12 settembre 2014

Scuola il rischio noia se si perde la meraviglia

0abbc3c1297aca5b2bf4983fb9f16039L’alternativa ad una scuola noiosa non è una scuola divertente. Non esiste una scuola spensierata e senza fatica (e il digitale non la renderà tale), ma questo non vuol dire che debba essere noiosa (e il digitale ci darà una mano). La vera alternativa è una scuola interessante. Interesse (essere dentro) vuol dire coinvolgimento con tutto l’essere (corpo, cuore, testa, spirito) da ciò che viene presentato o rappresentato (dal corpo, cuore, testa, spirito dell’insegnante). L’interesse è perfettamente compatibile con l’impegno e la fatica, cosa che la noia non potrà mai ottenere, e neanche il divertimento che si esaurisce nella consumazione dell’esperienza.

Ma che cosa ha il potere di attraversare l’essere da dentro in tutti i suoi strati? Quale presenza riesce a muovere la persona nella sua completezza chiedendole di andare oltre?

Ancora una volta chiedo la soluzione alla lettera ricevuta da una giovane lettrice:

Ho 15 anni, ho fatto il primo anno al classico e più l’inizio della scuola si avvicina più vado in crisi. Non mi fraintenda: io ho una sete di apprendere smisurata, la mia curiosità più viene alimentata e più cresce. Io ho veramente voglia di studiare. Ma se da una parte i miei occhi ardono di scoperta, dall’altra i miei professori, con occhi di ghiaccio assolutamente inespressivi, parlano con disinteresse alla materia, senza amore verso ciò che fanno. Come facciamo a mantenere vivo l’interesse e a realizzare noi stessi in una scuola che insegna senza amore? In una scuola che pensa solo a classificarci tutti tramite voti, voti e ancora voti? Ho avuto la fortuna di assistere a una lezione di un poeta, mentre parlava di Leopardi e parafrasava alcuni suoi versi, non si poteva che rimanere lì, incantati dal suo sapere, meravigliati da come la faceva diventare parole per noi, stupiti da come “un’altra poesia da studiare” si trasformasse in “questa poesia parla di me, la voglio approfondire!” Questo è ciò che io chiamo imparare”.

Occhi ardenti (movimento) contro occhi di ghiaccio (immobilità). Interesse (esserci in pienezza) contro disinteresse (esserci se non in parte). Che cosa ha di diverso quell’uomo che parla di Leopardi: incanta, meraviglia, porge la poesia come un pane buono, spinge l’eros di sapere ad andare oltre, a lanciarsi nell’alto (altum in latino è l’aperto e il profondo al tempo stesso) dell’Ulisse dantesco, per dissetare la sete dei sensi in veglia.

L’alternativa ad una scuola noiosa è una scuola “meravigliosa”, cioè capace di destare l’interesse attraverso la meraviglia. Già Aristotele descriveva così questo sentimento capace di unificare sensi, cuore e mente: “gli uomini hanno cominciato a filosofare a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere.” Sorprende la somiglianza tra la descrizione di Aristotele e le parole della quindicenne: questa cosa mi interessa, cioè riguarda tutto il mio essere da dentro, non posso perdermela, devo andare oltre.

Ma dobbiamo capire meglio cosa sia questa meraviglia, per poterla recuperare e suscitare. La definisco un sentimento misto: sorpresa unita a pace. Qualcosa di nuovo si impone alla nostra attenzione e spiazza la nostra intelligenza, ma non basta. Siamo chiamati a fermarci, sostare, osservare, andare alle fonti di quello stupore che ci ha afferrato, per attingerne la causa. Veniamo trasformati da passanti distratti in spettatori curiosi e attenti, per questo prima parlavo di (rap-)presentazione del sapere (il professore agisce il sapere). La generica sete di sapere che caratterizza ogni essere umano attraverso la meraviglia diventa interesse specifico: dal bambino affascinato dal gioco nuovo che cerca di aprire per capire come faccia a muoversi, al ricercatore che osserva al microscopio un grumo di cellule.

La realtà è una promessa di sapere che aggancia attraverso la meraviglia, capace di generare una ricerca (un girare attorno all’oggetto: ri-circa) di tipo sapienziale o scientifico, come dice Aristotele.

Il compito di ogni insegnante è proprio quello di presentare nelle sue parole, nei suoi gesti, nei suoi occhi, la meraviglia verso l’oggetto in esame. Non esistono aspetti della realtà poco interessanti, esistono casomai persone poco interessate.

Quest’estate ho ascoltato un amico appassionato di pesca il racconto di una notte passata a prendere i pesci lama. Alla fine del racconto volevo sapere come erano fatti questi pesci, volevo capire il tipo di esca e di amo che aveva usato, volevo andare a pesca, che non è stata mai al centro dei miei interessi, ma la meraviglia del suo racconto mi aveva cambiato in pochi minuti.

