17 marzo 2020

Ultimo banco 28. Fragile: maneggiare con cura

Risultato immagini per vetro murano

«Si mise in testa, lo sventurato, che era fatto tutto di vetro e, quando qualcuno gli si avvicinava levava urla tremende, supplicando con parole e ragionamenti assennati che nessuno gli si accostasse perché l’avrebbe rotto; perché lui era tutto di vetro, da capo a piedi». Così Miguel de Cervantes, in una delle Novelle esemplari (raccolta di racconti del 1613), descrive Tomás Rodaja (Rotella), un giovane avvocato soprannominato «dottor Vetro» che, come il Don Chisciotte che l’autore scriveva negli stessi anni, è un folle che dice la verità a chi si crede normale. Tomás è stato avvelenato da una donna con un filtro magico che non ha però ottenuto l’effetto desiderato, obbligarlo ad amarla, ma ha sortito tutt’altro esito: sopravvissuto per miracolo, il giovane è infatti convinto di essere diventato di cristallo. Indossa abiti larghi, non ha contatti ravvicinati, cammina solo al centro della strada, dorme sulla paglia e teme che le tegole dei tetti gli caschino addosso. I suoi amici cercano invano di aiutarlo: «Gli si gettavano addosso e lo abbracciavano, esortandolo a far caso e a osservare come non si rompesse. Tuttavia, tutto quel che si otteneva in questo modo era che il poveraccio si buttava a terra levando mille grida, cadeva quindi svenuto e per quattro ore non ritornava in sé».

In queste giornate drammatiche ci sentiamo di vetro anche noi. Fragili e impauriti da ogni contatto, ci siamo dovuti chiudere in casa. L’effetto è tanto inatteso quanto dirompente: le relazioni si mostrano nella loro nuda verità. Gli spazi stretti e il tempo largo provocano inevitabili attriti e scontri, eppure solo quando diventiamo trasparenti riscopriamo la qualità delle nostre relazioni. É lo stesso Tomás a offrirci la soluzione, infatti grazie alla sua follia il giovane ha acquisito il potere della trasparenza: «Chiedeva che gli parlassero a distanza e gli domandassero pure quel che volevano perché avrebbe risposto a tutto con molto più senno, giacché era un uomo di vetro e non di carne; infatti il vetro, in quanto materia sottile e delicata, permetteva all’anima di operare con maggior prontezza ed efficacia rispetto al corpo, materia pesante e terrestre». Nel racconto di Cervantes la fama di saggezza e schiettezza di Tomás si diffonde, e tantissimi si recano da lui per chiedergli consiglio o semplicemente per ascoltare la sua lucida pazzia: quel giovane dice la verità senza mezzi termini, smascherando menzogne e finzioni degli interlocutori. La stessa cosa può accadere a noi in questi giorni di relazioni «inevitabili». Da quanto tempo non affrontiamo ferite, silenzi, bugie, rancori, segreti, che ci hanno allontanato da chi abita con noi sotto lo stesso tetto? Adesso, proprio perché non ci possiamo più nascondere, come il dottor Vetro abbiamo la possibilità di rendere trasparente ciò che era stato oscurato dalle attività esterne quotidiane o opacizzato da ripetitive routine casalinghe. E la verità ritrovata potrà essere arma o cura. Sta a noi scegliere cosa fare della nostra condizione di uomini e donne di prezioso vetro di Murano: sottoposti al fuoco incandescente dell’emergenza siamo costretti a tornare malleabili. Sapremo rimodellare le relazioni grazie a questa inattesa tenerezza o, rimanendo rigidi, ci frantumeremo a vicenda? Il tempo da passare insieme sembrerà lunghissimo, ma è un nulla in confronto a quello che può significare per la vita futura. Conosco famiglie che stanno riscoprendo la bellezza di stare insieme con passatempi dimenticati come i giochi da tavola o semplicemente consumando i pasti in compagnia; un marito che deve proteggere la moglie immunodepressa con una delicatezza nuova; fratelli incollati a serie TV che in altre occasioni non avrebbero mai guardato insieme; coppie che riscoprono interessi comuni dimenticati strada facendo; padri che leggono storie ai figli; madri che sprigionano la loro creatività per impegnare bambini chiusi in casa per tante ore; persone dello stesso condominio che si aiutano per la spesa o altre necessità… Possiamo imparare di nuovo a «maneggiare con cura» la fragilità degli altri: il virus è letale anche per l’individualismo che quotidianamente ci avvelena.

