27 marzo 2011

A chi appartieni?

“A chi appartiene?”. Con questa domanda, nella mia città, ci si informa sull’identità di uno sconosciuto. E così in campo educativo, in famiglia e a scuola, si dovrebbe mirare a questo: a stimolare nei ragazzi la scoperta di appartenere, per prendere davvero coscienza di chi sono. I ragazzi sono disposti ad affrontare la realtà solo quando interiorizzano la loro unicità e io – insegnante ¬– esisto perché vedano, nel mio corpo, che la loro unicità è per me un dono e una responsabilità. Le loro vite mi sono affidate e donate. Solo così il bambino o l’adolescente assumono in sé la propria immagine come qualcuno che è voluto, che appartiene.

Ma come fa un genitore, come fa un insegnante a rendere tutto questo possibile, percepibile? Così racconta una delle più grandi pianiste russe del Novecento, nonché insegnante: «Nel mio gruppo c’era un “attaccabrighe”, un ragazzino di otto-nove anni praticamente senza famiglia, senza amare o essere amato. Si chiamava Akinfa; era indisponente, stuzzicava tutti, prendeva in giro i bambini ebrei, si azzuffava e così via. Noi tutti cercavamo di esortarlo con la parola e con l’esempio. Ma una volta Akinfa passò tutti i limiti: picchiò uno dei compagni, prese a male parole gli adulti, commise un furtarello. Fu “decretata” la sua espulsione, ma quando venne il momento di eseguire la “condanna” – il momento del distacco – io, non so come, scoppiai a piangere».

È a questo punto che avviene la “seconda nascita” di Akinfa: «Scoppiò a piangere anche lui; chiese perdono tutti, rese la refurtiva e da quel momento mi seguiva sempre ovunque, nel campo, come un fedele cagnolino; e spiegava a tutti che “in vita sua” (!) non aveva mai visto una maestra che piangesse per il suo alunno: che piangesse, per dirla con le sue parole, “sull’anima e sulla vita” di un monello. Proprio questo era il senso del suo stupore e del desiderio di rimettersi sulla buona strada».

Akinfa cambia vita, una seconda nascita, grazie alla pietas della sua insegnante e la pietas-pietà, da Omero a Dante, passando per Virgilio, è la manifestazione di questa appartenenza. La maestra piange per il suo ragazzo, che solo a quel punto percepisce come la sua vita sia amata, voluta, accolta. Da quel momento Akinfa sa di appartenere a lei, la segue ovunque, cambia perché è cambiato. Una maestra piange per il suo alunno e lo salva, più che col buon esempio e le parole. Manifesta che quel ragazzo è un dono, le appartiene, ne è responsabile.

Ma non a tutti sarà dato piangere per i propri alunni. Come può questo pianto manifestarsi senza lacrime e avere gli stessi effetti? Come può uno studente sentire la pietas, l’appartenenza e quindi mettere in gioco la sua vita come una vita bella, che merita di essere e amare, perché qualcuno l’ha amata prima? Il segreto è il tempo. Donare tempo. Lo vedo con i miei alunni. Una mail, una chiacchierata a tu per tu all’intervallo, un caffè al bar della scuola, un progetto condiviso, una mostra, un’uscita a teatro… Tutto il tempo che riesco a donare loro è quel pianto, è quella pietas di chi appartiene: tu mi appartieni, sei dono. Tutto il tempo che i miei genitori e maestri mi hanno regalato, ha reso bella la mia vita e fortissima la consapevolezza che valga la pena spenderla per amare.

Non sempre abbiamo il coraggio di ritagliare i nostri impegni di lavoro, la nostra auto-affermazione con i suoi ritmi asfissianti, i nostri spazi, per regalarli ai nostri studenti e ai nostri figli. Ma forse questa è l’unica cosa che possiamo veramente donare agli altri, perché prendere il proprio tempo e regalarlo è amare, educare, liberare. Me lo aveva già detto tempo fa qualcuno: “Noi amiamo, perché qualcuno ci ha amati per primo”. E continuo a dimenticarmelo. Se io non appartengo, non mi appartengo e nessuno mi appartiene.

Rubrica “Per chi suona la campanella“, marzo 2011

31 risposte a “A chi appartieni?”

