3 dicembre 2019

Ultimo banco 13. Una pallottola o Julien?

«Io sottoscritto lascio a mio cugino Romain Colomb tutto quello che mi appartiene nel mio alloggio. Desidero essere trasportato direttamente al cimitero e che le spese per il mio funerale non superino i trenta franchi. Prego Romain Colomb di non rattristarsi per questo inevitabile incidente». È una piovosa notte parigina del 1828, quando un uomo di 45 anni, con l’anima inzuppata di tristezza scrive le sue ultime parole, dopo una serata mondana in cui aveva cercato pace per la sua vorace sete di felicità, col risultato di rimanere ancora una volta deluso. L’ultimo libro che ha scritto ha venduto una manciata di copie. Dell’amore conosce il rifiuto e le fugaci esperienze del seduttore che era. I sogni falliti sono troppi, i soldi troppo pochi. Non c’è più ragione per andare avanti: il mondo gli sembra una fredda prigione che spegne ogni ardore e desiderio di felicità. E così dopo ore in cui buio, pioggia e tristezza si aizzano a vicenda, scrive il suo testamento e impugna la pistola. Ma all’ultimo istante butta l’arma e afferra di nuovo la penna: gira il foglio del testamento, scrive qualcosa e crolla esausto nel sonno repentino di chi ha usato le forze residue per salvarsi da un pericolo mortale. L’indomani uno dei suoi amici vede sulla scrivania il foglio sul quale c’è scritto con un tratto scavato e disperato: Julien, e gli chiede chi sia. Lui, smarrito e con un quasi suicidio alle spalle, risponde: «bah, volevo scrivere un romanzo…». L’amico, entusiasta, lo incoraggia a raccontare. E così Julien Sorel diviene uno dei personaggi immortali della letteratura, spregiudicato protagonista de Il rosso e il nero, il cui autore, forse proprio quella notte, smise di chiamarsi Marie-Henri Beyle, nato a Grenoble nel 1783, per ribattezzarsi come tutti lo conoscono: Stendhal.

Viviamo in un’epoca in cui ci si vergogna d’essere fragili. I sentimenti negativi sono banditi: debolezza, paura e lacrime sono vietati all’uomo-che-non-deve-chiedere-mai o alla donna-multitasking-supereroina, salvo poi trovarli prigionieri di una muta disperazione e di modelli che li stritolano, come vestiti tre taglie più stretti. I sentimenti dolorosi, che cancelliamo con distrazioni e auto-illusioni, sono soltanto messaggi dell’anima che sente l’incompiutezza e l’insufficienza della vita, sintomi onesti della nostra costitutiva fragilità. Il principale talento letterario di Stendhal, riconosciuto pienamente solo dopo la sua morte, fu dissezionare come uno scienziato i sentimenti umani, anche quelli oscuri, convinto com’era del fatto che contenessero verità, a volte scomode, da afferrare attraverso il pensiero e la parola. Il suo sterminato diario, il Journal che scrisse dal 1801 sino alla morte nel 1842, è un’anatomia del cuore umano basata sulla pretesa che il sentimento sia una realtà non da camuffare né da esagerare, ma da definire scientificamente, tanto che a chi gli chiedeva che lavoro facesse rispondeva: «Osservatore del cuore umano». La precisione con cui lo analizza ci deve far riflettere, abituati come siamo a ridurre i sentimenti a istinti o a mera reattività emotiva, atteggiamento che ci porta a premiare teste calde e cuori freddi, che poi vuol dire vuoti. L’alfabetizzazione sentimentale, se non viene trascurata a casa e a scuola, abitua invece a trovare parole e pensieri per ogni vissuto, perché possa essere veramente «vissuto» e non «subìto» o «rimosso». Le persone, che hanno teste fredde e cuori caldi (cioè pieni), sono meno appariscenti ma le vogliamo al nostro fianco e a loro chiediamo una spiegazione o un consiglio. Vedo tanti ragazzi incapaci di abitare naturali «regioni» dell’umano fatte di malinconia, paura, vergogna, tristezza… che un’adeguata intelligenza del cuore permetterebbe di attraversare senza scappare o morire.

