26 maggio 2020

Ultimo banco 37. Pietà per la scuola

Il 21 maggio del 1972 un uomo, tra le urla, si lanciò con un martello contro la Pietà di Michelangelo in San Pietro. Prima che un pompiere, in visita alla basilica, riuscisse a bloccarlo aveva già assestato 12 martellate alla statua della Madonna, staccandole un braccio e sfigurandole il volto. Tutti si sentirono feriti nel proprio corpo, perché la bellezza è la memoria viva degli uomini, resa duratura nelle opere del loro agire migliore (politico, artistico, tecnico…). Quel marmo appartiene a me e a voi, come accade con i ricordi di famiglia più intensi. Memoria non è infatti un passato da ripetere per una nostalgia malata, ma vita che non muore, presente continuo che penetra i secoli, frantuma gli orologi e offre all’uomo di tutti tempi l’energia di cui ha bisogno per rinnovarsi: trasformare in vita il dolore di una madre per il figlio morto (la Pietà) è una delle vette della memoria. Così l’opera, come racconta il documentario «La Violenza e la Pietà», fu riparata con la cura dovuta alle cose irripetibili e le sue cicatrici testimonieranno per sempre che noi siamo o costruttori o distruttori. I primi, in ogni ambito, salvano il mondo perché ne compongono la memoria, cioè la vita, mentre i secondi la demoliscono. In mezzo ci sono gli istruttori, coloro che istruiscono, cioè donano alle nuove generazioni i ricordi più vivi della famiglia umana: la chiamiamo «scuola».

Che ne è stato della scuola così intesa in questi mesi? Come ci siamo presi cura della vita di bambini e ragazzi? Le decisioni, prese spesso fuori tempo (come per l’esame di terza media e di maturità), li hanno aiutati? Per rispondere mi servo di un esempio personale. A un mese e mezzo dalla decisione di chiudere le scuole, sono stato contattato dal Ministero per partecipare a una lodevole iniziativa: fare, insieme ad altri «Maestri» (titolo del format), due lezioni di 15 minuti su temi a mia scelta, che poi sarebbero andate in onda su un canale nazionale. Ero allettato (o meglio il mio ego lo era), ma poi mi sono concentrato sui ragazzi e ho declinato l’invito, perché l’ultima cosa di cui avevano bisogno era l’ennesima lezione da schermo. La proposta, sacrosanta in tempi normali, non solo rafforza l’idea sbagliata che la scuola si possa fare senza corpi, con sconosciuti e senza interazione, ma conferma la concezione sterile dell’istruzione come frammentazione di nozioni senza connessione con la vita integrale: per far fiorire le persone non basta la ragione ma ci vuole soprattutto la relazione. Istruire non è inserire dati in teste senza corpo ma innestare, nel corpo «vivo» della memoria umana, i «recenti», perché diventino «viventi». Mi sembrava che in questo faticoso frangente servisse altro ai ragazzi, perché, nelle situazioni di crisi, la resistenza viene dalla liberazione di energie interiori non ancora attivate. Serviva soprattutto l’orientamento che a scuola è quasi del tutto trascurato e risolto in notazioni più o meno estemporanee o in vetrine di università a caccia di iscrizioni. Troppi ragazzi non sanno cosa fare (università o no? quale facoltà?) e finiscono per scegliere non a partire dalla conoscenza di se stessi e del mondo, ma in base a illusioni o pressioni familiari e culturali, rassicuranti sul breve periodo, fonte di crisi sul lungo. Così, in questi mesi di didattica a distanza, oltre a portare avanti delle lezioni sull’esplorazione della propria vocazione sui canali social, ho preparato per i miei studenti e genitori dei video e dei questionari per identificare i loro segni vocazionali, cioè concentrarsi su ciò che c’è già anziché su ciò che manca, sul futuro anziché sulla cronaca. È una iniziativa personale, non in programma, svolta nelle mie ore: niente valutazioni, semplice esplorazione di attitudini e punti deboli, con l’aiuto dei genitori. Sono convinto che solo quando la scuola sarà giardino di vocazioni, capace di curare la novità di ognuno, sarà veramente democratica, rendendo tutti (non a chiacchiere) liberi (autonomi nelle scelte e nello sviluppo della vita). Nei prossimi giorni inaugurerò, con Mario Calabresi, un progetto di orientamento personalizzato (con incontri da remoto per ogni ragazzo) per «la scelta universitaria in tempo di pandemia», aperto a tutti gli studenti di quarto e quinto anno e gestito dagli enti universitari. Questo è ciò che si può fare da casa, mettendo insieme forze e professionalità, con un pc e gratis: figuriamoci con risorse (spendiamo — per cosa esattamente mi piacerebbe saperlo — per ogni studente di scuola statale circa 7 mila euro l’anno!) e un progetto di lungo periodo, svincolato da logiche di partito o di propaganda. Sono stanco di slogan, promesse e silenzi complici.

Come il pompiere che fermò il vandalo della Pietà, non possiamo più ignorare l’azione distruttiva di chi, per interesse, inerzia, ignoranza o incapacità… continua a martellare sul futuro del nostro Paese.

