21 gennaio 2025

Ultimo banco 229. L’umano è di destra o di sinistra?

La riforma dei programmi nella scuola elementare e media di cui si è parlato la scorsa settimana è stata subito cannibalizzata dalla semplificazione binaria: che cosa è di destra o di sinistra? La Bibbia, la storia dell’Occidente, la musica, l’epica, il latino?

Quando saremo meno ostaggi di questo moralismo ideologico che impedisce di capire che cosa serve in un luogo, la scuola, il cui scopo è mettere i nuovi arrivati in condizione di coltivare autonomamente la vita e cercare la verità, invece di renderli preda del pensiero non pensato e dominante, che il filosofo Bacone chiamava già secoli fa idoli della conoscenza, illusioni ideologiche? Lo scopo della cultura non è fare campagna elettorale, ma diminuire lo spazio della paura e dell’ignoranza per conquistarlo alla libertà e al coraggio della verità.

La domanda non è se il latino sia proprio di una formazione conservatrice o progressista, ma se serva a liberarsi da falsi automatismi del pensiero, dalla incapacità di leggere se stessi e la realtà, dalla difficoltà di attingere alla sorgente inesauribile di vita e di bene comune che è la propria unicità, perché “ciò che è vivo non ha copie. Due persone, due arbusti di rosa canina, non possono essere uguali… E dove la violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la vita si spegne” (V.Grossman, Vita e Destino).

L’umano nell’uomo non è a destra né a sinistra. È oltre. Dove?

Tra i regali che mia nipote settenne ha chiesto a Natale è apparsa una scacchiera. Mi sono stupito, io alla sua età non l’avrei mai chiesta, ma poi ho scoperto che nella sua scuola dedicano tempo curricolare agli scacchi, come allenamento alla riflessione e al pensiero logico e strategico. Un gioco antico come gli scacchi non è di sicuro di destra o di sinistra, è gioia di stare al mondo e una bambina lo sente. Quella scacchiera è “scuola”: un’intercapedine tra io e pressione mondana (tutti fan così), un luogo in cui l’anima respira tanto da avvertire subito se in quello che tutti fanno manca l’aria che serve alla propria unicità.

La scacchiera mi ha ricordato che all’inizio di 1984 di Orwell, la ribellione del protagonista, Winston, al controllo psico-politico del Grande Fratello comincia da un quaderno comprato di nascosto: “un quaderno di rara bellezza, con la carta liscia e vellutata, di un tipo che non si produceva da almeno quarant’anni. Era entrato di soppiatto nella bottega e lo aveva comprato. Non sapeva neanche per quale motivo particolare lo desiderasse tanto. Se l’era portato a casa con un certo senso di colpa: anche se non vi era scritto niente, era un oggetto compromettente. Ciò che ora stava per fare era iniziare un diario, un atto che, se lo avessero scoperto, avrebbero punito con la morte o, nella migliore delle ipotesi, con venticinque anni di lavori forzati”. Winston non sa più scrivere a mano e ricominciare lo risveglia: “Intinse la penna nell’inchiostro, poi ebbe un attimo di esitazione. Tremava fin nelle viscere. Segnare quella carta era un atto definitivo, cruciale”. Quel diario scritto a mano è l’inizio della sua liberazione, e comincia a ricordare, capire, vedere, agire, anche a costo di perdere la vita. Per affrancarsi dal controllo odierno, in cui la psico-politica è l’algoritmo di profilazione (il capitalismo della sorveglianza operato da aziende che, in cambio di servizi apparentemente gratuiti, ci schedano per vendere dati che servono a orientare i nostri consumi), bisogna tornare al diario scritto a mano. Per questo, ispirato non da romanticherie ma dall’osservatorio di 25 anni di insegnamento, propongo di aggiungere alla riforma la cura della scrittura manuale per tutto il percorso scolastico, istituendo un’ora di “calligrafia”, in cui il bello (calli-) riguarda forma e contenuto come un tutt’uno. Il motivo (che la cultura orientale mostra da secoli) è scientificamente accertato: scrivere a mano, per un essere corporeo, è un gesto più efficace della digitazione o del solo input visivo (quanti schermi sono entrati nelle classi in questi anni a scapito delle penne). Un recente studio, di cui ha dato conto il Corriere,ha confrontato i risultati di due gruppi di undicenni: alcuni dovevano imparare delle parole scrivendole a mano, altri tramite lettura visiva, per poi riconoscerle e spiegarle. Il primo gruppo ha avuto risultati nettamente migliori: accuratezza, risposte corrette e rapide. La scrittura manuale infatti, coinvolgendo il corpo in modo più completo e lento (che poi lento non è), consente di prestare attenzione ai dettagli, cioè la memoria a lungo termine che definisce chi siamo. Che un’attenzione multisensoriale lenta renda più attenti è l’acqua calda, ma noi crediamo che l’acqua calda siano rapidità e schermi. Eppure la difficoltà dei ragazzi delle superiori nello scrivere a mano (grafie illeggibili, corsivo zoppicante, spazi non rispettati) va di pari passo con la debolezza di attenzione, ragionamento e presa sulla realtà, tanto che con quelli del primo anno è necessario un lavoro dedicato proprio alla (calli-)grafia. Mi piacerebbe un Maestro di Calligrafia che, per l’intero percorso scolastico, alleni l’intelligenza attraverso il gesto accurato applicandolo alla scrittura diaristica che si evolverà di anno in anno in modi diversi: 13 anni di diario ben (forma e contenuto sono tutt’uno) scritto sono un allenamento formidabile alla ricerca della verità e una difesa dalle menzogne dell’informazione, basti pensare ai Diari passati alla storia e che ancora leggiamo per la verità che hanno conservato in un mondo che pensava e faceva tutt’altro.

