13 febbraio 2024

Ultimo banco 189. Il ballo del qua

«Gentile Professore, non vivo un bel periodo diversamente da quanto lascio trasparire. In questo momento la mia unica speranza è non cadere nella disperazione di cui parla Kierkegaard. Credo che davanti a me ci siano troppe opportunità, troppe scelte, troppi modi di vivere la vita. E ho paura di perdermeli. Oppure ho paura di cadere nel nulla, non scegliendo. Ho paura perché so che tutto dipende da me e che nessuno alla fine mi aiuterà a scegliere. Ho paura perché sento che la scuola non aiuta. Io amo la scuola e l’ambiente scolastico, amo studiare e imparare cose nuove. Però non amo imparare cose fini a se stesse. Voglio sapere cosa viene dopo, anzi vorrei solo qualcuno che ascoltasse. Realmente. Mi scuso se in questa mail lascio trasparire tutto il mio dolore e anche la mia rabbia. Ma non vedo una via d’uscita. Spero tanto che lei possa darmi un altro modo di interpretare la realtà, anche un’illusione, come diceva Leopardi: “Voglio un mondo che splenda (sia pura di luce falsa)”».

Queste righe ricevute da una studentessa dell’ultimo anno di superiori mi hanno riportato alla realtà mentre ero emotivamente preso dal ballo del qua qua. A te, ragazza, vorrei proporre invece il ballo del qua: stare gioiosamente nella vita, proprio dove e come sei. Qua. Come si balla?

I primi passi cominciano proprio dal dolore che ti rende inquieta e ti mette in moto. Il dolore è sempre vita che vuole guarire, se tu non lo provassi saresti spacciata come chi viene avvelenato a poco a poco senza accorgersene. La tua crisi ti difende da un mondo che non devi farti andare bene.

Citi Kierkegaard e Leopardi: strani esseri che ti aiutano a comprendere che cosa ti accade. La scuola serve a questo: trovare parole per dire il mondo quando le tue finiscono o non bastano, ti tira fuori dal labirinto con segnali che sulle prime possono sembrare “fini a se stessi”. Il filosofo danese e il poeta recanatese ti hanno già prestato l’orecchio che cerchi e messo in condizione di aprire una via, perché la parte più profonda di te, la vita spirituale o cuore, da cui dipendono pensieri, decisioni e azioni essenziali per la felicità, comincia dove il testimone di altri ci viene consegnato. Tocca a te fare adesso il pezzo di strada che solo tu puoi fare.

Chiedendo che qualcuno ti aiuti a interpretare la realtà concreta in cui ti trovi non fai altro che cercare la verità: il senso (direzione e significato) della tua vita. Quella verità che ti aiuterebbe a fare una scelta adeguata, mentre ti senti paralizzata dalle troppe possibilità, con la conseguente paura di sbagliare o perdere qualcosa. È il benedetto dramma della libertà di cui proprio Kierkegaard ha detto l’essenziale: “Ma che cosa è dunque il mio Sé? Di primo acchito risponderei che è la cosa più astratta di tutte, che tuttavia è in sé la più concreta di tutte, è la libertà” (Aut-Aut). E non c’è libertà, e quindi Sè, senza verità. Quella verità in assenza della quale scegliere diventa infatti impossibile, tanto da preferire non farlo, con il rischio di cadere in una vita senza senso. E allora vuoi che qualcuno ti accompagni, che la scuola sia scuola di verità. Molti, nella tua condizione, rinunciano alla propria libertà pur di non sentirne il peso, e si assoggettano al pensiero dominante, a quello che fanno tutti, invece tu prendi la penna e scrivi il tuo dolore e la tua rabbia.

Vuoi uscire dalla prigione per aprirti alla vita autentica non solo nell’ora d’aria che a tutti è concessa, la festa che salva dalla noia “total” di cui canta chi ha vinto Sanremo. Abbi fiducia, la tua vita spirituale (o cuore) funziona benissimo, perché è la capacità di mettersi di fronte alla verità senza scappare, e per verità non intendo una formulazione astratta, un programma, una ricetta.

Il filosofo Michel Foucault, sulla scorta della tradizione antica, definiva la spiritualità come «la pratica e l’esperienza per mezzo delle quali il soggetto opera su di sé le trasformazioni necessarie per avere accesso alla verità. La verità è concessa se è in gioco l’essere stesso del soggetto. Non può esserci verità senza una conversione o una trasformazione del soggetto» (L’ermeneutica del soggetto). Il mondo in cui viviamo ci illude che possiamo essere e volere tutto, che essere liberi sia avere scelte infinite, ma questo accade, illusoriamente, solo al supermercato. Noi i destini non li possiamo comprare, ma solo ricevere.