  1. Claudia ha detto:

    E’ proprio vero: anche Seneca sosteneva che il tempo è il bene più prezioso…l’unico di cui non potremo mai essere risarciti!
    E noi quante volte ci nascondiamo dietro i falsi doveri, gli impegni professionali, solo perchè siamo pigri e non abbiamo voglia di metterci in gioco con chi ci sta attorno. A volte soltanto di “prestare” un orecchio. Come dici tu, è molto meno dispendioso in termini di energie avere un bello schema in testa invece di guardare la realtà con curiosità. Ma cosa rimane alla fine delle soddisfazioni personali se non avremo un amico, un genitore o un figlio con cui condividerle?
    Quando arrivo in fondo alla mia giornata, ciò che mi dà senso non è la quantità o la qualità di esami che ho prodotto, ma sono i visi delle persone che ho incontrato, le lacrime che ho asciugato e i sorrisi che sono riuscita a strappare. E per fare questo non ci vuole una laurea, basta semplicemente esserci!

  2. antonio ha detto:

    Ciao, Chi è la pianista cui fai riferimento nel post?grazie!

    • Roberta ha detto:

      Leggo questo articolo proprio stasera che ho lo stomaco chiuso: domani è la mia giornata cruciale. Sette ore in una scuola che sembra un girone dantesco… Sono mesi che provo, tento, a donare me stessa, il mio tempo, la mia attenzione a questi ragazzi presi da non so cosa…ammetto che è molto frustrante. In altre scuole non accade, ci sono mattine in cui sono ansiosa di ritrovare i miei studenti per poter essere con loro. Ma domani,no. E non piangerei, lo ammetto, se finalmente qualcuno venisse espulso, capendo che che la vita non è un gioco, che si chiede scusa dopo aver riparato a quel che si è fatto. Forse queste lacrime stanno contribuendo a far passare un messaggio sbagliato: se commuovo i miei prof forse mi graziano pure quest’anno. Per dirla con un mio caro studente: “A professorè…lo sa perchè studio quest’anno? Perchè lavorare tutta l’estate nel cantiere di papà dopo la bocciatura mi ha fatto cambiare davvero”. Ecco. Temo che le lacrime siano davvero troppo poco per certi cari ragazzi che meritebbero segnali netti per non perdersi e, infine, appartenersi.Nel rispetto di tutti.

    • Monica ha detto:

      La pianista è Marija Judina, giusto? So che su di lei sono usciti alcuni libri a cura di Giovanna Parravicini, che parlano di lei anche come educatrice…

  3. Monica ha detto:

    Che bel post! Bellissimo, anzi.
    E per Claudia: è vero che anche Seneca parla del tempo come del bene più prezioso, ma lui non è mai riuscito a sbilanciarsi così nel dono gratis del proprio tempo, per condividere l’essere di un altro.
    “Basta semplicemente esserci”: ma a me sembra che stare di fronte a un altra persona con tutta stessa sia l’esperienza più vertiginosa che ci possa essere… E per questo così eccezionale e così necessaria.

  4. Maria Lucia ha detto:

    Molto bello quello che scrive, purtroppo nella scuola reale lei è un’eccezzione , la norma è tutt’altro! è chi offende i sui alunni in classe rendendoli ridicoli davanti ai compagni, e si intromette nella vita privata con cattiveria annullando l’autostima di un adolescente che con grande fatica ne aveva conquistata un poco! Lo dico a ragion veduta e per esperienza personale, comunque è bello sapere che esiste almeno un insegnante come lei!

    • Prof 2.0 ha detto:

      Cara Maria Lucia, tutto quello che hai dato prima o poi darà frutto. Dare tempo è accettare anche i tempi degli altri. Anche a me capita con i ragazzi di dare molto e ricevere poco, ma vedo che con il tempo le cose cambiano. Inoltre ciò che più conta è che voglio guardarmi allo specchio e potermi dire di averci provato, al contrario farei un altro mestiere…

  5. Greta ha detto:

    Grazie

  6. elisa ha detto:

    E’ così bello questo tuo post..e anche così difficile da rendere realtà per me che sono genitore che condivide, che dona tempo e disponibilità e non riceve affatto affatto dal figlio adolescente il cambiamento sperato e così letterario. Io ci spero, mi impegno..ma la vita è diversa dagli esempi belli della pianista o di Seneca.