Alla fine del racconto Tomás guarisce, ma tutti continuano a preferire il bizzarro dottor Vetro che diceva la verità senza mezzi termini: così è costretto a migrare dove nessuno lo conosce per iniziare una nuova vita. E noi sapremo fare tesoro di questi giorni di verità, anche se difficili, faticosi, a tratti impossibili, come un’occasione irripetibile di verità nelle relazioni fondamentali? Siamo stati costretti a diventare di vetro, cioè più autentici di quanto crediamo di essere ordinariamente dietro maschere, corazze, abitudini e ruoli che ci fanno sentire sicuri, ma magari ci rendono oscuri proprio con gli unici che hanno diritto alla nostra comica, tenera e fragile trasparenza, per poterla amare.

Corriere della Sera, 16 marzo 2020 – Link all’articolo e ai precedenti

Traduccion in Español 

Translated in English

4 risposte a “Ultimo banco 28. Fragile: maneggiare con cura”

  1. Federica Salvan ha detto:

    Salve,Alessandro, sono Federica che, in varie occasioni, ha scritto, anche epistole, testi un po’ più lunghi.
    Ora scrivo così in questo spazio apposito, ma non escludo di scriverti, uso il tu, una epistola.
    Scrivo assiduamente, nella mia via come via per trovare la cura, attraverso la parola.
    Essa è narrazione, semplice, non riesco ad usare parole così difficili, se no le scompongono nelle loro origini.
    Lo faccio in umiltà, sono priva din sapere dotto, aulico; sono laureata in Filosofia, specializzata per insegnarla così come Scienze umane, infatti, sono una insegnante di Scuola superiore.
    Mi ero già presentata, più volte, ma desidero ripeterlo, talvolta.
    Ho appena ascoltato la tua narrazione a Romanae Disputationes, mi sono immedesimata pienamente.
    Io appartengo a Diesse, Botteghe di Filosofia, dirette dal Prof.Ferrari Marco che ti ha introdotto.
    Sono nella scuola, in virtù della Legge 107, con insegnamento per potenziamento ed ho dovuto definite un ruolo, un nome che mi dicessero che conto, valgo.
    La parola, il logos che apro in modo viscerale e tu sei maestro , per me, in questo,è la mia missione.
    Ho ascoltato soltanto ora il tuo intervento, ma leggevo intanto, i tuoi scritti ed è stato un miracolo.
    In questi giorni, io, non avendo materie, ma essendo in codocenza, nel ruolo suddetto, ho deciso, di scrivere messaggi agli studenti e studentesse della prima, in cui mi trovo.
    Lo faccio, in compartecipazione con il suo consenso,della insegnante di Inglese, come facevo in presenza.
    Scrivevo vere lettere alle classi per rendere viva la parola, come tu hai detto e facevo l’ appello,dicendo, vi chiamo, voi direte il vostro nome.
    Ho voluto narrare la mia esperienza, che si è rispecchiata nella tua come la trasparenza del vetro, evocata da Cervantes.
    Le relazioni su cui tanto ho scritto, da riparare nella trama ferita, adesso chiedono la resa della parola che induce allo stare insieme, al dialogo per maturare.
    Con semplicità che snoda le pieghe,grazie e avanti con la parola che puo’ in tempo grande: la parola della cura,non fatua e corrriva.

    • Prof 2.0 ha detto:

      Grazie a te, cara collega. Spero tu possa presto entrare in ruolo: strana parola del nostro sistema imbalsamato, come se in ruolo già non lo fossi…

