23 maggio 2015

Lettere sulla scuola: n.4 – Oltre la dislessia & i maestri secondo Dante

Il giornale La Stampa mi ha affidato la rubrica delle lettere per questa settimana, il tema è la scuola. Ecco la quarta. Le trovate sul sito del giornale nella colonna di destra nella rubrica “Secondo me”. La rubrica riprende martedì prossimo.

CFmtGqMWgAAU-WD

Caro prof, sono una sedicenne romana, studentessa di un liceo delle Scienze umane, e vorrei raccontarle la mia esperienza. La scuola e lo studio sono stati per me una frustrazione fino al termine della seconda media, quando solo grazie alla preside, intervenuta per fare una supplenza, quello che per le altre insegnanti era «distrazione o svogliatezza» ha avuto un nome diverso: «dislessia». Dopo aver accettato (c’è voluto un po’ di tempo, tante sedute psico-pedagogiche e parecchi soldi) che non ero poi così diversa dai miei compagni, ho affrontato le superiori in maniera diversa. Ho scoperto che anch’io avevo la possibilità d’imparare.

Oggi che frequento il terzo anno posso ritenermi estremamente fortunata, perché qualcuno ha stuzzicato in me la voglia di imparare. Sono inserita in una classe digitale, un’aula che, nonostante si trovi nel seminterrato, con tutto ciò che comporta (l’inverno si gela, l’umidità è onnipresente, la luce artificiale), è dotata di lavagna interattiva e collegamento in rete. Le lezioni sono vivaci. Grazie alle ricerche personali e guidate andiamo oltre le informazioni dei libri di testo. Condividiamo, sopperendo alle fotocopie (nella mia scuola chiederle è come chiedere la luna) sul «gruppo di classe» creato su Facebook (lo so sembra un’eresia!!!) mappe e appunti. E siamo in contatto con i nostri prof (anche se inizialmente noi studenti eravamo preoccupati che controllassero i nostri profili Fb).

Sono fortunata perché ho incontrato proprio questo tipo di professori, per i quali non sei solo un nome, spesso storpiato, su un registro. Per carità, di questi ne ho incontrati anch’io, ma al momento, essendo la minoranza, vado a scuola con lo stesso entusiasmo di sempre. I prof di cui parlo sono «maestri di vita», quel tipo di persone che ti riconoscono – cosa che invece spesso gli adulti non fanno – di avere una testa, personalità, sensibilità e spirito critico. Sono quelli che al termine di una lezione, se vai a vedere bene, al di là della materia ti hanno insegnato un «metodo».

Sono gli insegnanti di filosofia, che ti sfidano ad andare come un moderno Seneca. Sono quelli di lettere, che disquisiscono con te, oltre l’orario scolastico, sull’ultimo libro di De Luca o sulla versione del Decamerone di Busi. Quelli a cui le ex studentesse portano torte alla ricotta per ricambiare un approfondimento avuto in vista di un esame universitario. Quelli che ti dimostrano come le leggi della fisica, che tanto odi, le applichi tutti i giorni e non lo sapevi o quelli che, spiegando l’arte paleocristiana, chiudono il libro, ti guardano in faccia e ti ricordano che, vivendo a Roma, la chiesa di Santa Sabina all’Aventino puoi vederla dal vivo e ti mettono un voto quando gliela spieghi e gli mostri il selfie a dimostrazione dello studio fatto sul campo.

Ovvio che vorrei anch’io una scuola come quelle dei telefilm americani; super moderna, palestre attrezzatissime e, perché no, se devo sognare, anche i famosi armadietti. In realtà forse m’accontenterei di avere la carta igienica nei bagni ma, pensandoci bene, mi basterebbe che fossero funzionanti. Mai come alla mia età le certezze scarseggiano, ma, pensando alla scuola, di due cose oggi sono sicura: la prima è che non potrei più rinunciare all’amore per lo studio. E la seconda è che, quando lascerò questa scuola, anch’io farò delle buonissime torte alla ricotta.

