo questo articolo in prima pagina su Avvenire
    Chiudo la giornata leggendo qui lo stesso scritto
    Una bella giornata!
    Grazie!

  13. assunta ha detto:

    Ti auguro con tutto il cuore di avere accanto una donna che si senta felice di averti come compagno, e che a sua volta ella doni a te tanta felicità, giacché, se i tuoi pensieri si concretizzano nelle azioni, sei pura incarnazione di Eros, Agape e Philia

  14. federica ha detto:

    … più che felicità dagli oggetti noi vogliamo attenzione e fedeltà dalle persone….

    • alessandra ha detto:

      Questo è il più bel commento da me letto. Nel mio libro: “La Felicità? Ve la do io esprimo un concetto simile.
      Grazie, Alessandra Hropich

  15. sr. cristiana ha detto:

    carissimo, come sempre grazie.
    Sei sicuro che la tua felicità sia così complicata?
    Che non sia come quella dei bambini è… normale. Ma non sempre questo significa complicazione, sei uno che desidera a fondo, questo, lo dico perché accade a me, complica le cose ma le invera. Solo questa complicazione fa si che gusti attimi, o lunghi momenti di felicità. Dentro le relazioni, grazie alla Relazione, che di tutte è motore e direzione. I bambini ,lo sanno per istinto che il Bene si muove così, a noi è chiesto ogni volta di sceglierlo, la sapienza dice di discernere… a me sembri uno che discerne e che cerca davvero la felicità.
    Buona domenica sr. cri

  16. Paola ha detto:

    “Infatti non si fa in tempo a crescerli questi figli, che già hanno in mano gli oggetti che avrebbero almeno potuto desiderare. Non gli abbiamo dato neanche il tempo, di desiderarli. La loro capacità di desiderare, atrofizzata per poco uso, anchilosata per troppa soddisfazione, non vuole più conoscere, cercare, scegliere, attendere. Non ne vale la pena. Eppure i genitori sanno bene che il bambino privato di qualcosa è costretto a mettere in atto la sua immaginazione per risolvere il dolore”.

    Sono convintissima di questa necessità del desiderare e del suo grande valore educativo: come madre di 3 figli faccio molta attenzione a questo (anche a costo di passare per…rompiballe!).
    Grazie per la chiarezza e la schiettezza di questa tua riflessione!

  17. marco i ha detto:

    Spesso mi son chiesto cosa vuol dire essere felici,e chi o cosa ci può rendere tali.La risposta non sempre è facile in particolare quando tutto sembra filare liscio e accade qualcosa che rompe il meccanismo, che interrompe la felicità che ci eravamo costruiti in una vita,che in una attimo si porta via tutto. Allora si che diventa difficile se non hai qualcosa a cui aggrapparti, qualcosa che ti tenga a galla e ti permetta di non affogare.La felicità è fatta da semplici ma grandi cose che prendono il volto di chi ti sta vicino e chiede un sorriso un abbraccio e…… perchè no di “gonfiare quel palloncino ”
    Un grazie perchè con le tue parole riesci a donarci un pò del fiato necessario

  18. Nadira ha detto:

    La verità è che per un bambino ogni giorno è una scoperta. Per questo non hanno bisogno di chissà cosa per essere felici: per loro la felicità è ovunque nel Mondo che, poco a poco, stanno scoprendo. Ogni piccolo gesto è per loro un qualcosa di incredibile e anche una semplice pioggia si trasforma, ai loro occhi, in qualcosa di assolutamente straordinario. Io penso che anche per gli adulti la felicità sia semplice e a portata di mano; infatti, mentre un bambino scopre continuamente, gli adulti si sciolgono nella routine e non riescono a cogliere più niente per cui stupirsi ed essere felici. Se tutti quanti smettessimo di considerare la quotidianità scontata e invece la osservassimo un po’ meglio avremmo ancora qualche motivo per cui essere felici; se andassimo un po’ oltre e ci fermassimo ogni tanto per osservare meglio ciò che ci circonda riusciremmo sicuramente a cogliere quel particolare, quella sottile sfumatura che ci permetterebbe di gioire e se non passassimo tutto il tempo a correre e a farci sopraffare dai prodigi della tecnologia forse riscopriremmo cos’è la felicità. Purtroppo la maggior parte degli adulti sono troppo presi dai loro impegni: sempre di corsa non hanno il tempo per scoprire la bellezza della quotidianità; sono un po’ come l’uomo d’affari del Piccolo Principe: così presi dal contare le stelle da non accorgersi di quanto siano meravigliose. Se invece di fare come l’uomo d’affari facessimo come il Piccolo Principe anche noi, forse, potremo essere felici di rivedere per la quarantatreesima volta lo stesso tramonto .

