26 febbraio 2014

2064: chi semina datteri non mangia datteri

palme2Per cambiare un Paese attraverso il suo sistema educativo occorrono due generazioni. La storia lo insegna: basti ricordare il cambiamento del Giappone a metà dell’800 quando l’Imperatore decise di mandare i suoi a studiare in occidente, o della Corea del Sud a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. Immaginiamoci allora il futuro, alla luce degli incoraggianti discorsi della politica incentrati, nelle ultime ore, sulla scuola: Renzi ha una moglie insegnante e non tutti i conflitti di interesse vengono per nuocere, la neo-ministra accennava alla necessità di porre gli strumenti per l’autonomia delle scuole nell’assumere con conseguente valutazione delle stesse. Sono parole nuove, non per quello che promettono (è ritornello da canzone sentita), ma perché mettono a fuoco in modo diverso il rapporto tra l’istruzione e il futuro del nostro Paese. L’unica moneta che pensiamo possa garantire il nostro futuro è quella economica e per questo le soluzioni sono state in questi ultimi mesi di carattere tecnico, ci terrorizzava più lo spread della mancanza di investimenti nella scuola, percepita spesso dalla politica come fastidio necessario. La politica, schiacciata sull’immediato economico ed elettorale non ragiona di bene comune, che ha tempi lunghi e poco remunerativi sul breve periodo. “Non mangia datteri chi semina datteri”, così dice un mio amico arabo, che conosce bene il deserto. E i datteri della sua terra sono indimenticabili, anche se nessuno pensa a quel poveraccio che ha piantato le palme nel deserto e che non ha fatto in tempo a mangiarne i frutti. Eppure egli sapeva che il suo tempo era quello dei suoi figli e dei suoi nipoti. Due generazioni: il Paese del 2064 è la scuola che si deciderà di fare nel 2014. Le riforme urgenti sono tanto conti, sprechi e burocrazia quanto la scuola e l’educazione. Se i primi ci daranno il fiato per i 100 metri, l’istruzione ci darà il respiro per la maratona del futuro.

La scuola sarà motore di futuro quando smetterà di essere per la politica ammortizzatore sociale e serbatoio di voti, nel migliore dei casi, oggetto di puro disinteresse nel peggiore. Occorre, urgente, un segno di discontinuità. Una scuola che, pur avendo un curriculum tra i migliori del mondo, è ferma ad un modello educativo e didattico obsoleto e autoreferenziale. Una scuola in cui il coinvolgimento delle famiglie è effimero, pur essendo la scuola “relazione a tre”, l’unico triangolo amoroso che potrebbe funzionare se ciascuno degli attori (insegnanti-studenti-genitori) desse agli altri ciò di cui l’altro ha bisogno, nell’ottica di un bene comune da realizzare, svincolandosi da quella dialettica binaria che vede tutti contro tutti.

Per questo occorre guardare a quei sistemi scolastici segnalati tra i migliori da recentissime ricerche in ambito educativo e dai risultati dei test PISA, le cui prime posizioni sono occupate dai paesi orientali. Uno studente cinese in matematica precede di due anni e mezzo un coetaneo europeo. Il modello occidentale d’oltre Atlantico ha invece da insegnarci una certa concretezza nel rendere le conoscenze spendibili come competenze, ma i sistemi americani sono eccellenti per un’élite. Il nostro Paese, che ha contenuti da fare invidia a tutti, dovrebbe provare a prendere il meglio del modello orientale (altissimo prestigio sociale dell’insegnante e conseguente stipendio, coinvolgimento frequente della famiglia nell’attività scolastica senza badare al censo, didattica impegnativa ed efficace) e di quello americano (metodo induttivo, lezioni partecipative, coinvolgimento della sfera corporea, possibilità di scelta di percorsi adeguati ai talenti personali). Mediare nell’alveo del nostro ricco umanesimo e di una cultura scientifica (a volte zoppicante), tra il modello omogeneizzante e militaresco degli Orientali e quello individualistico degli Americani.

Nel 2064 il Paese che avremo avrà il volto della scuola che si farà oggi, menomata soprattutto nella fascia delle medie e nella istruzione tecnica e professionale alle superiori. Sul retro di un iphone si legge “Designed in California. Assembled in China”. Una scritta che è la sintesi di una storia scolastica: creatività e innovazione nella Silicon Valley, lavoro e manodopera in Cina. Che ruolo potrà giocare l’Italia dipenderà dalla discontinuità coraggiosa che è chiesta adesso alla e per la scuola. Ma i politici, a caccia di rapide soluzioni vincenti per le prossime elezioni e schiacciati dall’urgenza economica, avranno il coraggio di seminare i datteri per il 2064? Quelli che loro non mangeranno, ma di cui potrebbero godere i loro figli e i loro nipoti.

