13 ottobre 2015

La paura di dire “no”

431828_10152888233335545_217647993_nLa colpa non è dei maestri, che coi pazzi devono fare i pazzi. Infatti se non dicessero ciò che piace ai ragazzi, resterebbero soli nelle scuole… E allora? Degni di rimprovero sono i genitori che non esigono per i loro figli una severa disciplina dalla quale possano trarre giovamento… essi devono abituare gradualmente i giovani alle fatiche, lasciare che si imbevano di letture serie e che conformino gli animi ai precetti della sapienza… Invece i fanciulli nelle scuole giocano.”

Questa geremiade appartiene ad Agamennone, maestro sbeffeggiato da Encolpio e Ascilto, giovani protagonisti del Satyricon di Petronio, che rispondono all’ennesima ramanzina del fallito, scappando da scuola e avventurandosi per le vie della città, irte di peripezie che mostrano loro che avrebbero fatto meglio a studiare un po’ di più prima di affrontare il mondo, improvvisando. È il racconto comico di una società decadente, quella neroniana, con una scuola al passo con la decadenza.

I tempi non cambiano, soprattutto quelli di crisi si somigliano. Così qualche giorno fa, in una scuola italiana, una bambina di prima elementare, annoiata dalla lezione, ha chiesto di andare al bagno ma, passata sotto le sbarre del cancello di ingresso, ha preso la via di casa e in pochi minuti è tornata dalla mamma, sgomenta tanto quanto l’insegnante.

Di chi sarà la colpa? Dei genitori, degli insegnanti, della scuola, dei ragazzi? Con il senso di colpa non si va lontano, serve invece un po’ di buon senso.

Noi insegnanti siamo a volte bersagliati da genitori, che non riescono a sopportare che, nella cultura del successo e della prestazione, il figlio possa fallire: fallito piuttosto sarà l’insegnante che non riesce a fare amare libri e teoremi, e a tenere la disciplina. Ma d’altro canto anche noi abbiamo le nostre responsabilità. Qualche decennio fa la nostra cultura ha eroso lentamente l’autorità, identificandola con l’autoritarismo. Ma con l’acqua sporca dell’autoritarismo avevamo buttato via il bambino dell’autorevolezza. Oggi, forti di un po’ di senso storico e di risultati, siamo chiamati a rifondare l’autorità su altre basi, più stabili. I ragazzi cercano genitori e maestri capaci di porre loro mete e limiti, confrontandosi con i quali, possono provare la consistenza di principi su cui fondare le proprie esistenze ancora informi. Ma se ad essere informe è colui al quale chiedono una forma?

Abbiamo troppa paura di dire dei no, di porre regole, di proporre mete alte e impegnative, perché i nostri ragazzi potrebbero fallire o perché a quelle mete e quei sentieri non crediamo più. Eppure così cresce una generazione incapace di riconoscere il principio di realtà, affondando nelle sabbie mobili di quello di piacere, che rende tutto un gioco da bambini tiranni, come nel racconto di Buzzati. Ma il gioco è divertente proprio perché ha delle regole, e non perché un tiranno possa rinegoziarle quando perde, altrimenti il gioco si trasforma in farsa. E noi non vogliamo personaggi da farsa come quelli di Petronio, che si perdono sollecitati e manipolati da tutti i piaceri che li allettano, resi letteralmente impotenti dal loro stesso desiderio sempre soddisfatto, incapaci di prendere posizione sulla realtà, in una società divisa – a detta dell’autore antico – in due gruppi “quelli che derubano e quelli che si lasciano derubare”… del futuro, prima di tutto. A genitori e insegnanti, nuovamente alleati, il compito di strappare i ragazzi dalla tirannia del non senso.

La Stampa, martedì 13 ottobre 2015 – link all’articolo

5 risposte a “La paura di dire “no””

  1. Monica ha detto:

    Finalmente, “pane al pane, e vino al…”
    Vuol proprio dire che dovrò leggere per intero e rivalutare l’elegante Petronio 😉
    D’altra parte, oltre le tue sacrosante parole, è vero che l’autorevolezza si può perdere per disamore al proprio lavoro, o per la fuga e l’assenza (spesso letterale) di noi prof a scuola.
    E la solidarietà (latitante) tra colleghi è tentazione di lamento e scoramento, anziché occasione di “tosto volere” (insomma, da costruire e alimentare sempre…)

  2. Giovanni ha detto:

    Perfettamente d’accordo!
    Quando i genitori dicono al figlio: – Asino non dovevi farti beccare!… Invece di dirgli che c’è una regola da rispettare e va rispettata perchè…
    C’è bisogno veramente di qualche “no”!
    Coraggio Alessandro 🙂

  3. Silvia ha detto:

    Caro Prof 2.0, mi colpisce il suo riferimento ad una “generazione incapace di riconoscere il principio di realtà”, analisi acuta e condivisibile. Alle domande che questa consapevolezza genera negli insegnanti e al problema del rapporto con le regole ha tentativamente risposto in questi giorni (11 ottobre) don Julian Carron, in un incontro con circa 1000 insegnanti a Bologna. Il video dell’intervento che si confronta proprio sui temi da lei individuati si può già trovare nel sito http://www.insegnareoggi.org

  4. Manuela ha detto:

    Come capisco quella bambina! Era il lontano 1965 e io, bimba di prima elementare, sono andata dalla maestra, con le mie treccine tirate, il mio grembiulino bianco e la cartella in ordine per dirle che io a scuola c’ero già stata abbastanza e che, se non le dispiaceva, me ne sarei andata a casa dove avevo ben di meglio da fare. Fu uno scandalo allora, la maestra mi additò alla prima riunione con i genitori – con buona pace della privacy – al pubblico ludibrio delle mamme e dei loro bambini lì raccolti. Unica mosca bianca nel consesso femminile era il mio Babbo, un omone altissimo, imponente, che davanti alle facce sbigottite di tutti aprì le sue braccia che mi accolsero e mi avvolsero sicure, mi sollevò e rivolgendosi alla maestra disse: “Signorina, la mia bambina è ancora piccola, vedrà che anche lei imparerà, come tutti gli altri”. E senza altro aggiungere, se ne partì, con me in braccio. Per amor di verità devo dire che quella fu la prima e l’unica volta che mio Babbo partecipò ad una riunione scolastica, mia Mamma si premurò di impedire ulteriori danni da parte sua alla mia educazione scolastica. Ci dovrebbe essere una giusta misura fra la scuola autoritaria, ingessata dei miei tempi e la scuola di oggi, dove la parola d’ordine non è “imparare” ma “divertirsi”. Genitori che sappiano imporre delle regole senza poi trasgredirle loro stessi, che sappiano dare un significato profondo alla vita di questi figli, soli e smarriti che non sanno affrontare il mondo che si trova fuori dai loro telefonini, dai loro computer, dai loro videogiochi. Leggo sempre i suoi articoli, li trovo a volte illuminanti; ed amo la sua passione.

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