  2. Maria Rosaria ha detto:

    Caro professore , ha trovato la storia speciale per rappresentare i sentimenti e le reazioni di ciascuno in questi giorni incredibili.
    Tomàs Rodaja si trova in uno stato maniacale che lo porta a sentirsi fragile e trasparente come il vetro. Il materiale di cui si sente fatto gli impone di tenersi lontano dal pericolo di rompersi e ad essere limpido, terso nel dire le cose così come sono, spogliate,nella loro essenzialità, risultando un po’ matto e un po’ saggio perché quasi sempre la verità è considerata cosa da nascondere, da mascherare. Questa è la condanna che gli è capitata dopo aver viaggiato, studiato e fatto molte esperienze ma diventa la sua forza che svanisce quando torna ad essere normale.
    Improvvisamente, da un’ora all’altra il modo di vivere di un’intera popolazione è dovuto cambiare. Accade che,quando viene comunicata la diagnosi per noi stessi o per un nostro caro, il tempo e gli spazi della vita si restringono. Ci troviamo a dover vivere in una situazione che ci impone di consegnare il nostro corpo indifeso ai medici e gestire la mente e lo spirito in solitudine. Ci si rende conto soltanto che nulla è più come prima e si deve cominciare a pensare al dopo qui o altrove , chissà!? A tutti noi sembra oggi di aver perso la libertà perché non c’è da scegliere, c’è da obbedire e non lo si sa più fare e intanto il nostro stato d’animo si rispecchia negli occhi degli altri a noi vicini che o tacciono e pregano o urlano e imprecano, allora proviamo a dirigere il pensiero verso la speranza. E’ fondamentale cercare, bisogna cercare la speranza, perché solo così si può trovare una luce verso cui dirigersi. Tanti pensieri transitano per la mente e vanno anche da una mente all’altra, tante paure, tanti tremori ci fanno oscillare tra malinconia,attesa fiduciosa e gratitudine per chi mette le proprie competenze al servizio di chi ne ha bisogno. La preoccupazione sale quando l’anello di protezione sanitaria più forte del paese è allo stremo delle forze e cerca di resistere un’organizzazione che diventa sempre più difficile da gestire.
    Tutto è fragile, ogni coordinazione scricchiola, bisogna capire repentinamente come aiutare e poter essere aiutati perché i sistemi e gli equilibri non vadano in frantumi.
    Ogni istituzione, che sia la famiglia, la scuola, lo stato ,si fonda sulla fragilità dei legami , bisogna scoprire modalità, inventare continuamente nuove strategie che non si trovano scritte da nessuna parte se non nella volontà di ciascuno di capire che la nostra fragilità può dar forza a quella dell’altro, per vivere meglio la quotidianità che normalmente è fatta invece di relazioni sghembe.
    Lev Tolstoy diceva:”Come una candela ne accende un’altra e si trovano accese migliaia di candele, così un cuore ne accende un altro e si accendono migliaia di cuori”
    Speriamo sia questa l’eredità che a ciascuno lascerà questa esperienza.

    Grazie!

  3. Pepita Jimenez ha detto:

    Salve Prof!
    La storia di Tomas Rodaja mi ricorda molto una delle favole di Gianni Rodari : “Giacomo di cristallo”. La sua storia inizia così : “Una volta, in una città lontana, venne al mondo un bambino trasparente. Attraverso le sue membra si poteva vedere come attraverso l’aria e l’acqua…”. Giacomo non poteva mentire perché i suoi pensieri erano trasparenti, era obbligato alla verità.
    A causa della sua schiettezza venne imprigionato da un tiranno sopraggiunto in quella città.
    Ma la sua luce continuò a brillare e il carcere diventò trasparente. “Giacomo di cristallo, anche in catene, era più forte di lui, perché la verità è più forte di qualsiasi cosa, più luminosa del giorno, più terribile di un uragano”.
    La nostra società richiede
    ” trasparenza ” alle persone e alle istituzioni, ma non sempre aderisce alla verità, come se trasparenza e verità fossero separate.
    Inoltre, non capisco perché essa venga associata ai bambini o ai folli, e non a tutte le persone, come se fosse una “sovrastruttura” e non una “struttura” del nostro essere.
    La fragilità viene spesso associata alla verità, forse perché chi si riscopre fragile, vive senza orpelli e senza maschere.
    A questo riguardo, mi viene in mente il suo libro : “L’arte di essere fragili” che mi ha fatto capire che la fragilità è vera forza e vera bellezza, anche se, talvolta, non ce ne rendiamo conto e troviamo in essa un limite invalicabile.
    Pensiero rafforzato anche da Vittorino Andreoli ne : “L’uomo di vetro. La forza della fragilità”.
    Penso che questo sia tempo sia di verità che di fragilità.
    Un tempo rischioso (per quanto riguarda la salute e il benessere delle persone), ma anche un tempo di opportunità e di miracoli.
    Il tempo di scoprire talenti o di riscoprirli, di valorizzare modalità alternative di unione, condivisione, comunicazione, di ritornare in noi stessi perché, come disse Sant’Agostino, “in interiore homine habitat Veritas”.

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