27 novembre 2018

Letti da rifare 36. Apollo 11

«Quindi potresti non tornare?». Il figlio di Neil Armstrong fissa il padre, facendogli proprio la domanda che rimbalza da mesi nella testa dell’astronauta. «Esatto», risponde serio e distaccato, senza edulcorare la verità, da uomo a uomo, più che da padre a figlio, alla vigilia del viaggio che lo porterà a posare, primo nella storia, un’orma umana sulla Luna, con l’undicesima missione del programma Apollo. Il piccolo, orgoglioso, gli stringe la mano, come aveva visto fare nelle occasioni ufficiali. C’è qualcosa di asciuttamente epico in questa scena di First Man, il film che racconta il lungo viaggio di Armstrong verso il fatidico 20 luglio 1969. La posta in gioco non è solo la lotta per la supremazia, in piena guerra fredda, tra Russi e Americani, e neanche il superamento della frontiera delle scoperte scientifiche. C’è il dramma di un padre che, persa la figlia di due anni per un tumore, intraprende un viaggio decisivo verso l’ignoto: per lui la Luna è una porta chiusa come il dolore. Il nostro fedele satellite è sempre stato l’interlocutore di domande su cui continuiamo a interrogarci: «Dimmi, o luna: a che vale/al pastor la sua vita,/dimmi: ove tende/questo vagar mio breve, il tuo corso immortale?», si chiede infatti il pastore errante di Leopardi. Domande che tornano nel film di Chazelle, capace di intrecciare con maestria lo slancio folle dell’esploratore con la coraggiosa curiosità scientifica di quegli anni, entrambi però sotto lo scacco della fragilità dell’uomo, che anche sulla Luna porta con sé il pesante fardello dell’esistenza. I crateri lunari assomigliano alle cicatrici dell’uomo, i suoi rilievi ai «cumuli di cose» che gli uomini smarriscono sulla Terra, come Ariosto aveva immaginato. La Luna, torcia discreta nella notte oscura dei terrestri, ci ricorda che siamo esseri «mancanti»: una perenne tensione verso l’infinito incastrata in una vita e in un mondo finiti. Per cercare risposta a una delle domande più frequenti che ricevo dai ragazzi: «che senso ha la vita?», è proprio sulla Luna che sono dovuto sbarcare anche io.

La prima lezione che la Luna mi ha dato è che la vita è un compimento mai del tutto acquisito. Nella sua fase crescente la Luna ci ricorda che la fragilità è vitale: niente nasce già fatto, ma la nascita inaugura un paziente viaggio verso la pienezza. La perfezione (parola che significa compiutezza e non assenza di difetti) non è pero terrena, perché il desiderio umano è infinito mentre la vita è finita. Oggi l’essere «mancanti» spesso viene preso per essere «mancati», falliti: la nostra costitutiva fragilità, invece di essere accettata come inizio di quella ricerca e di quell’impegno che riempiono di senso la vita, viene vissuta come colpa da rimuovere. L’io insoddisfatto cerca di eliminare la sua incompletezza con le prestazioni: deve dimostrare che il suo esser nato ha un senso, quando è proprio il suo esser nato che gli conferisce un senso, cioè una direzione verso il compimento di un io che non c’è mai stato prima. La vita è tendere non pretendere: è proprio la mancanza che porta a evolversi, creare, amare di più. Che cosa ti manca?

La seconda lezione che la Luna mi ha regalato è che anche nella mutevolezza c’è stabilità. Un tempo il calendario era dettato dai mesi lunari: in 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 3 secondi la Luna, con incantevole regolarità, compie due noviluni. La realtà, nella sua molteplicità e mutevolezza, si regge su una stabilità che ci protegge, e che infatti definiamo in «leggi». Anche a noi a volte capita di perdere il filo della trama della vita: ci sfugge o si aggroviglia. Ma quale «legge» ci dà senso e ci permette di dire «questo sono io», sempre e comunque, anche quando ci perdiamo? La memoria. Le cose che sono lì conservate regolano la vita: la memoria ci garantisce continuità e novità, perché solo la consistenza del passato consente di agire per il futuro nel presente. Solo l’accettazione degli eventi negativi e la gratitudine per le cose belle può trasformare il destino in una destinazione. Spesso ci illudiamo di aver bisogno di una rivoluzione per ricominciare, ma il futuro sta dietro e dentro di noi: le piante crescono potando i rami non tagliando le radici, anzi nutrendole. I ragazzi smarriti sono quelli senza radici, senza maestri che li radicano alla vita. Chiedete loro: chi sono i tuoi maestri? E saprete il loro futuro.

