12 settembre 2023

Ultimo banco 169. Graziato

La misura della felicità è la gratitudine. Alla fine di ogni giorno, anche il più difficile, cerco di scegliere qualcosa per cui ringraziare e alla fine di ogni settimana scrivo su un foglio quale è stato il dono più bello, così da avere alla fine dell’anno un “salvadonaio” di una cinquantina di “presenti” che hanno reso unico l’anno “passato”. Volevo partire da qui per “riprendere” la rubrica dopo la pausa estiva.

La “ripresa” è ben diversa dalla “ripetizione”: riprendere è continuare a compiere e non reiterare. Il ripetere fa scivolare nelle sabbie mobili dell’inerzia, quando si va avanti con la sola energia che resta quando la creatività si esaurisce: il dovere, una prigione da cui si cerca poi di evadere in modi più o meno estrosi e disastrosi. Un lavoro, un matrimonio, uno sport… vissuti solo per dovere soffocano. E dove non c’è più creazione di novità ma solo ripetizione, non c’è gioia. Diverso è “riprendere”: si riprende un film che amiamo anche se lo abbiamo già visto, si riprende un tramonto anche se avevamo ammirato quello del giorno prima, si riprende un’amicizia quando si continua il discorso da dove lo si era lasciato settimane prima… Ciò che si riprende non si ripete, è vivo, ciò che si ripete non si riprende, è morto. E infatti “ripetente” è sinonimo di bocciato e “mi sono ripreso” di salute: facciamo una “ripresa” quando vogliamo immortalare qualcosa da non perdere. Ma che cosa ci fa essere grati per ciò che ritorna senza che sia “ripetuto” ma “ripreso”?

Gratitudine, grazioso, grazia, gratis vengono tutti da un’antica radice che indicava ciò che dà gioia, qualcosa che riceviamo senza essercelo aspettato, e per questo interpretato come dono divino. Atena interviene sovente per versare su Ulisse la charis, grazia, che lo rende bello e luminoso come un dio (ne rimane traccia nel nostro “carisma”). La grazia è questo: un dono elargito senza averlo chiesto o meritato, ma che inaugura in noi un modo di essere più vero, compiuto, luminoso. Una luce che non proviene solo da situazioni positive. Ricordo le parole di una cugina pochi mesi prima di morire, non la vedevo da tempo e, dopo averle raccontato del periodo difficile che attraversavo, lei, con gli occhi di chi vede oltre le apparenze, mi ha detto: “Sei ammaccato, è vero, ma sei molto più bello”. Avevo grazia.

La grazia quindi non riguarda solo ciò che è piacevole, il dono a volte può costar caro, eppure ci rende più autentici, compiuti, belli. Per me è stata una grazia scoprire la mia chiamata a insegnare da giovanissimo ma lo è stata anche grazie all’insufficienza nella mia prima interrogazione in greco, che è così diventato la mia passione. La grazia non è un cosmetico che nasconde le rughe, ma le fa vedere piene di luce.

Nel racconto evangelico, quando Maria riceve l’annuncio, il messaggero divino la chiama “piena di grazia”, ma trattandosi di un verbo si potrebbe tradurlo anche “fatta di grazia, riempita di dono”. La radice è sempre quella dell’omerico charis. Ne rimane traccia nel nostro “graziato” per chi scampa la morte o in “grazioso”, versione per lo più meridionale forse più sopportabile di “carino”. In italiano restano poche tracce della potenza salvifica e quotidiana di questo termine, e i “colpi di grazia” non danno la vita ma la morte. La grazia è invece la chiamata a una bellezza compiuta, che riscatta anche le ferite. A Maria veniva annunciata la possibilità di rimanere incinta in modo misterioso e quindi di essere considerata da tutti un’adultera. Sembra paradossale ma quella grazia, essere la madre di Dio, avrebbe comportato un’onta allora meritevole di lapidazione.