  7. LadyLindy ha detto:

    grazie al Cielo qualche prof così c’è. Ne ho testimonianza, e mi dà esattamente questo effetto:”ha reso bella la mia vita e fortissima la consapevolezza che valga la pena spenderla per amare”. Non avrei saputo dirlo meglio 🙂

  8. Bianca ha detto:

    Sarebbe davvero bello poter condividere con un prof una mail,una chiacchierata,un caffè,un progetto,un’uscita a teatro o una mostra come dici tu…Condivido il commento di Maria Lucia,non sopporto chi si accanisce contro uno studente offendendolo davanti a tutti solo perchè l’ha preso in antipatia…il prof al quale sentirò in futuro di dovere molto non è affatto quello autoritario ma quello che acquista autorevolezza instaurando un rapporto di stima e rispetto reciproco con gli studenti,spingendoli alla formazione di un pensiero critico…in questo senso la cultura ci può emancipare:conoscere e capire ci aiuta a pensare con la nostra testa.

  9. Lanfranco ha detto:

    Bello. Condivido tutto con piena convinzione.

  10. Chiara ha detto:

    Lei diventa così il professore-amico che vorrebbero tutti avere.Colui che guarda “dentro gli occhi” e che ne apprezza ogni sfumatura.Non dimenticherò le parole del suo libro.Lasciano il segno,perchè piene di vita.

    Una studentessa in cerca di un sogno.

    • Prof 2.0 ha detto:

      Cosa intendi per amico?

      • Chiara ha detto:

        Che non è un professore qualunque,che insegna e basta.Ma sa rapportarsi con gli alunni,per capirli e per farli sentire accettati.Questo è quello che traspare da ciò che ho letto,non vorrei fraintendere!

        • Prof 2.0 ha detto:

          Volevo solo capire cosa intendevi, Chiara. Sai dietro la parola prof-amico si nascondono molte insidie. Ma sono d’accordo con quello che intendi tu! 😉

  11. donata ha detto:

    Hai visto il film cinese “Non uno di meno”? Molto interessante in proposito.
    Ciao!

    • GABRIELLA ha detto:

      LEGGENDO QUESTO BELLISSIMO POST HO SUBITO PENSATO ALLA ROSA DEL PICCOLO PRINCIPE…
      “E’ IL TEMPO CHE TU HAI PERDUTO PER LA TUA ROSA CHE HA FATTO LA TUA ROSA COSI’ IMPORTANTE”
      GRAZIE ALESSANDRO

  12. Antonella Compagnucci ha detto:

    Una lacrima non si comanda. Sarebbe lungo da spiegare.
    Ma anche quella è un dono gratuito che quando ti viene dato è un vertice dal quale non ci si vorrebbe mai staccare. soprattutto se è una lacrima di pura commozione. Ciao Antonella

  13. Emanuela ha detto:

    Leggendo quello che scrivi ho il rimpianto di non aver intrapreso tanti anni fa la strada di diventare un buon insegnate, abbagliata come ero da altri luccichii. Credo che tu sia una perla rara nel variegato mondo della scuola che piano piano conosco attraverso le esperienze dei miei due figli.
    La realtà è fatta di pochi “sognatori” come te, preziosi e rari ma fortunatamente reali.
    Credo che il tuo scritto denoti la grande capacità di un insegnante di provare empatia nei confronti dei propri allievi, quella capacità impalpabile di carpire i loro sentimenti e le loro emozioni, di condividerli per farne materia e motivo di crescita di chi non è ancora adulto. Insegnare è sapersi donare, che sia una lacrima o un gesto d’affetto o un rimprovero fatto con il giusto tono di voce. Insegnare è un’arte, non tutti ne sono purtroppo capaci.

