15 maggio 2012

Il libro che mi ha cambiato la vita non l’ho mai letto

Presentato nei giorni scorsi al Salone internazionale del Libro di Torino, «I libri ti cambiano la vita» (Longanesi, pagine 348, euro 14,90) nasce da un’intuizione di Romano Montroni, considerato il più esperto libraio d’Italia. Nel volume – il cui ricavato servirà alla ricostruzione della Biblioteca comunale di Aulla – cento autori si misurano con il capolavoro che più di ogni altro si è dimostrato decisivo nella loro esperienza umana e letteraria. Ho partecipato a questo bel progetto e desidero condividere con voi in anteprima il capitolo che ho scritto.

***

Deluderò chi cerca in queste righe il libro che mi ha squadernato le possibilità infinite del mondo, che ha reso il mio cuore un po’ più intelligente, che mi ha regalato ore di consapevole fuga dalla realtà per tornarvi con più fame, che mi ha insegnato a guardare tra le pieghe nascoste delle cose, tra le righe del mondo, che mi ha regalato un briciolo di empatia in più verso gli altri e un po’ di misericordia in più per i miei vicini di condominio. Insomma non racconterò di quel libro che mi ha fatto innamorare di più della vita e insegnato che le parole sono il modo per possedere le cose, anche quelle che ci portiamo dentro, anche quelle che si nascondono nei meandri più nascosti dell’anima.

Non lo farò, perché quel libro è un libro che non ho mai letto, un libro che non ho mai sopportato, un libro che non ho mai finito. Quel libro mi ha insegnato che c’erano cose noiose, persino nella mia magica infanzia e che io non avrei mai scritto una storia noiosa, né l’avrei mai raccontata. Le mie nonne, siciliane, mi riempivano le orecchie di storie vissute e io rimanevo ore ad ascoltare di tedeschi che entrano in casa minacciando la vita di mio padre neonato, di corriere da cui scendeva mio nonno per andare a trovare la sua bella in un paese lontano dal suo…

Quelle storie non mi annoiavano mai ed erano le mie storie, le storie della mia famiglia. Se io ero lì ad ascoltarle era perché erano vere. Anche se sono convinto che le mie nonne aggiustassero la realtà scantonando spesso nel verisimile, per rendere ancora più vera la loro narrazione… Quelle storie le ricordo ed entrano nei miei libri con una forza che non riesco a controllare. È il racconto orale che mi ha aperto le orecchie, il cuore e la testa, esattamente in quest’ordine, al desiderio di ascoltare il mondo e le persone, come si fa da bambini con le conchiglie. Tu poggi l’orecchio contro quel naufragio di madreperla e senti che contiene tutto il mare.

A paragone di quelle storie il libro che non ho mai letto era insopportabile. Lo dovevo leggere perché è uno di quei libri che i bambini degli anni Ottanta dovevano leggere e perché l’avevano letto i miei due fratelli maggiori, che per me erano dei supereroi. Quel libro era I ragazzi della via Pál. Spero di non ferire nessuno di coloro che amano quella storia, ma io la trovavo noiosa. Non sapevo dove fosse Budapest e Nemecsek era un nome troppo complicato per la mia lingua. Ho provato a cominciare quel libro tante volte, forse dieci, ma non riuscivo mai a superare le prime pagine, mi piaceva soltanto la descrizione del ragazzino impaurito nascosto tra i rami degli alberi a spiare la banda avversaria, non ricordo perché e non ricordo neanche se la scena fosse esattamente così…

Io volevo le avventure dei miei nonni, delle mie nonne, la Guerra, i Tedeschi e gli Americani, la Sicilia e il Mare, i proverbi in dialetto e la continua minaccia del destino sulla mia vita che era legata a quelle storie.
[…] Da quel fallimento, dalla mia impermeabilità a quelle pagine è nata la spinta a cercare storie diverse, storie che non mi annoiassero, storie che mi raccontassero il mondo in cui io vivevo dandogli un senso. Storie simili a quelle delle mie nonne, storie di cui ero il diretto o indiretto compimento. (Inoltre capii di essere diverso dai miei fratelli, e non è poco per uno che li considerava supereroi).