Lucrezia

Gentile Lucrezia, la tua lettera è il frutto dello sguardo che una supplente ha posato su di te in un’ora in seconda media. Ha scorto in una sola ora quello che un intero consiglio di classe non aveva notato in due anni (la dislessia), perché vedeva te oltre te: una ragazza curiosa, ostacolata da un disturbo di apprendimento. Questi sono i maestri, coloro che ci guardano e ci restituiscono la nostra altezza, senza nasconderci il nostro limite. Ci danno alla luce, strappandoci dalla placenta delle nostre paure, ci costringono a guardare il mondo e contemporaneamente ci prestano il coraggio di «andare» per le sue vie tortuose.

Nell’anno in cui festeggiamo i 750 anni di Dante, mi servo di lui per dirla in breve e meglio. La tua supplente ricorda quello che egli dice di Brunetto Latini, il suo maestro di studi, al quale il poeta riconosce di avergli insegnato «ad ora ad ora come l’uomo s’etterna», cioè ad abitare la propria condizione umana, limitata e finita, volgendosi verso ciò che trascende l’uomo e lo porta a sollevare lo sguardo, narcisisticamente ripiegato su di sé, verso la realtà intera. E Brunetto si cruccia di esser morto troppo presto per affiancare il suo allievo e dare conforto alla sua già promettente navigazione.

Poi ci sono i professori che hai adesso, che mi ricordano Virgilio nel loro «sapersi muovere e saper smuovere». Nella Commedia il «movimento» di Virgilio apre strada e Dante, sin dal primo canto, lo descrive così: «allor si mosse, e io li tenni dietro». Il maestro fa la strada con noi, ma un passo avanti, la apre, perché ne conosce i segni. Tu hai trovato maestri così, uomini e donne capaci di dirti, tra mura scalcinate, come si fa a non lasciarsi limitare lo sguardo da quelle mura e dalla tua dislessia, per abbracciare mondo e futuro, così come sei; donne e uomini capaci di aprire strada, per svanire ad un certo punto, come Virgilio, e lasciare che sia tu – forte di ciò che hai scoperto, della presa maturata su te stessa e sul mondo – a continuare il cammino per aprire la tua strada.

Questi maestri sono la buona scuola italiana. Gli studenti, le famiglie, i colleghi, li (ri-)conoscono bene e li sceglierebbero mille volte. Proprio per difendere loro è necessario trovare un adeguato metro di valutazione (non monocratico e al riparo da raccomandazioni), per dare quanto spetta loro per evitare lezioni private e secondi lavori. I maestri, loro sono indispensabili a scuola, il resto, Lucrezia, come dici tu, lasciamolo ai telefilm.

La Stampa, 22 maggio 2015 – link all’articolo

4 risposte a “Lettere sulla scuola: n.4 – Oltre la dislessia & i maestri secondo Dante”

  1. Clara ha detto:

    Caro Alessandro, vorrei condividere con te e con i tuoi lettori una frase di Harry Chasty, che probabilmente conosci già, ma che mi sembra molto adatta al tema trattato: “Se non riesco ad imparare nel modo in cui insegni, potresti insegnare nel modo in cui imparo?”. La leggevo proprio ieri mattina sulla copertina del registro personale di una mia collega. Mi ha colpito perché è quello che anch’io cerco di fare ogni giorno con i miei ragazzi (insegno elettronica e fisica in un Istituto Professionale della provincia di Reggio Emilia). Tutti, proprio tutti, hanno un modo di imparare: sta a noi “maestri” scoprire qual è!

    • Prof 2.0 ha detto:

      Ne farò tesoro, Clara. Grazie mille!

      • clara ha detto:

        Grazie a te! Tutto quello che scrivi e dici è per me motivo di riflessione e stimolo per cercare di fare sempre meglio. E grazie ancora per l’incontro di Piacenza, “collega di sogni”! Non so se ti ricordi, ma ero la prof. venuta apposta per te proprio da Reggio Emilia! 🙂

  2. michele ha detto:

    viva Lucrezia!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.