La Luna poi ci racconta anche che la bellezza è inscindibile dalle ombre: l’ombra terrestre può persino eclissarla, ma in realtà è sempre lì, intera. Ci sono giorni in cui l’ombra offusca i volti delle persone a cui vogliamo bene e non le riconosciamo più, e rende opache le nostre relazioni, stanche e ripetitive. È una costante delle relazioni significative: eppure l’altro è ancora intatto e da raggiungere con una nuova missione, rinnovando lo sguardo che l’abitudine ha accecato. Noi smettiamo di vedere quando ostacoliamo la luce che cose e persone meritano, siamo noi stessi a far loro ombra, come la Terra con la Luna. Ma proprio grazie alle ombre impariamo a rinnovare i gesti, a ri-conoscere e ri-trovare cose e persone. Quando una relazione — d’amore, d’amicizia, educativa — si adombra è per richiamarci a guardare l’altro con più attenzione, a chiederci di cosa abbia bisogno, a ostacolare meno la luce con le nostre ingombranti aspettative. L’ombra non è la morte della relazione ma la sfida lanciata dall’amore proprio perché si rinnovi.

La quarta lezione è che la Luna, per quanto appaia mutevole, in realtà ci rivolge sempre la stessa faccia, con gli stessi crateri e rilievi, perché il suo moto di rivoluzione e di rotazione sono sincroni: un giro su se stessa dura lo stesso tempo di un giro completo intorno alla Terra. Della sua bellezza noi conosciamo solo una faccia, e per questo poeti e registi le attribuiscono un volto. Ma una parte resta sempre inafferrabile. Quando ci assestiamo su pregiudizi e false convinzioni, la vita si incarica di porre domande a cui non avremmo mai pensato di dover rispondere. A furia di guardare sempre la stessa faccia della vita, ne dimentichiamo il lato fatto di tutto ciò che non abbiamo pre-visto, ricordandoci che la vita è sempre più grande dei nostri schemi, del nostro limitato punto di vista, legato all’adesso, al «tra cinque minuti». Allora dobbiamo affidarci allo sguardo di chi ha indagato la faccia invisibile, il mistero della vita, per lo più i poeti: quando li avete letti l’ultima volta?

Italo Calvino, uno degli autori più «lunari» della nostra letteratura, proprio a difesa delle prime spedizioni, scriveva sulle colonne di questo giornale nel 1967: «Chi ama la luna non si accontenta di contemplarla come un’immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più». La Luna con la sua bellezza discreta apre in noi lo spazio dell’interrogarsi su ciò che ci supera, su ciò che ci manca, sull’ordine e il caos delle cose, sull’incompletezza e sulle ombre della vita. Tutte quelle domande a cui a volte rinunciamo perché troppo impegnative. Eppure è proprio il non vivere le domande che rende impossibili le risposte. L’esplosione di informazioni da cui siamo bombardati spesso opprime la vita invece di renderla più vivibile, ostacola le domande sul senso della vita stessa. I bambini e i ragazzi di oggi hanno uno zaino talmente pieno di cose, che non riescono, non dico a muoversi, ma neanche più a domandare: che devo farci? Dove devo andare? Perché mi date l’ennesimo oggetto senza mostrarmi il progetto? Il progetto non è un accumulo di pezzi, così come un corpo non è la somma degli organi, ma un tutto reso vivo da un principio unificante: l’anima. Il principio unificante della vita è la verità. Nel mondo ebraico la si nominava usando la radice che indicava «l’appoggio che non viene meno». Quello di cui siamo mancanti è l’appoggio che non viene meno, grazie al quale possiamo affrontare qualsiasi «come» della vita, perché abbiamo il «perché». «Anima», «Dio», «Verità», non sono parole fuori moda: se non le sappiamo definire è perché sono parole «prime», sono loro che definiscono noi, come mostra l’addensarsi delle nostre domande su di esse.