Ma mentre scrivo queste righe mi torna alla memoria un ricordo ancora precedente e più profondo. La memoria è fatta a stanze che immettono l’una dentro l’altra. Questo ricordo corregge il tiro del primo, forse lo amplia, forse lo rende più essenziale. Non è un libro che mi ha cambiato la vita, anche se alcuni sì lo hanno fatto, ma qui vado a caccia del peccato originale, non dei peccati di lettura successivi, innumerevoli e imperdonabili. Non è stato un libro a cambiarmi la vita, ma le lettere. Sì le lettere, le lettere in senso stretto, con la loro bella grafia.

Ero all’asilo e giocavo. Avevo cinque anni ed ero in quel periodo scolastico, l’asilo appunto, che è l’unico che funziona davvero. Quello in cui sei talmente libero che imparare coincide con il creare. Giocavo, disegnavo, creavo. E così imparavo. Creavo soprattutto con il pongo: astronavi, con le quali affrontare quelle create dai miei amici. Sedevamo attorno a banchi disposti a quadrato e quindi ci guardavamo in faccia, ci passavamo le cose, litigavamo, ci sfidavamo, ridevamo. Creavamo insieme.

Ad un tratto la maestra Gabriella mi chiamò. Dovevo cambiare classe. Io mi fidavo di lei e della sua voce sottile. Mi prese per mano e mi portò in prima elementare. Sì perché sembrava che io fossi pronto per affrontarla in anticipo. Quando entrai c’erano dei banchi disposti a file e non ci si guardava in faccia, ma si scorgeva solo la schiena di chi avevi di fronte e tutti fissavano la lavagna e la maestra, che spiegava una cosa orribile, astratta, senza mani, senza pongo, senza colori. Solo gesso bianco con cifre astratte. Spiegava le tabelline, porta infernale attraverso la quale abbandonavo il mondo incantato della creazione, per entrare in quello del far di conto, dell’utile. Mi sono seduto in fondo e mi sono sentito fuori posto. Non avevo niente in mano. E il pongo dov’era? Solo fogli, quaderni, e penne.

E dovevo stare seduto sempre, solo col mio banco.
Sarei voluto fuggire. Ma non potevo. Dovevo imparare e stare lì seduto. Cominciai a guardarmi intorno. Sulle pareti c’erano dei bizzarri cartelloni colorati con delle grandi figure associate a dei segni eleganti. Gn con uno Gnomo dal barbone bianco, F con una farfal la gialla a puntini neri, C con un bel coltello affilato come quello del macellaio, la C poi era ripetuta in un altro cartellone vicino a quelle del coltello, c’era una coppia di superbe ciliege. Non sapevo ancora che esistessero suoni affilati come un coltello e dolci come le ciliege, ma lo intuivo grazie a quelle immagini. Cominciai a fissare quei disegni perché le tabelline mi facevano paura, mi sembravano mostruose e noiose.

Mi estraniai da quel mondo triste che era la prima elementare, che indicava un destino già scritto: ti aspettano 13 anni così e altri 5 se farai l’università. Un percorso deciso, per anni dietro ad un banco di pochi centimetri, a imparare, senza creare. Per questo venivo buttato spesso fuori: mi giravo sempre a parlare e non stava bene, parlare. Eppure avevo un sacco di cose da dire, un mucchio di domande, ma non erano attinenti alla lezione, soprattutto quando era di matematica e di geografia. Chiacchierone e distratto.

Quei cartelloni mi salvarono perché cominciai a immaginarmi i rapporti invisibili tra quei personaggi fatti di lettere e immagini. Nascevano dentro la mia testa in fuga storie fatte di quelle relazioni invisibili, a cui io davo parole ed esistenza. Fu allora che nacque una delle mie prime storie: cosa facevo lo Gnomo alla Farfalla con il Coltello? Era un thriller, e non ricordo come finisse. Purtroppo. Se lo ricordassi guarirei da molte delle mie tare mentali…

Quelle lettere mi cambiarono la vita. Erano i segni “calligraficamente” perfetti di un mondo da scoprire in ciò che ha di invisibile. Erano i fili e i nodi di una rete invisibile che sorreggeva lo scenario del mondo. C’era molto più sul muro bianco tra un cartellone e l’altro che in tutte le formule scritte e da imparare a memoria. C’era molto di più nel mondo che nella filosofia di qualsiasi maestra. Quei personaggi si muovevano nella mia testa e nel mio cuore. Erano vivi e io con le parole, prima raccontate e poi scritte, potevo dare vita a quelle relazioni invisibili, riempire di parole quella parete bianca e incantare i miei amici, come facevano le mie nonne con me. Così divenni un cantastorie dell’invisibile.