  14. marco ha detto:

    “L’educazione e’ cosa di cuore,e Dio solo ne e’ padrone,e noi non potremo riuscire a cosa alcuna se Dio non ce ne insegna l’arte e ce ne da’in mano le chiavi”
    (S.Giovanni Bosco)

  15. Maria Grazia ha detto:

    Grazie per queste righe e per la presentazione di Venerdì sera al corso genitori.
    Ho letto il post dopo 10 giorni di fuoco, una delle mie classi mi stava facendo impazzire, un paio di ragazze di “quelle toste” mi stavano provocando alla grande. L’idea di mollare era forte ma subito dopo la speranza che io non sono da sola e come posso io non voler loro bene se sono innanzitutto io stessa amata? Ed infine voler bene e prendere la “giusta distanza” significa lasciare largo spazio anche alla loro libertà e attendere con pazienza.
    Ancora Grazie

  16. Ariel ha detto:

    Dirti che ho messo questa pagina tra i preferiti è solo l’inizio! Da quando l’ho letta per la prima volta, mi collego ogni giorno per rifarlo! Un articolo, se posso permettermi di dare un giudizio, da 10 e lode! Sono una liceale, mi conosco (o almeno credo) e conosco contesto.. Non c’è niente di più bello di uscire da casa la mattina, entrare in classe e trovare una sorta di famiglia! Io con i miei insegnanti, sin dalle elementari, ho cercato di costituire, credo incosciamente all’inizio, ma adesso ne sono consapevole,un rapporto umano, non un semplice rapporto freddo, distaccato.. E nonostante sia al liceo, questo mi capita tutt’ora! Non ti nascondo che mi capita spesso di mandare un’email al mio insegnante, anche se difficilmente risponderà, ma mi farà capire il giorno dopo di aver letto e di aver capito, perché forse è proprio con voi che riusciamo ad aprirci, se riusciamo ad “appartenervi”. E vasta scrivere, inviare quel testo per sentirmi meglio. Una semplice attenzione, un semplice gesto, rende noi alunni molto felici. Ancora una volta ha fatto centro con un tuo articolo. Grazie sempre.

  17. Ariel ha detto:

    Mia madre ha letto qualcuno dei tuoi articoli e ne è rimasta colpita.. Anche lei è un’insegnante! E così ha deciso di leggere il tuo libro 🙂

    In effetti, sei proprio un mito!

  18. Daniela ha detto:

    Mi hai richiamato alla mente una tenera immagine della mia infanzia. Trascorrevo l’estate in campagna dai miei nonni e zii mezzadri. Nella contrada c’é un piccolo borgo, con una chiesetta e un tabaccaio (ai tempi era anche l’unico telefono dei dintorni). Ad una “cantunera” della borgata c’era sempre una vecchietta la “Zì Brigida” che chiedeva a tutti i passanti: “Tu a ‘ccu appartini?”
    A parte questa piacevole rimembranza, condivido in pieno quello che dici. Ho trovato in questi anni ragazzi molto fragili, tra i banchi di scuola. Studenti che dicono di preferire Dante a Petrarca perché il primo è un uomo di certezze, coerente che indica una strada ed un ‘modus’ di attegiarsi alla realtà. Ancora più spesso mi sono resa conto che questa fragilità è richiesta d’affetto e d’attenzione. Quando arrivano i genitori, in genere, capisco il perchè. Le madri e i padri sono belli, palestrati, alla moda. Non c’é un giudizio morale da parte mia: ben venga che la gente si curi a tutte le età. Ma una donna, fresca di parrucchiere, con le unghie ricostruite con le più fantasiose decorazioni che poi non riesce a trovare un momento per fare un colloquio con gli insegnanti di suo figlio è un’immagine che ti fa interrogare. I ragazzi hanno bisogno di attenzione, di presenza, dell’amore viscerale come quello che noi trovavamo nelle nostre splendide mamme che, dopo la prima gravidanza, si trasformavano in pachidermi ma erano lo stesso le mamme più belle del mondo!

  19. iaia ha detto:

    don Bosco diceva che non basta amare e basta i giovani; essi devono sentire,devono percepire questo amore in modo tangibile!!
    il tempo che si dona agli altri,che si dona ai ragazzi, è l’unica cosa che dà credibilità a chi educa.
    dovremmo tenerlo presente più spesso! 🙂
    grazie

  20. sr valentina ha detto:

    grazie… e aggiungerei “non basta che i giovani siano amati…devo SENTIRLO il nostro amore” don Bosco

  21. Clotilde Troise ha detto:

    È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato.
    Tu sei responsabile della tua rosa…(Antoine De Saint-Exupèry)

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