  19. Giulia ha detto:

    C’è un grande bisogno di affetto, rispetto e presenza dei genitori con i propri figli e degli educatori in genere con le bambine e i bambini che “ci guardano” e ci chiedono un rispecchiamento continuo, per trovare se stessi e sviluppare quell’intelligenza emotiva che permetterà loro in seguito di tessere relazioni soddisfacenti e profonde.
    Invece incontro alle medie figlie e figli “abbandonati”, trascurati, mortificati, maltrattati, insultati, ignorati, trattati come oggetti che appunto se non corrispondono più ai nostri desideri si “buttano via”. E’ troppo faticoso starli a sentire, guardarki negli occhi, giocare con loro. Così nel primo ciclo educativo sono in aumento i bambini problematici. trovo che siano in aumento. Di conseguenza a scuola Arrivano alle medie tristi o chiusi o arrabbiati o violenti o cinici o fragil o vittime di altri soprusi a scuola sia da parte dei compagni che di qualche docente. Sono tra quelli cui basta vederne anche una/o soffrire per sentirmi colpita al cuore. Li riconosco al volo, fin dal primo incontro. Questa “eccessiva” immedesimazione forse è una nevrosi (dice la psicologa), forse un eccesso di protettività, una non accettazione che il dolore esiste e va affrontato. Però mi chiedo: quanti sono i dolori utili e quanti quelli inutili, anzi dannosi?
    Perché nella scuola dell’obbligo è in aumento il mal-essere anziché il ben_essere? E se dalle famiglie arrivano in questo stato, quali competenze nuove o antiche dovrebbe possedere un insegnante per accogliere e rispecchiare e non solo valutare?
    E a proposito della cirsolare ministeriale sui “bes” , bisogni educativi speciali, che ne pensi? Un saluto dall’isola.

  20. Antonella ha detto:

    Giocare insieme …….. Genitori e figli ……. Almeno 1 volta al giorno penso sia questa la Via

  21. Lena ha detto:

    Bravo prof, hai scritto delle grandi verità!La felicità si costruisce solo dentro di noi e abbiamo solo il presente per goderne perché il futuro è un’incognita!…e per una volta ti ho anticipato parlandone con i miei alunni qualche mese fa!Auguro a tutti i genitori di avere il coraggio di non comprare con oggetti i loro figli, ma di saper “perdere del tempo” per stare con loro. Può essere “stressante”, come dicono alcuni, ma è sicuramente molto appagante per genitori e figli godere della gioia che ne deriva!

  22. Giovanni ha detto:

    Un’altra bellissima meditazione che ci hai voluto regalare!
    Infatti il consumismo è proprio un implacabile distributore di… analgesici, di antidolorifici, che non cura mai il vero bisogno, lo imbavaglia e basta.
    Ma ad un certo punto il “male” non curato pretenderà soddisfazione!
    CURIAMOLO questo male con la FELICITA’! 🙂

  23. Paola ha detto:

    Articolo stupendo, concordo perfettamente su tutto, tranne sull’ultimo pezzo.
    “Forse potrebbero metterlo a contratto anche loro, per essere felici.”
    Credo che non sia giusto mettere a contratto una cosa del genre perchè lo stare assieme dovrebbe nascere spontaneamente dal reciproco desiderio e non da un contratto tramite il quale sei in qualche modo costretto a trascorrere il tuo tempo con un’altra persona, chiunque essa sia. Le relazioni sociali, di qualunque tipo, richiedono attenzione, interesse e costanza nel tempo. In maniera direttamente proporzionale alla durata della relazione. Troppo spesso si fa l’errore di pensare: “ma sì tanto mi conosce, sa come sono fatto/fatta..” e si trascurano piccole cose invece di continuare a coltivare la relazione che, come una pianta, ha bisogno di acqua e cure per tutta la sua vita e non solo da “piccola”.

  24. … non ci si abitua mai ad amare.
    E il sacrificio che facciamo ogni giorno per accogliere l’altro nel nome di Gesù e vivere le relazioni è ciò che rende la nostra vita vera e traboccante di felicità!
    Questo mi sembra di poter dire a partire dall’esperienza quotidiana con le “pecorelle” che il Signore mi fa incontrare!
    Grazie!