Non un libro letto mi ha cambiato la vita. Ma uno mai letto.
Non una storia in particolare, ma le lettere con cui si costruiscono le storie per rendere visibile ed eterno ciò che non deve andare assolutamente perduto o ciò che è andato perduto e disperatamente cerchiamo.

33 risposte a “Il libro che mi ha cambiato la vita non l’ho mai letto”

  1. Gabri ha detto:

    Anch’io ne ho tanti e nessuno, di libri che mi hanno cambiato la vita. Uno su tutti credo sia “I Malavoglia”…forse perché avevo 14 anni, ero al mare e mia sorella più grande mi obbligò a leggerlo, perché, mi disse, “mi avrebbe illuminato”…Era vero. Capii che c’era un mondo, fatto di parole e carta e me ne innamorai. “Le parole sono come funi”, scrissi qualche anno più tardi in una poesia. Quando fai il tuo incontro con loro, niente può essere più lo stesso 🙂

  2. Massimo ha detto:

    Stupenda descrizione dello stato d’animo di chi frequenta la scuola la prima volta…soprattutto di fronte a matematica…

  3. Ilaria ha detto:

    E’ proprio vero che i numeri fanno paura…io ancora ne ho!Infatti da sempre quando vedo numeri e cifre il mio cervello si blocca: inizio a immaginare altro, cerco di trasformare anche i numeri in storie.
    Perché basta una storia, una frase, una parola per cambiarti…per farti vedere le cose da un’altra prospettiva…
    (E ora mi sto immaginando la scena de “L’attimo Fuggente” quanto il professor Keating fa salire i propri ragazzi sulla cattedra…della serie: viva l’immaginazione!)

  4. maria teresa cristiano ha detto:

    Anche tu hai fatto la “Primina”?Un anno tolto ai giochi,alla spensieratezza,alla fantasia…. è successo anche a me,con i compagni che mi guardavano storto,arrivata dopo,più piccola e più brava,proprio perchè più piccola..M a con i miei figli nn l ho fatto.Bella la descrizione dei racconti delle nonne,meglio di qualsiasi libro, ma nn solo da piccoli, sempre.

  5. Anna Maria Calderone ha detto:

    Non poteva certo essere una risposta banale la tua, mio carissimo professore (ti do del tu perché sei più giovane delle mie figlie e perché ti sento vicino non soltanto come conterraneo).Ho letto di recente il tuo libro che mi ha commosso e fatto riflettere; ho letto il tuo articolo relativamente alla proposta balzana di eliminare Dante dalle nostre scuole; ho ascoltato sul sito una tua lezione e voglio esprimerti il mio compiacimento e il mio orgoglio di siciliana.
    A me però è capitata fra le mani una lettura folgorante e che in qualche modo ha indirizzato la mia vita quando, giovanissima universitaria, ho scoperto, riportata nel testo di Pedagogia la “prima lettera ai Corinzi” la parte che viene comunemente chiamata “Inno alla carità”.
    Spero che l’entusiasmo e l’amore per tutto ciò che fai ti accompagni per tutta la vita.

  6. alessandra gentili barelli ha detto:

    Magnifica descrizione di ciò che solo da adulti si riesce a spiegare e comprendere…mi ci ritrovo in molte cose ..
    Quello che amavi . era la tua verità.. non quella che ti imponevano gli altri.. e cercavi una via di fuga per farla vivere dentro di te , pensando che nessuno tra quegli spazi , disegni e lettere , ancora l’ avrebbe letta
    Si nasce con dei talenti, forse tutti ne hanno uno; e quando da adulti si trova la forza , il coraggio , di contivarli con intelligenza , diventano una montagna dentro di noi, esprimibile in piena libertà.
    La tua di libertà , è fatta di un fiume di acqua fresca .dove scorrono sorgenti di parole unite da un filo : Cuore fa rima con Amore .
    Ale