Il consumismo scambia le scelte infinite per libertà, mentre veramente libero è solo chi, messo in condizione di ricevere la verità, poi la sceglie, cioè sceglie di essere chi solo lui può essere. Non è vero che hai illimitate scelte, è vero piuttosto che tu hai un destino da trasformare in destinazione, e il mondo comincerà a splendere, non della luce falsa delle illusioni come era disposto ad accettare, pur di sopravvivere alla noia, il diciannovenne Leopardi nella lettera a Giordani da te citata, ma della luce che hai già in mano e non devi puntare invano sull’intera valle oscura in cui cammini, ma sul prossimo passo.

La vita ti verrà incontro nella misura in cui le andrai incontro, con coraggio, perché può aver coraggio solo chi ha paura, così come può guarire solo chi ha dolore. Che cosa puoi essere e fare solo tu? A che cosa sei chiamata? Perché sei venuta al mondo? Non concentrarti su ciò che il mondo si aspetta, ma su ciò che ti rende viva, perché il mondo ha bisogno di persone vive. E allora, se spiritualità è fare ciò che serve a trasformarsi per vedere la verità, coltiva la tua vita spirituale (o cuore), cioè fai pratica ed esperienza di ciò che ti rende viva. Non aspettare di avere anni di vita, ma metti vita nei tuoi anni. A poco a poco ti trasformerai, cioè abbandonerai le illusioni di destino, per abbracciare il tuo.

La vita autentica infatti ha due movimenti: liberazione e scoperta. Elimina ciò che ti fa sentire morta, coltiva ciò che ti fa sentire viva. Due movimenti accompagnati da un inevitabile timore: rinunciare a ciò che rassicura ed esplorare l’ignoto. Posso dirti che in me avviene questa trasformazione verso la verità quando leggo, prego, scrivo, mostro le mie fragilità a chi mi ama o le accolgo, cerco bellezza nel quotidiano, cammino nella natura, faccio sport, cucino per qualcuno, faccio una lezione… Ma per fare queste cose ho dovuto prima liberarmi da altre che mi davano l’illusione di essere vivo, facendomi perdere tempo o avvelenandomi.

Che cosa ti rende viva e rende vivo il mondo attorno a te? Quanto tempo dedicherai oggi a questo? La risposta non la troverai fuori, nel supermercato delle false esistenze felici, ma fiorirà in te e da te, nel tempo, perché avrai coltivato la tua umanità, cioè il tuo cuore.

Mentre scrivo i rami spogli di un albero tagliano un cielo grigio e piovoso: la sua vita è solo nascosta, lavora senza sosta. Sembra morto, ma è solo raccolto. È il suo ballo del qua. E anche tu scoprirai, in questo inverno dello spirito, che la linfa che cerchi non è altrove, è nella tua carne. Non scappare, raccogliti. La stagione dei frutti arriverà a tempo debito e nutrirà molti. Tu balla, qua.

Corriere della Sera, 12 febbraio 2024 – Link all’articolo e ai precedenti

Una replica a “Ultimo banco 189. Il ballo del qua”

  1. Federica Salvan ha detto:

    Buongiorno, sono Federica Salvan, frequente scrittrice in questo apposito spazio con brevi note oppure in emails al to indirizzo.
    Mi riconosco in quello che scrivi alla studentessa, io, lo già scritto insegnante per ,prove, in un arzigogolato itinerario, ricercatrice in Filosofia.

    Anche io, confido in altro, cerco, ma invero, preferisco essere cercata nel desiderio di legami perché mi tanco un po’.

    Il significato della vita, non un particolare, mi conduce, non piatto, annichelente, ma vìvo, fracco nella mia interezza come sono con affezione fisica da anni, resistente nelle avversità con ricezione di parole, non sempre accomodanti, ma ferite.

    Ecco dunque che assumo quello che scrivi qui come possibilità di cercare me stessa nella luce, non temendo, ma desiderosa di felicità.
    Il papà é con me diversamente, ma tanto presente come la mamma dieci anni prima: questa ultima frase è un omaggio in memoria.
    Federica, grazie
    Grazie

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