Corriere della Sera, 25 maggio 2020 – Link all’articolo e ai precedenti

12 risposte a “Ultimo banco 37. Pietà per la scuola”

  1. Ilaria Marino (ilama78) ha detto:

    L’adolescenza è davvero un’età complicata. Si inizia appena a definire se stessi e la confusione, in genere, non scarseggia. Un percorso di coscientizzazione diventa fonte di capacità ma, anche attenzione e cura per il futuro e, soprattutto, per il paese. Caro Ale, mille in bocca al lupo per domani (ops… visto l’ora, oggi ?) per questo tuo progetto “cosa tiene accese le stelle”. L’amore per ciò che si fa si moltiplica ed io sono certa che il tuo esempio farà da apripista per tanti altri insegnanti appassionati e presenti come te e come lo erano i miei genitori. Ti auguro di avere sempre la forza, la voglia ed il coraggio di ascoltarti ispirando anche gli altri nel perseverare in ciò. Davvero ben fatto prof. ?!

  2. Condivido pienamente l’articolo, ed avverto netta la percezione delle martellate alla Scuola.
    Sento il peso della stanchezza: dal 4 Marzo, Sabato e Domenica inclusi, 12 ore al giorno per progettare percorsi Umanizzanti e di Crescita, che aiutassero i miei ragazzi a sentirsi VIVI e CONSAPEVOLI di ESISTERE, ma sono contenta per aver immediatamente percepito che il problema non è il COVID-19 né l’emergenza, bensì la mancanza di metodo.
    Credo sia necessario impegnare tutte le energie per LIBERARE LA SCUOLA DA TUTTO CIO’ CHE NON E’.
    Spero che Alessandro D’Avenia possa essere ascoltato e considerato dai Vertici istituzionali non per tenere Lezioni o Conferenze, ma per INDICARE E SUGGERIRE LA SVOLTA CORAGGIOSA da intraprendersi: ora o mai più.

    • Ilaria Marino (ilama78) ha detto:

      Condivido tutto ciò che lei ha scritto ma, ho qualche remora sul suo augurio finale. Per cambiare un sistema così logoro e radicato, dedito all’addomesticamento dei ragazzi, come quello della scuola italiana, non credo possa bastare, per quanto visibile, un’unica persona. Inoltre, la storia racconta che tutti i tentativi di scuola innovativi (Danilo Dolci, Montessori, etc) sono stati ostacolati e rimasti delle nicchie proprio perché rimasti in solitudine. Secondo me, invece, bisognerebbe interrogarsi sui quesiti: “a che punto è la comunità degli insegnanti”, cosa fare per renderli una voce univoca. Un coro è più potente di una voce singola, anche se visibile. Bisogna abbandonare la deresponsabilizzazione personale. Bisogna scendere in campo ma, tutti, proprio tutti. ? Agli insegnanti importa essere e fare comunità?

      • Gentile Ilaria, mi scuso del ritardo nel rispondere.
        Una comunità educante deve saper scegliere i propri riferimenti. Anzitutto culturali.
        Il cambiamento è RADICI – PASSIONE – SLANCIO VERSO UNA DIREZIONE.
        Mi pare che -almeno da quarant’anni, ossia da quando frequentavo la Scuola superiore- l’insegnamento abbia poco a che vedere con un progetto di crescita centrato sull’Umano.
        Non bisogna generalizzare, certo, ma non possiamo negare il disagio che si prova nel vedere la Scuola italiana decadere sempre più …
        Confermo ciò che ho scritto in precedenza: Alessandro D’Avenia, da solo, metterebbe positivamente a soqquadro il Ministero dell’Istruzione, semplicemente perché egli è còlto ed ha la capacità di interpretare il cambiamento come RADICI – PASSIONE – SLANCIO VERSO UNA DIREZIONE.
        Mi sovviene un Laboratorio di Umanità, come quello lanciato a Palermo negli anni ’90 dai Gesuiti padre Sorge e padre Pintacuda.
        L’Italia ha bisogno di una Rivoluzione culturale coraggiosa, che riporti al centro la passione educativa e restituisca agli Studenti la dovuta considerazione.
        Nel Dicembre scorso ho letto “Alzare lo sguardo. Il diritto di crescere il dovere di educare”: Susanna Tamaro ha narrato con garbo la decadenza della Scuola italiana.
        Non abbiamo bisogno di chiacchiere, URGONO contenuti e proposte seriamente rispettose dell’identità del nostro popolo.
        Abbiamo bisogno della disarmante semplicità e dell’autorevolezza che scaturiscono dai Valori; è necessario ripensare il LINGUAGGIO, dare senso alla PAROLA, CUSTODIRE e TRASMETTERE EMOZIONI.
        Siamo a un bivio e, come ricordato da Papa Francesco sul finire di Marzo, siamo tutti chiamati a scegliere tra LA VITA o il DIO DENARO.
        Alessandro D’Avenia ha spiegato quanto costa allo Stato uno Studente; nutro seri dubbi che le nozioni preparino alla vita, e che la nostra attività docente possa esprimersi tra scartoffie senz’anima. Un caro saluto!