  7. Eleonora Bono ha detto:

    Ricordo che al liceo, classe 1997/’98, il bravissimo prof.Lo Bianco(che ci faceva tenere le brutte copie dei temi), ci lasciò un tema la cui traccia era: “Attraverso quali esperienze avete imparato ad apprezzare la parola scritta, rispetto alla pluralità delle forme espressive del nostro tempo, acquistando il gusto della lettura e raggiungendo la comprensione del valore dell’opera d’arte?”. Piuttosto esigente per giovani diciottenni, e per questo, molto interessante… Io risposi che più di ogni altra esperienza, furono le Fiabe Sonore, della mia prima infanzia,(45 giri + libro illustrato) a dispiegarmi il mondo meraviglioso riposto nella parola scritta e narrata, ed in particolare fu la breve canzoncina del cantastorie, che apriva e chiudeva ogni fiaba: “A mille ce n’è nel mio cuore di fiabe da narrar. Venite con me, nel mio mondo fatato per sognar. Non serve l’ombrello, il cappottino rosso la cartella bella per venir con me. Basta un po’ di fantasia e di bontà.” A diciottanni iniziai a studiare teatro, passando per la danza ed approdando, infine, alla narrazione e canto; questa carriera è durata 12 anni. Oggi studio Teologia, può sembrare una scelta bizzarra, ma è proprio in quest’approccio teologico, che ho incontrato quella “fantasia” e quella “bontà” di cui parlava il cantastorie; intese come bellezza sublime del cosmo.

    Cari saluti
    Eleonora

    • simona ha detto:

      anch’io!!!!! ci passavo le ore con il mangiadischi e il libro davanti ancora una volta e ancora una volta fino a non sentire che il gracchiare dei solchi! Fantastico.

  8. Micol ha detto:

    ma che bello!!! mi sono emozionata!!!
    ed ho anche finalmente capito perché, per anni, ho rifiutato quella lettura scolasticamente imposta e generalmente noiosa che tanto garbava alla mie insegnanti d’italiano. Io non Volevo leggere quello che gli altri mi imponevano. I libri devono arrivare a noi per empatia, non per imposizione.
    E poi, con la frase “dalla mia impermeabilità a quelle pagine è nata la spinta a cercare storie diverse, storie che non mi annoiassero, storie che mi raccontassero il mondo in cui io vivevo dandogli un senso. Storie simili a quelle delle mie nonne, storie di cui ero il diretto o indiretto compimento” mi hai fatto capire perché non riesco a liberarmi dal viaggio e da quello che i miei occhi vogliono vedere e le mie orecchie sentire. grazie per aver spiegato a parole quello che sento da tanto…

  9. Emanuela ha detto:

    Non so se ha visto il programma “Le parole che (non) ho” con il mitico Saviano. Ma lei ha una parola che le ha cambiato la vita? 🙂

  10. Cristina Z. ha detto:

    Dopo aver letto e riflettuto, è scesa in me un po’ di tristezza… Sono un’insegnante elementare e quest’anno ho camminato insieme a trenta meravigliosi bambini di sei anni; mi auguro che per almeno uno di quei piccoli l’impatto con la scuola sia stato più positivo di quello descritto. Abbiamo trasformato, abbiamo recitato, abbiamo cantato, a volte si è pianto e riso, ci siamo annoiati e divertiti. Insieme preghiamo e impariamo a volerci bene, ogni giorno è una sfida educativa da vivere con creatività e amore. Oggi pomeriggio ho recitato il Rosario con uno di questi piccoli: è stata una magia! Ora sono più serena, ho usato le parole…

  11. simona ha detto:

    Sarà da adolescente quanto sto per scriverti… Quando ti leggo sento che mi fai del bene dentro.
    Le nonne, le conchiglie, lo Gnomo psicopatico e la farfalla…
    Io ti amo alla follia.