Il letto da rifare oggi è «lunare»: procuratevi il vostro Apollo 11 e risalite la gravità della vostra esistenza, accettandone fallimenti, errori, difetti. Allunate anche voi nel celebre Mare della Tranquillità, come fecero Neil Armstrong e Buzz Aldrin. Affrontate il silenzio, per scoprire che cosa veramente guida le vostre azioni e insoddisfazioni. Da soli, tra crateri e oceani, passeggiate sulla Luna e lasciatele amplificare le vostre domande silenziose ma ineludibili. Che cosa sto facendo? Che senso ha la mia vita? Che cosa veramente mi manca? Qual è la mia destinazione? Perché sono nato? Poi tornate sulla Terra e avrete nei vostri passi la leggerezza, non superficialità, di chi conosce meglio la meta. Cominciate stasera, spegnete cellulare e tv per mezz’ora, alzate lo sguardo e interrogate la Luna con il pastore errante: «Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,/silenziosa luna?».

Corriere della Sera, 26 novembre 2018 – Link all’articolo e ai precedenti

12 risposte a “Letti da rifare 36. Apollo 11”

  1. Caro Alessandro,

    E’ così lunare, così bello questo tuo articolo. Mi innamora, rammenti tutte le cose che amo qui. La Luna è il mio satellite, sarà che ci credo un pò, mi ha sempre ispirato la poesia, oltre che la bellezza, quasi fulgida. La Luna insegna, è verissimo, pone interrogativi, quando la osservo provo mille cose che quasi non so spiegare, malinconia, un desiderio, un incanto, una distanza che fa male, una promessa che fa bene, le mie manchevolezze, ma anche una ricchezza viva: ringrazio di avere gli occhi, la vista per poterla interrogare in quei silenzi che molto spesso forse tutti abbiamo. I poeti li leggo sempre, e i più lontani da me sono i più lunari, i più unificanti. In questa ‘lunarità'(forse non si dice così :), io mi riconosco. Grazie per le tue parole ‘prime’, ogni Lunedì è un’attesa, sempre, nuovo. Sempre il primo.

    Con affetto,
    Adua B.

  2. Carmen ha detto:

    Trovo molto originale e singolare che la luna possa dare degli insegnamenti di vita, ma sono perfettamente d’accordo. A questo punto mi permetto di aggiungere una quinta lezione che ho imparato dal mito greco di Endimione e Selene, nella versione che più mi piace ricordare. L’arcaica divinità della Luna, Selene, si innamora perdutamente del giovane Endimione, bellissimo e mortale. Ogni notte discende dal cielo, si sdraia accanto a lui mentre dorme, gli bacia gli occhi dolcemente e non smette mai di guardarlo. Un giorno chiede e ottiene da Zeus l’immortalità per il suo amato, così potrà contemplare per sempre il suo amore.
    LA LUNA CI AMA, ci guarda dal cielo, muta compagna e conforto.
    Chissà quanti di noi, dopo aver letto questo articolo, in questi giorni hanno rialzato gli occhi al cielo e si sono sentiti un po’ come Ciàula, il personaggio pirandelliano terribilmente fragile e “diverso”, che, folgorato dalla bellezza della sua prima luna, scoppia in un pianto d’amore. Anche io stamattina alle 4,00, mentre preparavo come al solito le mie lezioni scolastiche, ho fissato lo sguardo assonnato verso il cielo e ho visto quel faro lontano, così placido nel fresco oceano di silenzio.
    Gli ho rivolto qualche domanda e non mi sono sentita più sola.
    A te, Alessandro, guida della nostra missione Apollo 11, grazie infinite!

  3. Pieralba ha detto:

    Questo è uno degli articoli più belli fra i “letti da rifare”.
    Mi piace tantissimo il paragone che si fa con la luna. Davvero profondo il pensiero e ammirevole colui che l’ha scritto.