        • Ilaria Marino (ilama78) ha detto:

          Cara Maria Giovanna tutto giusto ciò che dice, anche per me urge una riforma scolastica. Entrambi i miei genitori sono stati insegnanti appassionati e conosco fin troppo bene le dinamiche deludenti che caratterizzano la scuola. Tutte le più grandi riforme sociali sono avvenute per indignazione e lotta sociale, dal basso e poi dal vertice. Io stimo tanto Alessandro, rivivo in lui quello che sono stati i miei genitori ed i loro insegnamenti. Il suo aufurio è legato di certo alla grande stima ed apprezzamento per Alessandro, tuttavia, sembra anche carico di responsabilità (povero scrittore?). oggi questa responsabilità non può appartenere al singolo ma agli studenti, agli insegnanti, ai cittadini. A chi difende la scuola come luogo di appartenenza e vita . Alessandro fa una cosa meravigliosa, tiene i libri sulla scrivania (quelli che si vedono nella sua stanza) e non nella libreria (magari qualcuno si ?, chissà? ?) affinché siano sempre a portata di mano, a portata del quotidiano e di tutti, per ricordare alle persone di essere e non di aspettare che altri siano per loro. Se le persone riuscissero a vedersi i cambiamenti sarebbero di certo più semplici e più veri. Se qualcosa iniziasse a muoversi dal basso finirebbe per muoversi anche dall’alto poi. Se solo iniziassimo a credere un po’ di più nelle persone, se solo iniziassimo a cambiare atteggiamento forse rimarremmo piacevolmente sorpresi e forse non più delusi e banalmente lamentosi.

        • Maria Rosaria ha detto:

          Il “sono pienamente d’accordo con lei” nel mio messaggio del 3 giugno, era per lei cara Maria Giovanna.
          Lo confermo sia per quanto ha lei detto il 27 e poi il 31 maggio.
          Mi scuso se posso aver creato un malinteso.
          Con stima.

          • Avevo intuito, gentilissima Maria Rosaria, benché sia da riconoscere ad Alessandro D’Avenia il merito di aver aperto questo blog al confronto tra quanti si ritrovano nelle sue intuizioni.
            Per la prima volta racconto un particolare.
            Molti anni fa, durante un viaggio in treno da Salerno (la mia città) a Milano, conversai con due coniugi di Scuola, e del dolore che provavo nel vedere una decadenza inesorabile.
            Mi suggerirono profduepuntozero.it, anzi mi raccomandarono caldamente di visitarlo, e mi raccontarono che una loro figlia era compagna di teatro di Alessandro.
            Ho lavorato con alcune mie classi, anche in DaD, proponendo riflessioni su alcuni post “Ultimo banco”; gli studenti hanno gradito tantissimo!
            Già nel Settembre scorso, uno di loro (Enrico) aveva espresso delle bellissime considerazioni sul perché predilige l’ultimo banco. Un foglietto spiegazzato, scritto a matita, grafia minuta: la narrazione della Scuola dal suo osservatorio! Quando, però, col mio solito entusiasmo gli ho chiesto di trascrivere il contenuto perché lo avremmo inviato ad Alessandro, Enrico ha detto e scritto (via mail) di sì ma, al momento, non ho ancora ricevuto quei suoi stupendi segreti.
            Ho cercato di “provocare” sia Enrico sia Mathias inviando loro il link de “Il portafoglio dell’alunno”: sono convinta si sentiranno interpretati nei loro ideali e nei loro sogni.
            La mia maestra Olga alle Elementari sognava con noi studenti, e questi sogni erano un “pensare in grande, ma con le basi”.
            Alle Elementari si gettavano le basi per ogni bambino, che poteva apprendere l’arte di sognare anche mediante la passione e l’entusiasmo del maestro. Qualche settimana fa, Paolo Crepet ha lanciato provocatoriamente (ma non troppo!) un allarme: stiamo creando autistici digitali …
            E mi fermo.

    • Maria Rosaria ha detto:

      Sono pienamente d’accordo con lei.
      Buone cose!

  3. Roberta ha detto:

    Condivido pienamente l’articolo, i ragazzi, soprattutto in questa fase adolescenziale, non hanno bisogno di altre nozioni in video lezione, hanno bisogno di sentirsi vivi e attivi ora più che mai, di essere persone responsabili sia pur nella situazione che stiamo vivendo come società. Appunto di sentirsi “viventi”. Complimenti prof., sempre dalla parte dei ragazzi perché avete un’empatia che non è da tutti. Chapeau

  4. fabio vergari ha detto:

    Veramente una stupenda iniziativa. Le isi che e’ un prof. con P maiuscola.
    Grazie

  5. Maria Carmen ha detto:

    Buongiorno! Quando partirà l’iniziativa con il dottor Calabresi? Dove posso informarmi?

    Grazie della risposta e, a presto.

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