  12. Clara Schilirò ha detto:

    Alessandro , mi hai fatto piangere… di gioia … naturalmente! E’ bellissimo il libro “non letto” che ti ha cambiato la vita!! La vita “vera e vissuta”, come dici tu, è il miglior libro che si possa ascoltare e narrare… la storia dei tempi passati ascoltata come una fiaba… la fiaba, come metafora della vita!Si legge per non sentirsi soli!!Bellissimo sentire parlare quel bimbo che eri e che sei: quel bimbo non ha tempo né luogo … come nelle fiabe; quel bimbo sono io e può essere ognuno di noi…può avere mille volti. Lavoro, da trent’anni nella scuola dell’Infanzia, il miglior laboratorio per giocare ed imparare i “codici del vivere” e dello stare con gli altri”, il luogo migliore per conoscere se stessi e per cercare risposte ai tanti perché che fioriscono nella mente assetata di ogni bimbo. Non c’è giudizio o voto,solo gioco ed esperienza.Quando narro storie personali e verisimili, dove la protagonista sono io da bambina,in classe mi ascoltano incantati, forse ancor di più di quando interpreto o narro le fiabe tradizionali! La scuola dell’Infanzia è ideale per cercare risposte originali e creative anche ai perché di quelle “cose che nessuno sa”, risposte spesso offerte generosamente dai bimbi con la loro semplicità e profondità. Penso che la scuola tutta, anche al liceo, può essere il posto per “creare” con i numeri e con la magia delle parole; non esiste un limite di tempo al cambiamento, l’importante è incontrare sul proprio cammino, anche al di fuori della scuola, adulti “Vivi”, positivi e virtuosi che desiderano non solo educare ma anche imparare dai loro allievi. Persone ricche di sogni in cui “credere” e che cercano di realizzare, persone che ti fanno sentire importante ed unico per quello che sei e che ti danno fiducia, persone che amano la bellezza della vita e che non hanno dimenticato quel “bambino” interiore nascosto nel fondo profondo della loro anima! E se queste persone non le hai conosciute puoi sempre cercarle nei libri…Fortunatamente queste persone esistono e io le ho incontrate…e di questo sono felice!! Grazie Alessandro Clara Schilirò

  13. Silvia ha detto:

    Un libro non ti cambia la vita, così come una persona non può farlo… soltanto tu puoi cambiare la tua vita, ma grazie ai libri e alle persone puoi imparare a vedere la vita in modo diverso e poi decidere se cambiare.
    Perciò neanche io ho un libro che mi ha cambiato la vita, ma uno di quelli che sono riusciti ad aprirmi gli occhi è certamente “Bianca come il latte, rossa come il sangue”… lo so, gioco scorretto a dirlo proprio qui, ma ho un’attenuante: è anche grazie alla persona che per prima me lo ha prestato e fatto conoscere se mi ha colpita così tanto:) perciò un grazie a lui, e anche a lei, professore.

    PS per i libri bisogna sempre dire grazie:)

  14. Maria Rita Tarantino ha detto:

    Mi hai fatto morire dal ridere: tu, lo gnomo, la farfalla… e un coltello: pura creatività!!! Ma è di una delicatezza infinita. Si dovrebbero tenere a mente questi momenti quando si è alle prese con l’insofferenza dei bambini i primi anni di scuola.
    Pensando ai libri non saprei dirne uno nemmeno io però, anche se ce ne sono in me di indelebili. Ma sembrerebbe quasi riduttivo, visto che anche un rigo a volte può essere prezioso… pure del libro che meno mi è piaciuto. Ho avuto però la stessa esperienza con i nonni. Nonne che raccontavano, nonni che cantavano vecchie storie, e quelle del Sud non sai mai dove finisce la realtà e comincia la fantasia. So però, come te, che i racconti nel giardino al tramonto, nei lunghi pomeriggi estivi, senza incombenze scolastiche o altro, mi rapivano mente e cuore. Fino a che, prima che la mia ultima nonna mancasse, io già grande, non me li sono fatti rinarrare uno a uno, conservandoli in un quaderno come il lascito più prezioso.
    Grazie per avermelo fatto ricordare.
    … e grazie a quello gnomo, quella farfalla, quel racconto mentale… che probabilmente ti hanno fatto essere ora qui ciò che sei… un abbraccio.