L’insegnante è un narratore-attore della meraviglia verso ciò che insegna, provoca eros manifestando il suo eros. L’attenzione dell’allievo agganciata si porta verso la cosa e non verso l’insegnante, altrimenti non si tratterebbe di meraviglia ma di seduzione. Il sapere somiglierà ad un regalo impacchettato: un pacchetto ben fatto segnala qualcosa che è per me e solo per me, una sorpresa. Nessuno però si accontenta del pacchetto: va oltre, apre, riceve, ringrazia.

Questo non vuol dire che avrò una classe di occhi ardenti e assetati, ma semplicemente che darò a coloro che saranno pronti la possibilità di accendersi. Solo al fuoco della meraviglia cuore e mente vengono unificati e lanciati oltre. Solo chi coltiva questo fuoco in sé riesce a insegnare, altrimenti con il tempo si riduce ad assegnare.

Avvenire, 11 settembre 2014 

ps. buon inizio d’anno a tutti con un augurio!

16 risposte a “Scuola il rischio noia se si perde la meraviglia”

  1. valeria mele ha detto:

    E se poi allo snodo della scuola si unisce la paura dell’amore?! Di non essere all’altezza?! Troppo poco intelligente?!

  2. Beatrice M. ha detto:

    Gli studenti non vogliono una scuola divertente, per divertirsi c’è il tempo libero, i ragazzi vogliono essere catturati da quello che viene loro proposto. Quello che resterá per sempre nel cuore e nella mente di ogni studente è la passione negli occhi dei loro insegnanti. Lo studente lo vede subito se chi ha davanti è lì solo per dovere o crede veramente in quello che dice. Vogliamo insegnanti veri, che valga la pena ascoltare, altrimenti potremmo ascoltare le lezioni su internet senza nemmeno muoverci da casa.

  3. Pamela ha detto:

    Solo un appunto Prof. D’Avenia, lei che il greco lo conosce, sa che la “meraviglia” di cui parla Aristotele – il “thauma” – non era affatto un sentimento di stupore e di pace, ma piuttosto, uno stupore che spaventa, che lascia sbigottiti. La paura come motore della conoscenza.

    Grazie, come sempre, e buon anno anche a lei.

    • Prof 2.0 ha detto:

      Ti darei ragione, se nel resto della filosofia di Aristotele questa idea non fosse completata dall’idea della ricerca calma delle cause di certi effetti che sbigottiscono. Non basta la traduzione di thaumazein per dar conto di ciò che Aristotele intende. Grazie anche a te e buon anno!

  4. Silvia ha detto:

    Frequento il penultimo anno del liceo classico per cui nel mio percorso scolastico ho incontrato diversi insegnanti e professori ma pochi sembravano essere appassionati al loro lavoro. Al momento potrei contarli su una sola mano. Sono pienamente d’accordo con lei e ritengo che per evitare che la noia prenda il sopravvento tra noi studenti ci debba essere un profondo cambiamento all’interno dello stesso mondo della scuola. Io, in quanto studentessa, ne risento tantissimo perche penso che la voglia d’imparare ed apprendere nozioni nuove sia possibile soltanto grazie all’esempio di uomini e donne con più esperienza in grado di trasmettere l’amore per la propria disciplina. Questa é una dote che pochi possiedono e per questo credo che il voler diventare professore sia una pura vocazione da coltivare con gli studi adeguati per poter donare agli altri e trasmettere puro amore per la vita.

  5. Irene ha detto:

    Dovrei fare il 4 del liceo delle scienze umane a Recanati, in 3 anni che ho frequentato questa scuola ho visto tamtissimi prof che amano la materia che insegnano ma non amano insegnare. Come può pretendere attenzione e ascolto un tipo che ha meno voglia di te di stare lì, in piedi, a spiagare per 5 ore? Noi la voglia di imparare ce l’abbiamo, ma a volte, cari prof, ce la fate proprio passare! Fortunatamente quest’anno ho avuto la fortuna di aver conosciuto questo insegnante di italiano fantastico, la letteratura del ‘200-‘300 è bellissima: chi ti farebbe mai studiare Boccaccio e far vedere il film “Decameron” di Pasolini? Chi ha avuto la brillante idea di paragonare l’inferno dantesco, con gli inferni contemporanei? Solo lui. Unico.

  6. margherita ha detto:

    Io l’ho definita ” la scuola incantata”.Vero, vero, vero.