La Stampa, 26 febbraio 2014 

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Condivido con voi la gioia di aver saputo che Cose che nessuno sa è diventato un best-seller anche in Spagna. Vamos!

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12 risposte a “2064: chi semina datteri non mangia datteri”

  1. maria rita ha detto:

    Come sempre i tuoi articoli sono chiari, precisi e fotografano la realtà; condivido in pieno la descrizione delle problematiche della scuola media e professionale: hai usato la parola “menomata” ed è così la nostra scuola: sola e in balia della buona volontà e generosità di chi quotidianamente la fa. Forse bisognerebbe avere anche il coraggio di guardare ad una scuola originalmente nostra, Italiana, che guardi sì ad Oriente e ad Occidente, ma senza copiare ciò che non sarà mai nostro; una scuola che sia sapiente, creativa e innovativa, ma soprattutto vera e di tutti, perché tutti possano scoprire i propri talenti e realizzarli. Siamo stanchi di dover essere in classe quasi solo come colletti bianchi, impiegati che compilano moduli carichi di tante parole: vogliamo essere educatori, insegnanti che costruiscono cultura, che si confrontano e portano passione: da questo dipenderà il nostro futuro, anche se lo vivranno i nostri figli e nipoti. Io, ormai in età di pensione, anche se tale meta appare sempre più lontana, dico anche che dobbiamo lasciare spazio ad insegnanti giovani, pur rimanendo noi eventualmente come riferimento di esperienza; potrebbe essere la nostra come una prepensione: noi ci siamo, ma abbiamo tutti bisogno dei giovani!!! Ma qui ci vuole troppo coraggio e tutto diventa un’altra storia.
    Ciao, Alessandro, ti seguo sempre con interesse e fiducia e aspetto di leggere al più presto i tuoi nuovi capolavori!

  2. Ausilia Greco ha detto:

    caro Alessandro, sono da sempre d’accordo con te e con la tua visione delle cose. Mi permetto di esporti il mio pensiero a proposito del ‘ problema ‘ scuola. Non credo ci sia bisogno di far scervellare chi di dovere per documentarsi sul sistema orientale o americano e fonderli poi con il nostro patrimonio umanistico, artistico e compagnia bella. Siamo o non siamo maestri nel calcio? Siamo o non siamo tra le squadre migliori al mondo? Ecco allora appllichiamo gli schemi del calcio alla scuola e risolviamo se non tutto una gran parte dei nostri disordini. Mettiamo il patron di un club di seria A e facciamogli applicare la sua logica. Avremo la scuola così organizzata: la ‘primavera’, il vivaio delle tue palme di dattero, per intenderci, in cui ci sono gli allenatori che dopo aver fatto gli osservatori assegnano un allenamento ad hoc ad ogni ragazzino, lo coltivano nelle sue peculiarità di portiere, attaccante o difensore o altro che sia. Lo invogliano a faticare, a tirar fuori il meglio, lo coltivano, lo innaffiano perchè sia poi col tempo pronto per la prima squadra. Intanto il signor allenatore viene a sua volta remunerato per l’impegno e osservato dai suoi superiori perchè sia davvero efficace come scopritore e valorizzatore dei talenti sottomano. E cosa succede se la squadra non porta a casa dei risultati? Il primo che salta è l’allenatore perchè se anche ti ritrovi in campo un Balotelli o un Maradona , non basta. Devi comunque lavorare perchè ognuno possa dare il meglio di sè e occuparti dell’aspetto calcistico, umano, affettivo, psicologico del campione e della squadra intera.
    Insomma un vero paradiso rispetto a quell’arena di tutti contro tutti che è la scuola italiana.
    Pensa alla differenza tra le due realtà, calcio e scuola. No primavera, no e-ducere (passioni e talenti) si in-ducere ( pagine e programmi ), no motivatori, si bastonatori, no licenziamenti per inefficienza ma inamovibilità burocratica di persone faranno perdere l’occasione a tanti ragazzi di scoprirsi campioni.
    Viva il calcio, abbasso la scuola! E poi ti chiedi perchè c’è la corsa di tanti genitori a massacrare di allenamento i figli per farli diventare Balotelli e nessuno che li massacra per farli diventare un insegnante. Mah! Pretendiamo davvero che i campioni spuntino come i funghi, senza nessuna vera partecipazione da parte degli adulti. Forza Italia!

    • Prof 2.0 ha detto:

      Cara Ausilia, hai ragione. Il mio pensiero è solo un modo accattivante, circostanziato e aggiornato, di dire quello che dici tu. Oggi se punti il dito contro nessuno ti ascolta. Troppi sensi di colpa. Cerco di far riflettere e coinvolgere il lettore nella possibilità di un cambiamento. Se dico “cacciamo l’allenatore” ottengo solo reazioni piccate, sterili, inutili. Se dico: valutiamo l’allenatore, idem. Se dico aiutiamo l’allenatore, la gente si rilassa e ascolta.