  15. SILVANO ha detto:

    Vedi com’è strano il mondo? Io credo di aver letto I ragazzi della via Pal almeno cinque volte. Boka era il mio eroe, mentre il cattivo Franco Ats il nemico pubblico numero uno.La morte di Nemeccsek un’ineluttabile parte della vita, la Società dei raccoglitori di stucco una cosa che non ho mai capito bene bene..
    Forse era un libro “cattivo”, con la rappresentazione spietata, della parte “cattiva” dei bambini, senza troppa spiritualità. Un po’ grezzo insomma. L’ho passato ai miei figli, che non l’hanno letto mai.Io comunque l’ho amato molto. Soltanto anni dopo ho riamato altri due libri così: Madame Bovary e Per chi suona la campana. Ognuno ha i suoi,ogni libro ha il suo momento, ogni storia si intreccia con il nostro vivere: per fortuna, troveremo sempre quella giusta per amarne la bellezza..perchè non sei andato a “Quello che (non) ho con la parola”bellezza”? ciao Ale!

    • Prof 2.0 ha detto:

      Un libro che ha segnato molti, non lo nego. Ma a me non piaceva: avevo solo 7 anni. Era troppo presto, forse. Perché non sono andato? Non ho ricevuto la telefonata.

  16. alberto ha detto:

    Ho 72 anni (quasi 73). Ho rifiutato anch’io, quand’ero piccolo, I ragazzi della via Pàl. Era veramente lontano anni luce da me quello che vi si raccontava. Anche se, a quel tempo, anche noi eravamo divisi in bande di quartiere e arrivavamo perfino a fare la sassaiola. Quattro anni fa (ne avevo 68, quindi, mi è ricapitato in mano. Ho provato a leggere le prime pagine e non ho più smesso. E ho pianto… I libri bisognerebbe rileggerli a età diverse e scoprirli ogni volta diversi. Ti auguro di arrivare ad una lunga vecchiaia e di fare la mia stessa esperienza.

  17. Elisabeth ha detto:

    Io sono contenta che non sia stato un libro, ma le lettere a cambiarti la vita; stai applicando la tua personale legge del contrappasso: nessun libro ti ha cambiato la vita, ma tu scrivi libri, non so se cambieranno la vita di qualche ragazzo (lo spero)ma hanno stimolato tanti ragazzi che ho conosciuto a farsi delle domande su cosa vale la pena di vivere e rischiare. Penso che a te avrebbero dovuto chiedere di quale libro ti sei innamorato la prima volta. Posso fartela io questa domanda? Se ti va di rispondere… quando hai letto la prima volta il Piccolo Principe e quando sei arrivato all’ultima pagina cosa hai provato?

  18. Teresa ha detto:

    so che quello che sto per chiedere non é inerente all’articolo…la settimana scorsa la prof d’italiano ci ha fatto vedere il film “cento passi” che racconta di Peppino Impastato e della sua lotta contro la mafia..nella mia scuola ora si parla spesso di mafia, io non conoscevo molto così ho cercato di saperne di più e ho guardato il film “alla luce del sole” che racconta di don Puglisi.Tu lo hai conosciuto? se si posso chiederti come era? e come hai vissuto la presenza della mafia?

  19. Leggendoti mi è venuto in mente un libro: “Tutto quello che mi serve sapere l’ho imparato all’asilo” di Robert Fulghum e poi un altro “Se una mattina d’estate un bambino(lettera a mio figlio sull’amore per i libri)” di Roberto Cotroneo. Il tuo narrare, affascina…