  25. maria rita ha detto:

    Finalmente ho letto con calma questa tua riflessione… Tu scrivi non solo per noi, ma anche per te, vero? ti immagino mentre ti appropri sempre più del tesoro che le tue parole ci comunicano: tu ci doni attraverso le tue parole il tuo cuore e penso che ciò ti renda felice. Tu scrivi per rendere felici noi e anche te stesso… (almeno lo immagino!)
    “se non ritornerete come bambini…” è vero, i bambini sanno veramente cogliere l’Eterno Presente, fonte di gioia!
    Dieci anni fa, circa, mio figlio di nove anni, cogliendomi in un momento di solitudine e di tristezza mi disse: ” mamma, che succede? Perché sei triste? Non stai bene ora mentre ti riposi, senza dover correre da tutti, come fai sempre? A me piace stare in silenzio, sono felice, perché io sto bene con me stesso!” Misteriosa profondità dei bambini che sanno cogliere la gioia nel silenzio della loro vita!
    Denso di significato, questo tuo articolo, un piacere per noi, tuoi affezionati lettori. Grazie e…
    Buona estate!!!

  26. Sandra ha detto:

    Ho appena finito “Cose che nessuno sa”, l’ho letto in quanto insegnante, madre, moglie, figlia, donna, amica…. nno mi era mai successo di potermi identificare a 360 gradi in un libro…. così come sono nella vita, nei miei diversi ruoli, che è così difficile far convivere…!

  27. Agnese ha detto:

    Bellissimo articolo prof, mi ha fatto tornare in mente questa frase del Piccolo Principe: “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità…” e insieme a questa frase anche la domanda che questa frase risveglia in me: “L’attesa di qualcosa può essere quindi felicità o no?”

    Grazie per i tuoi libri, devo dire (da studentessa di uno scientifico delle scienze applicate – indirizzo in cui il latino è eliminato in favore dell’informatica) che “Cose che nessuno sa” mi ha incuriosito riguardo al latino, tanto che ho preso il vocabolario e ho scoperto il significato e la derivazione greca del mio nome.
    Grazie prof!

  28. Federica ha detto:

    Prof. non so come farei senza i suoi articoli, migliorano la giornata e ti fanno riflettere. Grazie, davvero. Grazie dal profondo del mio cuore.

  29. Kalypso ha detto:

    ‘Ma credi sul serio che per amare ci sia bisogno di sapere come si ama?’ (L. P.)
    Bella domanda pone Pirandello. La rigiro a te.
    Nessuno insegna come si fa e nemmeno ci sono istruzioni da seguire.
    Premesso che siamo tutti ‘principianti in fatto d’amore’, s’impara ad amare…amando.
    Solo così si è ‘felici’. I bambini insegnano che la felicità non è una cosa grande, ma un insieme di piccole cose, messe insieme.

    Ciao e buona giornata

  30. faffa ha detto:

    In relazione al rapporto padre-figli e nello specifico al rapporto figli-padri separati “Nei tuoi occhi di bambino” di Tiberio Timperi è un romanzo-diario che consiglio di leggere perché toccante e vero.

  31. annaLuisa ha detto:

    ho appena finito di leggere x la seconda volta “cose che nessuno sa”, e sai bene che quando leggi un libro x la prima volta non ti soffermi molto su tutte le righe perche’ vuoi andare avanti x sapere come va a finire ma, siccome ti è piaciuto provi a rileggerlo e…ho ancora gli occhi pieni di lacrime: grazie! la mia vita è piena di problemi ed in questi ultimi mesi ho cercato di lasciarmi semplicemente andare … in attesa della morte ma oggi sento grazie a te di potermi ancora aprire alla speranza!!!!

    • Prof 2.0 ha detto:

      Grazie per avermelo confidato. Un grande abbraccio

    • Elisa ha detto:

      Salve prof!
      Leggere i suoi articoli, in attesa di un nuovo libro, è sempre bellissimo. Che dire? Anche stavolta ha fatto centro! Spesso trascuriamo l’idea di felicità, come se fosse qualcosa di così assurdo e lontano che anche solo pensarci ci farebbe apparire ridicoli.
      Me ne sono accorta qualche giorno fa, in seguito ad una giornata particolarmente felice. Sa cosa ho notato? Non siamo più abituati ad essere felici, e quando lo siamo ci sentiamo strani, come se fosse un regalo che non ci spetta. L’esempio dei due ragazzi in treno è bellissimo, e posso dire a mia volta che sull’autobus ogni mattina riesco ad assistere a tanti tipi diversi di felicità.
      Grazie ancora per le bellissime parole che ci regala.
      Un bacio,
      Elisa.