  3. bvzpao ha detto:

    l’idea di prendere il meglio da tre differenti sistemi è sempre interessante, ma se non fai un esempio – anche molto specifico – non vedo nessuna possibilità che non passi per un cambiamento culturale di tutta la classe insegnante/dirigente, occorre un sistema autorevole e riconosciuto che valuti il vostro lavoro (quante scuole ne adottano uno?) ed infine si dovrebbero accordare le esigenze didattiche con quelle sindacali (oddio, un sistema ci sarebbe ma è considerato antidemocratico eliminare i sindacati!). Pensi poi che sia sufficiente l’incentivo economico? Il coinvolgimento delle famiglie sa tanto di coercizione partecipativa e vorrei vivere in un paese che non mi organizza i pomeriggi o le serate.

    Ma sono disposto, nel mio piccolo, a sostenere l’idea se riesci a farmi un esempio di tutto ciò. Concreto.
    Grazie

    • Prof 2.0 ha detto:

      Hai ragione. Ma purtroppo in 3mila battute non si può fare la riforma della scuola. Affronto il tema in tanti scritti e pagine che trovi in questo blog, con proposte concrete, concretissime: dal tenere aperta la porta durante la lezione perché si veda cosa si fa in classe a pretendere che ai colloqui vengano entrambi i genitori e che i colloqui siano preventivi e non consuntivi… Grazie a te.

  4. Giovanni ha detto:

    Quante volte lo hai scritto… e mi trovi perfettamente d’accordo: se non si punta al futuro, sui giovani, sull’educazione, su progetti che daranno frutti domani e non sul divorare e distruggere tutto oggi, non si va avanti!
    Tutti lo capiscono che la scuola è il punto di partenza per tutto! O no???

  5. Agnese ha detto:

    Caro prof,
    sono convinta che alla base di qualsiasi ora di lezione debba esserci un minimo di motivazione, quella motivazione che spinge il docente a fare del proprio meglio e che è la sola in grado di conquistare l’attenzione e l’interesse dello studente.
    Bella l’idea di tenere aperte le porte delle aule, a cui aggiungerei la possibilità di scegliere le materie di studio negli anni finali di corso, come proposto dal modello anglosassone. Forse in questo modo eviteremmo inutili insuccessi scolastici attribuibili al totale disinteresse dello studente per determinate materie e, allo stesso tempo, forse, daremmo la possibilità a chi studia, di farlo con il cuore per il piacere che ne deriva e non per arrivare a quel misero 6, meta ed ancora di salvezza di molti (forse troppi) studenti.
    Se così fosse, a metà della quarta liceo non starei a raccapezzarmi per ore sulla progettazione di database e sulla programmazione sapendo che non nutro il benechè minimo interesse nei confronti dell’informatica, ma sarei sicuramente a leggere il pensiero di qualche filosofo, pur sapendo che in un mondo come il nostro in cui il criterio vigente è quello dell’utilità, la filosofia perde la sua necessità e risulta essere una nota a margine con la quale difficilmente riuscirai a sbarcare il lunario.

  6. Massimo Vaj ha detto:

    Ciao, correggi un refuso presente nell’articolo sopra: un’élite vuole l’apostrofo. 😉

  7. Alida ha detto:

    Complimenti! Io lo adoro…ho finito di leggerlo sta mattina. Mi sono ritrovata molto in Margherita,infatti ho 14 anni come lei. Adoro anche il suo primo libro. Secondo me,lei dovrebbe continuare a raccontare gli adolescenti.
    Baci.

  8. Enrica ha detto:

    Piccola riflessione laterale su “calcio e scuola”. Costretta a leggere dal mio ultimogenito la biografia di Javier Zanetti “Giocare da uomo”, ho davvero imparato molto su questo binomio e sull’avventura del diventare adulti, uomini veri. Lettura assolutamente consigliata a tutti. Incredibile e splendido imparare da un calciatore uno sguardo realista e positivo sulla vita!
    Grata ad Alessandro, come sempre. Buon lavoro!

  9. Enza La Piana ha detto:

    Che il”nostro” futuro e sopratutto quello dei nostri figli dipenda da una scuola nuova nella quale il governo possa impiegare risorse e quant’altro non v’è alcun dubbio..Interessante l’idea di prendere il meglio di tre diversi sistemi educativi! Ma ti e vi pongo una domanda che in questi giorni mi torna spesso alla mente, vedendo i miei alunni di quinto anno già da ora in preda al panico in vista dei prossimi esami di maturità: che senso hanno degli esami di stato istituiti nel lontanissimo 1923 dall’allora ministro dell’istruzione Giovanni Gentile, per ragioni non certo di carattere didattico né tanto meno educative/formative? Io li considero inutili e dannosi!

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