  20. Beatrice ha detto:

    Io non mi ricordo quale fosse il libro che mi ha cambiato la vita ma mi ricordo chi era la persona che me lo ha letto: mio nonno materno. E’ stato lui a iniziarmi all’amore per la lettura. Io ero troppo piccola per ricordarmelo, ma mia madre mi ha detto che passavo un tempo infinito seduta sulle sue gambe, con gli occhi spalancati, in un silenzio religioso, intenta ad ascoltare avidamente ogni singola parola che usciva dalla sua bocca. E’ stato lui a condurmi per la prima volta nel meraviglioso mondo dei libri. Poi però sfortunatamente è venuto a mancare molto presto, quando avevo appena due anni, e purtroppo non c’era più nessuno disposto a prendere il suo ruolo di cantastorie, perché mia mamma non amava leggere proprio per niente, neanche quelle brevi fiabe per bambini e mio papà leggeva sempre e solo per conto suo quei libri lunghi e noiosi che non potevano interessare ad una bambina della mia età. Ma ormai il germe dell’amore per i racconti si era insinuato in me e così incominciai a prendere i miei libri e a leggermeli da sola, anche se all’inizio naturalmente guardavo solo le illustrazioni cercando di intuire la storia attraverso le immagini. Quando finalmente imparai a leggere, potei assaporare appieno la magia delle fiabe, che popolarono la mia infanzia di creature immaginarie, luoghi incantati e avventure fantastiche, alimentando ulteriormente la mia già fervida immaginazione e fornendomi una continua ispirazione per i miei giochi. Ogni volta che mia mamma mi perdeva di vista al supermercato, andava diretta nel settore dei libri perché sapeva che mi avrebbe trovata lì. Se devo essere sincera, non saprei dire di preciso quali e quanti libri mi hanno cambiato la vita, ma di certo molti di essi l’hanno resa più bella.

  21. dj Sisca ha detto:

    Da quando un prof d’italiano, in terza superiore, uno di quelli fichissimi che entrano nella tua vita per svegliarti da un torpore che sembrava non avere soluzione… uno di quei prof che te lo ricordi ancora, pure mo’ che c’hai 35 anni… uno di quei prof che arrivano – chissà per quale mistero – nella scuola più anarchica e scapestrata di Cantù, la scuola d’arte… uno di quelli che resta lì per un anno, uno soltanto, e poi sparisce dalla circolazione…

    Ecco, da quando quel prof è entrato nella nostra vita leggendoci ad alta voce Pennac, con le sue regole, con quel “diritto di NON leggere”, io mi sono data tanta pace.

    Il diritto di lasciare un libro a metà, se non è quello giusto, o se non è il momento giusto. L’ho scoperto tardi: a 17 anni, mentre la mia indole diligente e secchiona mi faceva ingurgitare tutto ciò che cominciavo, e accettare così la nausea di un compito portato a termine solo perchè “si deve”.

    Di libri che mi hanno cambiato la vita non ne ricordo, ma ne ho in mente tanti che ormai fanno parte di me: da Simone de Beauvoir a Baricco, dalla Allende alla Mazzantini, da Garcìa Marquez a – per l’appunto – Pennac.

    Cambiato la vita, no, forse no, o non più delle altre “storie di vita” che hanno abitato la mia esistenza.

    Ma un GRAZIE, commosso, intenso, pure un po’ impacciato, a questi libri che abitano, anche loro, la mia storia, mi sembra doveroso.

    Grazie anche a te, lo “scrivere bello” è un dono.

    Francesca

  22. raffaella ha detto:

    quando mio figlio sedicenne qualche tempo fa mi chiese qual era il libro che mi era piaciuto di più risposi “Il deserto dei Tartari” ripensandoci ora forse non è vero , ma quel libro a distanza di 26 anni, tanti ne sono passati da quando lo lessi la prima volta, è legato ad uno dei momenti più difficili della mia vita; ricordo che lo leggevo in ospedale quando assistevo mio nonno morente, quello stesso nonno che nelle sere d’estate mi teneva sulle sue gambe e mi raccontava di quando lui era in guerra, delle bombe che cadevano a pochi metri da lui, quello stesso nonno che a volte, invece, si inventava storie diverse e che me le raccontava la sera prima di dormire….ciao e grazie raffaella

  23. jessica ha detto:

    E’ incredibile come lei abbia descritto ciò che per tutta la mia carriera scolastica è avvenuto nella mia testa. Lei lo faceva con le lettere, io con i numeri invece! In particolare con l’algebra o la geometria analitica… vedevo concretamente davanti agli occhi le x e le y… oppure le rette, le iperboli, le ellissi e come una “pazza visionaria” prendevo questi elementi e li spostavo a mio piacimento, li rimescolavo per poi subito riordinarli. Risolvevo problemi complicatissimi in un batter d’occhio e la mia spiegazione era sempre la stessa: “ma è ovvio! Si vede… lo vedo solo io che è così?”
    grazie per aver messo in parole i miei incasinatissimi pensieri… ma del resto è lei quello bravo con le lettere. A me riescono meglio le equazioni ^^

    • Prof 2.0 ha detto:

      Che meraviglia scoprire come ognuno di noi abbia talenti diversi e possa metterli in gioco per gli altri. Tu i numeri, io le lettere. Grazie!