Per questo non dobbiamo confondere la grazia, il dono inatteso, con qualcosa di banalmente piacevole: è grazia ciò che ci fa avanzare, in modo inaspettato, nel cammino irripetibile che solo noi possiamo fare, anche se si tratta di soffrire. Nel recente film Barbie, la donna di plastica, perfetta e senza difetti, è terrorizzata dal cambiamento: non conosce la grazia dell’essere umani, del crescere, del compiersi. In sostanza teme di soffrire, e invece c’è grazia anche nel dolore, non per il dolore in sé, ma perché, a usarlo bene, contiene il passaggio (inteso sia come apertura, sia come aiuto per far strada più rapidamente) a una forma di vita più piena e bella. L’aragosta quando deve crescere si nasconde, si spoglia della scorza rigida, rimane in carne viva fino a che non si forma una nuova corazza. È un momento di paura, nudità, dolore, ma necessario alla sua vitalità.

Il giorno del mio matrimonio un’amica mi ha chiesto di riassumere in una sola parola il mio stato: “graziato”. Stavo ricevendo un dono inatteso, il dono dell’amore che mi ha raggiunto proprio quando mi sentivo a pezzi. Vorrei allora che questo primo ultimo banco dell’anno, sia una vera ripresa e vi invogliasse a fermare, magari su carta, la grazia che riceverete oggi, domani, dopodomani… fosse anche ruvida o piccolissima, perché in ogni grazia si nasconde una via di salvezza, di compimento, di gioia. Per riconoscere una grazia bisogna chiedersi se ci porta a diventare più veri, belli e compiuti. E magari queste righe, per chi è arrivato fin qui, saranno per due o tre la piccola grazia odierna.

Io vorrei imparare a tenere gli occhi sempre ben aperti per saper ricevere le mie grazie quotidiane, come afferma senza mezzi termini Cormac McCarthy nel suo ultimo romanzo, Il passeggero: “Nasciamo tutti dotati della facoltà di vedere il miracoloso. Non vederlo è una scelta”.

Corriere della Sera, 11 settembre 2023 – Link all’articolo e ai precedenti

9 risposte a “Ultimo banco 169. Graziato”

  1. Remigio ha detto:

    Grazie collega: come prima lectio annuale a scuola mi sembra ottima 🤝 Ti aspettiamo a Venezia il mese prossimo 👋🏼

  2. LAURA TRAVERSO ha detto:

    molto commovente! Rallegramenti

  3. Francesco ha detto:

    Ciao Alessandro, leggendo il tuo articolo mi è venuta in mente l’etimologia dei due verbi citati.
    Giocando un pò con le parole, direi di preferire ri-petere a ri-prendere.
    Il primo infatti indica un atteggiamento di domanda e di apertura reiterata all’infinito, mentre il secondo connota un comportamento incline ad appropriarsi di qualcosa o di qualcuno e quindi propenso alla chiusura.
    Ogni giorno, anch’io come te, chiedo (peto) di accorgermi della Grazia che mi viene messa davanti.
    Con un gruppetto di amici ripetiamo spesso: “Che la Madonna ci aiuti a testimoniare Cristo nella nostra giornata”.
    Un caro saluto e buon inizio d’anno!

  4. Barbara Beccia ha detto:

    Tu dai un senso a tante, infinite millesimali cose..
    Da oggi, trascrivero’ le mie grazie quotidiane.. E tu oggi sei una di queste!

  5. AMP ha detto:

    Dolce e riflessivo….incredibile uso della parola. Grazie Professore!

  6. Mari ha detto:

    Sono graziata dai sui scritti che mi fanno crescere come persona anche se non più giovane, e dai consigli di lettura che regala.
    Grazie Professore.

  7. Angela ha detto:

    Mi piacerebbe avere grazia, invece mi sento goffa e imbranata, forse dovuto alla mia bassa statura. Come mi piacerebbe riprendermi veramente dalla batosta dell’abbandono per una persona (tanto) più giovane (dopo 30 anni di matrimonio). Veramente perché invece devo far finta di essere forte. Perché tanto gli altri, parenti compresi, ci sono fin quando non hai bisogno. Oggi veramente la mia grazia sei tu, perché mi porti la speranza che anche nei periodi che si è a pezzi, può arrivare un raggio di sole.
    Buon cammino e buona vita!

  8. Salvan Federica ha detto:

    Grazie per raggiungre la grazia sempre di gratuità in ogni fase della vita.
    Vivere mi consente questo nella miriade di esperienze con stupore.
    Ti ho scritto una email in data 19 Settembre.

    Sarò coinvolta quanto posso da Resisti, sapendo resistere.
    Grazie, Federica

  9. Maria Cristina ha detto:

    Semplicemente… grata. Grazie Prof.

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