21 gennaio 2020

Ultimo banco 20. Il lungo labirinto verso casa

Il Ciclope, Eolo, Circe, il Regno dei morti, le Sirene, Scilla e Cariddi, Calipso… Se vi chiedessi che cosa ricordate dell’Odissea mi raccontereste le più famose tra le dodici tappe del viaggio di Ulisse da Troia a Itaca. Benché occupino solo 8 dei 24 capitoli del poema, tendiamo a identificare l’Odissea con queste peripezie. Perché? Non è solo per il fascino della parte più avventurosa della storia che tende a imprimersi vividamente nella memoria, ma anche, e soprattutto, per il segreto potere dei miti: li ricordiamo in un certo modo proprio perché salvano «pezzi» di vita che non devono andare perduti. In questo caso identifichiamo l’Odissea per lo più con il viaggio per mare dell’eroe, perché è una insostituibile metafora narrativa dell’esistenza. L’essenza della vita (chi sono, da dove vengo, dove vado?) è avvolta in un mistero, che noi possiamo avvicinare solo con il suo linguaggio: metafore, simboli, miti. E quale parte del mistero rivela il viaggio di ritorno a Itaca?

Molti hanno cercato la soluzione provando a identificarne i luoghi, collocandoli nel Mediterraneo: la Sicilia per i Ciclopi, lo Stretto per Scilla e Cariddi, le isolette Li Galli a sud di Sorrento per le Sirene… ma quel viaggio non ha pretese di realismo geografico: superato capo Malea, punta sud della penisola greca, la navigazione di cabotaggio dell’eroe si perde in un mare infinito e fantastico, proprio perché il mistero va esplorato su ben altre mappe. Le tappe del viaggio sono 12 (numero simbolico che indica completezza) e sono movimenti per mare (nel mondo omerico il mare è una partita con la morte), ora verso oriente ora verso occidente, come un pendolo, senza centrare la meta. Qualche tempo fa ho letto un libro (Alle origini del labirinto di G.Chiarini) che prova a disegnare la mappa di questi movimenti: ne risulta lo schema del labirinto cretese, quello che Minosse fece progettare a Dedalo per imprigionarvi il vorace Minotauro. Un tragitto a forma di spirale (come nel simbolo inciso sulle antiche monete cretesi), che ora si avvicina ora si allontana dal centro. Infatti il ritorno è minacciato per metà (sei tappe) da potenze che vogliono divorare Ulisse e i suoi (Cìconi, Ciclope, Lestrigoni, Regno dei morti, Sirene, Scilla e Cariddi), per l’altra metà da forze che li trattengono in luoghi in qualche modo divini, capaci di far dimenticare l’arida e faticosa Itaca (Lotofagi, Eolo, Circe, l’isola del Sole, Calipso, Feaci). La vita viene quindi rappresentata come una lunga via verso casa, nella forma di un labirinto, che alterna momenti di crisi a momenti di abbandono; un’oscillazione tra situazioni in cui si rischia di essere paralizzati dalle paure e quelle in cui si rischia di esserlo dalle illusioni. Ogni tappa potrebbe essere l’ultima, come accade ai compagni di Ulisse: delle 12 navi con cui era partito torna solo lui. Sono tutti caduti nei meandri del labirinto, un simbolo ispirato, in diverse culture antiche anche distanti, alle viscere (dell’uomo o della terra): luogo in cui vita e morte si toccano e, per questo, spesso rappresentato nelle tombe antiche e nelle chiese medievali (si veda il meraviglioso labirinto di Chartres) come simbolo di morte e rinascita. Il labirinto «unicursale» non è pericoloso per la molteplicità di aperture (il «dedalo» vero e proprio, che rappresenta le difficoltà della libertà e della scelta, si diffonde più tardi e non a caso nella crisi che porta dal Medioevo al Rinascimento), ma per il lungo girare della stessa via, dall’esterno al centro e ritorno: il segreto per tornare indietro è infatti andare sempre avanti. In questo percorso a spirale il rischio non è sbagliare strada ma dimenticare la meta, tanto che a un certo punto Ulisse, quasi a metà del viaggio, approdato sull’ennesima isola ignota, dice ai compagni: «Compagni di dolore e di sventura. Non sappiamo più dove è oriente, dov’è occidente. Siamo su un’isola circondata tutt’intorno dal mare infinito» (X, 190-2). Ma l’eroe non si ritira, la sua bussola interiore punta sempre verso Itaca, il luogo dei suoi amori: è il senso della sua esistenza che gli consente di resistere al labirinto. Di lui infatti si dice, al quarto verso del poema, che «soffrì molti dolori sul mare», altrimenti detto «visse senza tirarsi indietro e senza lasciarsi andare».

La vita, si dice, è un’odissea: un labirinto che fa perdere l’orientamento e al cui centro vita e morte si toccano (Omero fa coincidere il centro del viaggio e quello dell’intero poema nella tappa del Regno dei morti, senza la quale Ulisse non saprebbe dove e come tornare), per poi riprendere la via in cui la vita prevale sulla morte. La chiave per uscire dal labirinto è resistere alla paura dell’ignoto e alla seduzione dell’abbandono. Solo così, avanzando sulla lunga spirale fatta di vita, morte e rinascita, (ri)troveremo Itaca. E, quando metteremo piede a terra, proprio lì scopriremo che Itaca eravamo noi.