Julien Sorel è la riscrittura di un destino: il tesoro che Stendhal trovò nella miniera dell’insoddisfazione e della delusione, dovute alla vita che conduceva. Fu proprio la tristezza suicida, il sentimento più oscuro del cuore umano, a fargli trovare nuova vita proprio dove sembrava essersi esaurita. I sentimenti, anche quelli negativi, sono giudizi di valore necessari per afferrare e abitare la realtà, ma è assai difficile in un tempo in cui la positività «a ogni costo» e il divorzio tra cuore e ragione generano un’oscillazione senza tregua tra emotivismo e cinismo, nemici acerrimi dei sentimenti profondi. Un sentimento è l’indizio di una verità che sta a noi trovare come un tesoro. Ma per non fuggire di fronte a quelli negativi ci vogliono coraggio e pazienza, le chiavi per liberare la vita imprigionata per mancanza di verità: un coraggio e una pazienza difficili da trovare senza un amico che ci accompagni nella selva oscura, senza un amore che tenga per mano la nostra solitudine, senza un Dio che guidi con un sussurro di luce il nostro buio più fitto.

Corriere della Sera, 2 dicembre 2019 – Link all’articolo e ai precedenti

3 risposte a “Ultimo banco 13. Una pallottola o Julien?”

  1. Francesca ha detto:

    Le sue parole sono un richiamo profondo.. Quelle emozioni fragili fanno parte della nostra identità, senza le quali non saremmo quelli che siamo. Solo però con la Speranza che abbiamo nel cuore possiamo valorizzare le tristezze e le difficoltà della vita. Siamo chiamati alla bellezza che a volte passa per strade misteriose e a volte incomprensibili.
    Professore e collega, io e mio nipote seguiamo la sua rubrica ma ci aspettiamo di vederla in un qualche conferenza, magari sul mistero e la bellezza della vita ispirata dai grandi classici o per un suo nuovo libro, anche qui a Roma. Intanto abbracciamo la nostra fragilità.
    Grazie delle sue preziose parole
    Francesca

  2. Pepita Jimenez ha detto:

    Gli spunti che offre questo articolo sono veramente tanti e ogni dettaglio e argomento si impone sugli altri con la stessa forza.
    Partirò da questa bellissima immagine di sopra che mi ricorda il modello bio – energetico della personalità che, a sua volta, mi ricorda la nostra poliedricità di esseri umani. Mi sono soffermata su tutte le caratteristiche descritte in questa immagine. L’idea che ne viene fuori è quella di un essere dalle mille sfaccettature, dalle mille fragilità, dai molteplici punti di forza. Un capolavoro!
    Penso che ognuno di noi sia un capolavoro, anche quando soffriamo, piangiamo e quando i nostri bi-sogni non si realizzano (per me sogni e bisogni sono collegati).
    La chiave di volta per superare le sofferenze, gli ostacoli o eventuali disperazioni penso sia quella di ri-conoscersi e ri-cordarsi come capolavori. Certo, a volte l’indigenza e la disperazione sono troppo grandi, come nel caso di Marie – Henri Beyle.
    Ma c’è sempre uno spazio e un tempo per la trasformazione se non anche per la trasfigurazione e così Marie – Henri Beyle diventa Stendhal, decidendo quindi di ri-scrivere il suo “finale” .
    Personalmente, riconosco alla pioggia un grandissimo valore simbolico,racchiude un significato di dolore, ma anche di rigenerazione.
    Per quanto riguarda la fragilità, mi vengono in mente queste parole : “Viviamo in un’epoca in cui si è titolati a vivere solo se perfetti. Ogni insufficienza, ogni debolezza, ogni fragilità sembra bandita”.
    Le riconosce? ?
    Penso proprio di sì ?Appartengono al suo libro : “L’arte di essere fragili”. Parole perfette per descrivere quello che avviene nella nostra società, in preda a mille stimoli emotivi diversi. Una società compulsiva e bulimica.
    Secondo la corrente della psicologia e della psicoterapia moderne, i sentimenti negativi, gli attacchi di panico e l’ansia non sono dei nemici da combattere. Sono dei messaggeri che ci fanno capire che qualcosa nella nostra vita va sistemato, ci avvertono che dobbiamo cambiare strada. Sono d’accordo con questa impostazione che ritrovo anche nel suo articolo.
    Voglio concludere con una frase di Karl Barth che mi ricorda molto la storia di Marie – Henri Beyle – Stendhal : “Nessuno può tornare indietro e ricominciare da capo, ma chiunque può andare avanti e decidere il finale”

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