  4. Felicetta ha detto:

    Bellissimo articolo, grazie Alessandro! Mi ha colpito molto il paragone della luna con la vita. E’ veramente geniale!
    Con queste tue riflessioni mi hai offerto uno spazio per addentrarmi un po’ di più nel cammino della mia umanità, cammino mai esaurito. Per me con l’avanzare degli anni non diminuiscono le domane, la ricerca dei “perché”, anzi….

    Grazie ancora anche per tutti gli altri articoli che sono sempre uno stimolo di riflessione, di ripensamento sulla mia vita personale e sulla realtà che mi circonda.

  5. Felicetta ha detto:

    Bellissimo articolo, grazie Alessandro! Veramente geniale l’accostamento della vita alla luna.
    Con queste tue riflessioni mi hai offerto un ulteriore spazio di riflessione sul cammino della mia umanità, cammino mai esaurito e dove non sono mai esaurite, con l’avanzare dell’età, domande, interrogativi, i “perché”….anzi…
    Grazie anche per tutti gli altri articoli che sono sempre uno stimolo per una riflessione seria sulla mia vita e sulla realtà che mi circonda.

  6. Jessica ha detto:

    Ritengo che la Luna utilizzata come metafora della vita sia una trovata geniale. A mio avviso è uno degli articoli più interessanti… Questi temi dovrebbero essere più discussi, soprattutto tra i giovani, con lo scopo di fornire loro maggiore consapevolezza sull’esistenza umana. Grazie Alessandro d’Avenia per donarci queste perle!

  7. Carmen ha detto:

    http://www.liceomeda.gov.it/cir69-1819/.
    Alessandro e Jessica, se vi può interessare, il Liceo “M. Curie” di Meda (MB) ha bandito un concorso nazionale di poesia riservato alle scuole secondarie di primo e di secondo grado, avente come titolo “Dillo alla luna”. Io ho intenzione di partecipare con i miei alunni, data anche la vicinanza territoriale del mio liceo con quello di Meda. Che
    sfida, però, ispirare questi ragazzi! È già da un po’ che ci sto provando. Hanno paura di esprimersi, li ho presi in quarta quest’anno e sono grandi ripetitori di letteratura italiana. Alessandro, a me il programma di Italiano di quarta liceo piace infinitamente, ma le 4 ore ministeriali sono una miseria. Io voglio creare e vivere la letteratura con questi ragazzi, invece devo sempre combattere contro il tempo, con l’assillo delle valutazioni, delle scadenze del titanico programma. Ammiro il tuo punto di vista coraggioso su questo argomento, avendolo letto in tanti tuoi articoli, ma lavoro al liceo da poco tempo e non ho ancora il coraggio di fare a modo mio. Sono pure in anno di prova per la seconda volta dopo 18 anni di onorata carriera, di cui 11 di ruolo, nella scuola media. (Ma forse quest’ultimo sfogo dovrei farlo nel commento dell’articolo dedicato ai supereroi). Hai mai pensato di scrivere una letteratura italiana tutta tua per le scuole superiori?So che un altro importante scrittore lo ha giã fatto per il biennio. Tu sei anche insegnante di scuola. Chi meglio di te?

  8. Isabella ha detto:

    Buonasera Ale D’avenia!
    A proposito di Luna, vorrei consigliare un libro intitolato ” In una notte di luna vuota. Educare pensieri metaforici, laterali, impertinenti” del pedagogista Marco Dallari.
    La copertina è ” lunare”, ma il libro è dedicato a tutti gli amanti della lettura, del pensiero “divergente”, della pedagogia e a chi si diverte e gioca ancora con le parole considerate come immagini.
    Perché ogni nostra parola, il nostro linguaggio rinvia ad ulteriori significati.
    Le parole sono immagini. Solo chi saprà giocare con esse avrà accesso al mistero della vita e alla vita del mistero.

  9. Isabella ha detto:

    Grazie a lei, Alessandro e alla sua Rubrica settimanale!
    Purtroppo la società, con le sue idiosincrasie e i suoi non-luoghi, non offre spazi e tempi per pensare, per sostare nel pensiero.
    Sembra proprio che essa rifugga il pensiero, il silenzio, la calma.
    Grazie perché ci dà la possibilità di crescere e maturare nel pensiero, di abitare il nostro pensiero!
    Grazie di cuore!

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