  24. BiRo ha detto:

    Meraviglioso il mondo, e le esperienze di tutti noi che si intrecciano e si scambiano sensazioni diverse ma eguali! Caro prof. come lei, sono stata spinta al mondo dei racconti dalle storie di vita raccontate dal mio carissimo nonno prima di andare a dormire, che terminavano con un tenero “Padre nostro” recitato insieme tenendoci la mano. Poi come Jessica, scoprire che quei segni numerici non avevano segreti per me, ma mi raccontavano nuove storie da scoprire, sempre, come un gioco. E poi scoprire, durante le vacanze della seconda media, che quel libro odioso di Alessandro Manzoni “I Promessi Sposi”, non era così noioso come mi era sembrato durante le letture in classe, tanto che me lo sono divorato in due sere … con la voglia di sapere come andava a finire. E poi essere sicura che ogni libro letto, ogni libro non letto, ogni parola, ma anche ogni lettera ed ogni numero sanno darti al cuore la forza di vivere … sempre se tu sei disposto ad aprire le tue orecchie, il tuo cuore e la tua testa !
    Come sempre grazie prof. !!
    Roberta

  25. Donatella ha detto:

    il gusto del “proibito”…è la secchiata d’acqua spesso necessaria quando i pacifici strattoni non riescono a svegliare una mente intorpidita…quest’anno ho appreso anke questo a scuola, a trasgredire per obbedire a se stessi…scrivere…è quello k nessuno mi ha mai toccato…era quello k andava bene a tutti…quest’anno per un professore non è stato così, il mio scrivere non andava bene così cm’era e non perchè fosse grammaticalmente o sintatticamente scorretto, ma xk non era confacente al suo gusto…ovviamente questo l’ho dedotto dai commenti…e allora le chance erano queste: abbozzare x prendere il solito bel voto oppure fregarsene e rischiare posti in meno nella scala graduata delle votazioni…è stato quest’anno k ho capito qnt sia importante e meraviglioso “trasgredire” a cinike direttive per soddisfare se stessi…quel 6 e mezzo derivato dalla “trasgressione” mi ha fatto stare male certo, ma nel mio male mi sono sentita fiera…fiera di non aver rinunciato al mio stile, ai tanti consigli di quella che è stata la professoressa ke me l’ha fatto amare ancora di più, lo scrivere, al mio scrivere per il gusto di qualcuno ke cerca di imporre la sua visione sfruttando la carica…Dante, Boccaccio e tutti i prosecutori “dello bello scrivere” sono diventati “vicini di casa” perchè sono vissuti in alcune delle righe del mio scrivere…

  26. Sugel ha detto:

    Io volevo le avventure dei miei nonni, delle mie nonne, la Guerra, i Tedeschi e gli Americani, la Sicilia e il Mare, i proverbi in dialetto e la continua minaccia del destino sulla mia vita che era legata a quelle storie. […] Da quel fallimento, dalla mia impermeabilità a quelle pagine è nata la spinta a cercare storie diverse, storie che non mi annoiassero, storie che mi raccontassero il mondo in cui io vivevo dandogli un senso. Storie simili a quelle delle mie nonne, storie di cui ero il diretto o indiretto compimento. (Inoltre capii di essere diverso dai miei fratelli, e non è poco per uno che li considerava supereroi).

  27. Gloria ha detto:

    ” La storia infinita” di Michael Ende, libro bellissimo ma che dopo tre anni non sono ancora riuscita a finire di leggere perché ogni pagina me la volevo leggere due o tre volte per capirlo fino in fondo….. E forse quelle pagine che ho letto e ri-letto mi hanno un pò “cambiato la vita” partendo dalla dedica di mio fratello: l’augurio di non smettere mai di sognare e credere nei sogni.

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