Corriere della Sera, 20 gennaio 2020 – Link all’articolo e ai precedenti

3 risposte a “Ultimo banco 20. Il lungo labirinto verso casa”

  1. Maria Rosaria ha detto:

    Righe di bellissima scrittura quelle di questo articolo, fitte di possibili riflessioni: l’ubiquità del dodici nella nostra vita-labirinto, dedalo, spirale-mare, amore,morte-bussola e orientamento-vita e mistero.
    La vita è come “un’oscillazione tra situazioni in cui si rischia di essere paralizzati dalla paura……….” parole che producono un effetto di schiarimento, di verità.
    I nostri pensieri si devono muovere in un labirinto che bisogna percorrere fino in fondo, in un processo continuo di maturazione, con volontà e perseveranza se vogliamo scoprire i segreti del senso di essere nati su questo pianeta; un cammino diverso o più comodo non darebbe di certo gli stessi risultati.
    Caro professore è tornato a parlarci di uno dei suoi amori letterari: L’Odissea. Con quest’opera, che ha una potenza che resiste al tempo, lei ha un legame di profonda conoscenza che le porta sempre qualcosa di nuovo. Ogni volta quella stessa pagina riletta è ancora uguale a se stessa e allo stesso tempo piena di un lievito che più viene consumato più si accresce e si rinnova.
    Leggere è viaggiare stando fermi. Un’attenta lettura diventa quasi studio, è un esercizio che abitua a riflettere, a pensare, a cercare e trovare i requisiti indispensabili per illuminare quel sentiero affascinante ma difficile da percorrere che ci porta “verso casa”.
    Chi poi come lei si tiene in continuo allenamento con le parole, presentando con abilità argomenti a dimostrazione di importanti tesi, riesce ad avere più chiaro l’insieme (come ha scritto su Instagram) cioè il senso del mondo, il suo ordine e la sua bellezza e offre le sue intuizioni ai lettori trasmettendo un senso di serenità utile, per superare paure e illusioni, che deriva dalla consapevolezza che tutti abbiamo dei limiti ma possiamo anche con essi attraversare le avversità, accettare le contraddizioni e con impegno farcela.
    L’incontro tra lei e l’Odissea si è rivelato essere un amore duraturo che non la delude e non la stanca mai . Proprio come non ci stanca mai la presenza, la vicinanza ( a volte solo mentale) delle persone e delle cose che amiamo (o abbiamo amato) perché esse sono parte del nostro “esistere”, del nostro “essere” così come siamo.
    Ulisse rifiuta persino il dono dell’immortalità per avere la possibilità di rivedere la sua isola e i suoi cari, come scrive Kostantinos Kavafis in “Itaca”.
    L’isola è per Odisseo punto di partenza e d’arrivo perché le paure, gli ostacoli, i dubbi ha imparato a superarli e il lungo percorso di conoscenza lo ha portato a mettere al primo posto tra i valori dell’esistenza: l’amore per sempre.

    Un grande grazie!

    • Maria Rosaria ha detto:

      P.S. Rileggendo ciò che ho detto qui sopra,ho rinvenuto che, avendo cancellato mentre scrivevo alcune parole, non mi sono resa conto di aver dato un senso diverso da quello che volevo alla frase in cui nomino Kavafis.

      Mi scuso per l’inesattezza che ne consegue

  2. Pepita Jimenez ha detto:

    È sempre un piacere leggere ciò che scrive : sia uno dei suoi libri, o uno dei suoi articoli.
    In effetti il mito è fondamentale per comprendere la nostra esistenza, altrimenti incomprensibile. Mi sovviene alla memoria lo studio dell’antropologo Levi – Strauss. Il mitema, per lui, è l’unità minima, la struttura di base trasversale ai miti come le avversità, i pericoli,etc.
    Ma qui non entra in campo solo l’antropologia o la filosofia, ma soprattutto la religione con la sua simbologia. Infatti, 12 sono le tribù di Israele, 12 Apostoli e anche in qualche altra parte della Bibbia ho trovato questo numero.
    Penso che il viaggio di Ulisse possieda anche una chiave di lettura teleologica : il viaggio è quello della vita terrena, con le sue peripezie, difficoltà, fallimenti, pericoli da superare e demoni da combattere, ma la vita terrena non è la meta … Mi viene in mente Lettera a Diogneto, letta tanto tempo fa… Sui cristiani che devono essere nel mondo ma non del mondo, vivere in questa vita così immanente, ma allo stesso tempo trascendente: ” Vivono nella loro patria, ma come forestieri : partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri…” La Patristica, così come questa lettera, insiste sul fatto che la nostra dimora sia la città celeste (la città di Dio, come diceva Sant’Agostino), chiamata anche la Gerusalemme celeste. È là che dobbiamo fare ritorno, ma il percorso è irto di ostacoli e pericoli da affrontare, disorientamenti, paure, “nemici”. Come dice San Paolo : “La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male…”.
    Sempre nella Bibbia, il mare possiede un significato negativo : il mare è la manifestazione del male con i suoi flutti, le sue tempeste etc.
    Talvolta, anche a noi capita di soffrire nel mare della vita, di smarrirsi, ma si può sempre tentare la via di una possibile stenia interiore, tornare a destinazione e alla nostra destinazione.

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