  7. Irene ha detto:

    Spesso il problema non è la passione dei professori nell’ insegnare, ma avere degli amici, o dei professori come amici, che dopo la meraviglia e lo stupore provato rinnescano in te la voglia di scoprire non solo a scuola ma nella vita! Provare meraviglia è semplice ma spesso la fatica prende il sopravvento sulla bellezza incontrata!

  8. Federico ha detto:

    È vero! Gli insegnanti ormai vengono a scuola perchè quello è il loro lavoro. Ma non dovrebbe essere cosi. Gli insegnanti, come noi studenti, dovrebbero essere entusiasti della scuola. Io ho avuto una prof di lettere che ci metteva amore ad insegnare italiano e latino, e non la ringrazieró mai abbastanza per avermi insegnato tante cose, ma soprattutto per avermi insegnato a riflettere nelle sue lezioni e per avermi spronato a studiare con amore e serietà.

  9. silvia o. ha detto:

    Questa è una riflessione che ho messo per iscritto qualche giorno fa e che ho inviato ad amici-colleghi come augurio e buon proposito per il nuovo anno scolastico. La condivido anche qui.

    Un “fratello guadagnato” = insegnare!
    «Se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello» (Matteo 18.15-20)
    Ascoltando la lettura di questo brano di Vangelo, domenica 7 settembre, ho pensato istintivamente a noi insegnanti. Gesù non poteva regalarci parole più adatte come augurio o come buon proposito per l’anno scolastico che sta iniziando. Non poteva lasciarci un monito più incisivo per richiamarci al senso del nostro lavoro.
    “Guadagnare ragazzi”: è proprio questo che noi facciamo! Ogni volta che ci brillano gli occhi per l’entusiasmo quando spieghiamo, ogni volta che ripetiamo non formule sterili e frasi fatte ma verità che abbiamo fatto nostre, ogni volta che riusciamo a coinvolgere i nostri studenti nelle lezioni, che scopriamo o valorizziamo un loro talento, che accendiamo in loro qualche interesse o risvegliamo una curiosità; ogni volta che entriamo in aula con la voglia di incontrarli, e che interveniamo verso di loro con autorevolezza, con la giusta comprensione, severità o umanità … In ognuna di queste volte, noi li guadagniamo.
    Sì, abbiamo questo potere enorme, questa vertiginosa responsabilità. Non intendo dire che apriamo loro le porte del Paradiso o che garantiamo loro la salvezza (si salveranno da soli, semmai: perché – non dimentichiamolo – l’educazione è sempre un incontro tra due opposte libertà). Parlo semplicemente della realtà. Con il nostro metodo didattico, con il nostro approccio relazionale, con i nostri interventi educativi, noi possiamo farli innamorare o disinnamorare. Delle nostre materie, di noi stessi e, in ultima istanza, della realtà. Possiamo instillare in loro uno sguardo di stupore e meraviglia verso la realtà.
    Anche di questo dovremo rendere conto. Di nuovo, non penso al Giudizio Universale, ad un Dio severo e intransigente che premia o castiga. Ci chiederà conto la loro vita, la loro maturità. Se un domani diventeranno bravi ingegneri, bravi insegnanti, bravi medici, bravi idraulici … perché sui banchi di scuola hanno scoperto e sviluppato un interesse o una predisposizione per questo; se diventeranno una valida classe dirigente, dei cittadini onesti, dei buoni padri o madri di famiglia … perché hanno appreso da noi competenze e valori, allora potremo dire con orgoglio di averli “guadagnati”.
    Mi è stato detto di recente che l’entusiasmo che portiamo lascia il segno, non passa inosservato, anche se sul momento ci sembrano distratti o indifferenti, poco motivati. È vero! E l’esperienza me ne ha dato più volte conferma. Investiamo a fondo perduto. Siamo dei seminatori che spargono semi largamente e disinteressatamente, ben sapendo che vedremo maturare i frutti solo a distanza di anni, o forse non li vedremo nemmeno, non toccherà a noi raccoglierli.
    Magari un domani, passeggiando per strada, ci sentiremo apostrofare. Stenteremo a riconoscere in quel corpo di adulto, in quel volto serio e composto, in quell’uomo con una casa e una carriera sulle spalle l’adolescente scapestrato e ribelle che era; sarà lui, indulgente, a ricordarci il suo nome, aprendoci un mondo … di ricordi.
    Oppure si ritroveranno, alcuni di loro, in un bar. Tra una birra e un caffè attaccheranno a rimembrare l’un l’altro aneddoti di vita liceale. Ci criticheranno, inevitabilmente; si sbizzarriranno in buffe imitazioni. Ma, tra una risata e l’altra, esprimeranno anche qualche commento in positivo a nostro riguardo: “lui davvero ci ha insegnato qualcosa!” … “com’era umana lei!”. Probabilmente noi non saremo lì a spiarli, ad origliare le loro conversazioni dal tavolino accanto. Ma sarà questo il nostro “guadagno”, la ricompensa per quello che abbiamo portato; o, meglio, per quello che siamo stati.