  32. Adua ha detto:

    Ciao Alessandro, ti volevo dire che sono molto contenta di aver modo di leggere quello che scrivi anche qui, è interessante e stimola la riflessione e la ..scritura. Mi chiedo se il tipo di felicità dell’uomo ‘adulto’ non diventi in un certo modo, perchè già dentro la sua natura. Non c’è oggetto che si possa comprare, che potrà mai risistemare un equilibrio interiore, l’oggetto è illusione. Anche il semplice profumo che compri, l’unico fra gli oggetti, che resta nell’aria e capace di evocare desideri, prima o poi si scioglie e si disperde. Posso solo dire due parole, beato l’uomo che si abitua a desiderare facendo del presente e dei suoi desideri la tappa da raggiungere per il suo futuro. Tutto è una conquista, una dura conquista. Ma ne vale la pena. Sono daccordo quando dici che le persone non sono oggetti che si buttano via. Le relazioni sono fondamentali. Penso però anche che la ricerca di una persona non si esaurisca dentro un’altra persona, e che se uno dei due decide un giorno di imboccare una strada diversa che la vita gli apre, e per lui quella strada significa opportunità di crescita e risveglio, penso che abbia tutto il diritto di imboccarla e di salpare. Marco Polo non l’ha fermato nessuno, ed ha affrontato i rischi di uscire da uno schema regolato. In amore non ci sono schemi e punti presi, penso..dimmi se sbaglio. La persona tradita, se vogliamo chiamarla così, ha a sua volta le stesse opportunità di rinascita di quella che se n’è andata. Crescita e sviluppo, passano anche e soprattutto per la via più dolorosa. Quello che voglio dire è che talvolta, per trovare il mare fermo in cui puntellare le ancore, un uomo non debba rinunciare alla sua crescita interiore. Come dire..è sempre una ricerca, un viaggio che merita di esser fatto.

    Smaks, a presto,
    Adua

  33. Monica ha detto:

    Caro Alessandro, riflessione importante, profonda e contenente la spiccata verità. IO ho 15 anni e vedo tra i miei coetanei la scarsa comprensione e ricerca di quello che ci rende cosi unici e diversi: La ricerca dei sogni, un processo che ci permette di conoscere sempre di più noi stessi, è proprio attraverso questo percorso che un individuo sta bene con se stesso, senza avere un iphone o altre diavolerie che ci fanno sembrare grandi quando in realtà siamo vuoti e bianchi(senza desideri) è proprio attraverso il desiderio materiale che ci costruiamo un falso ponte che ci permette di andare avanti, questo l’ ho imparato tutto da lei, ho iniziato a capire che le persone che deridono la gente per la voglia di costruirsi una vita, non sono altro che persone invidiose che sono insoddisfatte dal benessere materiale e affettivo

  34. Federica ha detto:

    Salve prof. L’articolo è meraviglioso. E’vero, noi perdiamo più tempo a cercare e ad aspettare la felicità che a viverla veramente. Tante tante aspettative e spesso si rimane delusi perchè non è quello che ci si aspetta, magari è successa una cosa bella, ma un pò di amaro resta comunque, perchè siamo egoisti.
    Invece i più piccoli vivono la felicità all’istante, senza preoccuparsi di ciò che verrà dopo.
    Questo lo vedo tutti i giorni con mia sorella, ha dieci anni, non parla e non cammina. La vedo triste solo quando sta male, ma male sul serio. Aspetta tutto la giornata per poter giocare con me, un paio d’ore alla sera. E in quelle ore che vedo cos’è la felicità. Il suo sguardo dice tutto.

    Grazie per l’articolo, le tue parole toccano sempre le corde del mio cuoricino.

  35. katia ha detto:

    Carissimo Alessandro grazie per il tuo articolo!
    Se tutti comprendessero l’importanza delle relazioni chissa quanta gente felice ci sarebbe al mondo!
    E dire che basta poco, la felicita’ non si compra,ce l’hai accanto ma non la vedi perche’sei troppo impegnato con il tuo smatphone a mantenere vivi i contatti virtuali, dimenticando che il tempo e’ tiranno e che quando ti accorgerai dell’importanza delle relazioni potrebbe essere gia’ tardi.
    Felicita’ e’il sorriso di tuo figlio che ti abbraccia e ti dice che ti vuole bene, un bacio e un abbraccio inaspettato. Felicita’ e’ fare delle piccole cose mettendoci tutto l’amore di cui siamo capaci soprattutto con le persone che ci stanno accanto!

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