  10. Paola ha detto:

    E quando, pur frequentando un rinomato liceo classico torinese, ciò che si percepisce dagli insegnanti (soprattutto di area umanistica) non è passione ma stanchezza e abitudine e aderenza ai programmi ministeriali, senza lo sguardo attento ai ragazzi e alla loro biografia, senza il desiderio di relazionarsi con loro, passiamo 5 anni della nostra preziosa vita a cercare di capire il pensiero, le opere e l’animo dell’uomo, vivendo nel più completo anonimato? il padre di mia figlia è mancato all’inizio della quarta ginnasio, e ciò che i suoi insegnanti hanno saputo darle, non dico per alleviare il suo dolore ma almeno per aiutarla a
    inserirlo in un orizzonte di senso, è stato il debito di latino. Mi è stato detto che loro non sono psicologi e che per elaborare il lutto avrebbe dovuto farsi aiutare da un professionista, cosa che naturalmente è stata fatta. La tenacia e la forza d’animo che appartengono a questa ragazza ha fatto si che non andasse alla deriva in balia dello shock e della depressione, in un’età in cui non si hanno gli strumenti emotivi per affrontare questo genere di prove. e alla fine è approdata alle seconda liceo con la media del 7,performmante come la scuola richiede.
    Ma in perfetta solitudine, sorretta solo dall’amore della sua famiglia e dei suoi amici più cari. Mia figlia, ed io come madre di riflesso, abbiamo provato in prima persona la totale assenza di quello sguardo attento alla persona che Lei più volte descrive con rara poesia nei suoi articoli. Abbiamo sperimentato la totale indifferenza per tutto ciò che non era rendimento scolastico e adesione alle richieste didattiche. Sicuramente questa sarà ricordata come una scuola di vita e di non-vita.

    • Prof 2.0 ha detto:

      Cara Paola, non tutti scelgono di mettere la valutazione dentro la relazione, ma invertono. Con tutto quello che ne consegue. Ma tu e la tua ragazza siete forti: si sente dalle tue parole.

  11. Cristina M. ha detto:

    Caro Prof, l’anno scorso, alla vigilia del primo giorno di scuola ad un liceo classico, scartabellando su internet trovai il tuo articolo “Il primo giorno che vorrei” e me ne innamorai sperando con tutte le mie forze che, durante il mio primo giorno, qualcuno mi dicesse prorpio quelle cose.
    Quest’anno, invece, alla vigilia della quinta ginnasio, mia madre vedendomi alquanto abbattuta mi ha detto: guarda che ho trovato proprio un bell’articolo sul giornale…è del tuo Alessandro D’Avenia… Volevo solo ringraziarti per aver reso migliori questi miei primi gorni da liceale.

  12. […] Fonte Prof 2.0 – Alessandro d’Avenia […]

  13. Emanuele Nicosia ha detto:

    Gent. prof. D’Avenia, non frequento i social e non trovo una Sua casella quindi non so come farle arrivare questa mail. Credo sia quasi impossibile riuscirci, ma ci provo.- Sono un palermitano di 67 anni. Dopo il mio bellissimo liceo classico ho fatto Giurisprudenza e perfino lì ho conosciuto non pochi professori eccellenti, nei limiti che l’Università consente.- Leggo ogni lunedi il Corriere della Sera e mi piace molto la puntata di oggi 14.09.2020 e il nuovo titolo “Ultimo banco”.– Nella vita sono stato un funzionario competente e onesto, ora sono in pensione. Ho 4 nipotini/e e mi sta molto a cuore la scuola pubblica. Credo che Lei faccia parte dei tanti siciliani splendidi trapiantatisi nella bella Milano. Le rivolgo una preghiera: non lasci la Scuola, non trascuri le classi per inseguire mille altri impegni (così purtroppo faceva il mio prof di Italiano). Poi, continui sempre coi cenni etimologici dal latino e dal greco che sparge negli articoli del lunedi.- Una curiosità per finire: Einstein è stato certamente un genio eccelso; della sua antipatia per la scuola sapevo già. Però, non so perchè, pare sia stato un marito irascibile e prepotente.- D’altronde tra i grandi uomini c’è un campionario immenso di miserie (Manzoni avaro e nevrotico, Vico oberato di debiti e di figli, Leopardi nemico del sapone ma ghiotto di cioccolata…) Mah! Complimenti e buon anno scolastico (del Covid, non parliamo nemmeno!) – Emanuele Nicosia (Palermo; enicosia52@gmail.com)

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