Quello di Winston mi porta a un altro gesto liberatorio dal controllo delle masse, in un altro romanzo profetico pubblicato nel 1953, quattro anni dopo quello di Orwell. In Fahrenheit 451 di Ray Bradbury infatti i libri vengono bruciati perché la gente si abbandoni totalmente all’intrattenimento di massa (nelle case non ci sono scaffali ma schermi giganti e media interattivi). La decadenza della libertà non è cominciata col bruciare i libri, ma con il disinteresse per la lettura. Altro che distopia: in tema di lettura in Italia è più distopico l’ultimo rapporto Censis. Montag, il potagonista del romanzo, troverà un gruppo di cittadini che hanno inventato un modo di resistere, imparare i libri a memoria tanto da identificarsi con essi: “Voglio presentarti Jonathan Swift, autore di quel malvagio libro politico, I Viaggi di Gulliver! E quest’altro è Charles Darwin, e questo è Schopenhauer, e questo è Einstein. Qui ci siamo tutti, Montag: Aristofane, Gandhi, Buddha, Confucio. Siamo anche Matteo, Marco, Luca e Giovanni… Trasmetteremo i libri ai nostri figli, oralmente, e lasceremo loro il compito di fare altrettanto coi loro discendenti. Naturalmente molte cose andranno perdute con questo sistema. Ma non puoi obbligare la gente ad ascoltare, se non vuole. Dovrà tuttavia venire a noi a suo tempo, chiedendosi che cosa esattamente sia accaduto e perché il mondo sia scoppiato in aria sotto il suo governo”. Che cosa fa scoppiare il mondo e che cosa invece lo salva? È una idea, anche questa frutto di questi anni di esperienza, per la lettura a scuola: non fare i libri “a brani” ma incarnarli. E allora ben vengano i libri-mondo, impegnativi e necessari, come la Bibbia, l’Odissea, l’Eneide… e non per ragioni identitarie ma perché offrono le parole per dire tutto, per definire noi stessi e quindi raccontarci agli altri. Senza parole precise siamo in balia di Babele: il potere e la guerra. Per questo propongo ore di lettura per tutto il percorso scolastico, con persone capaci di interpretare i libri ad alta voce, Maestri di Lettura con qualifica drammaturgica. Due ore a settimana, ad alta voce, per 13 anni di scuola (750 ore di lettura per 30 pagine l’ora) regalerebbero ai nostri studenti quasi 25.000 pagine (50 libri da 500 pagine, 3 libri essenziali all’anno), senza interrogazioni, solo ascolto, qualche brano da imparare a memoria e domande dei ragazzi, perché i testi non siano pre-testi, ma messa a fuoco delle parole meglio dette sul mondo.

Grazie a questa “scuola di lettura e di scrittura” forse avremmo più studenti che, come una bambina con la scacchiera, preferirebbero la libertà alle dipendenze, la verità alla sottomissione. E questo non è di destra, né di sinistra. È oltre: è umano.

Corriere della Sera, 20 gennaio 2025 – Link all’articolo e ai precedenti

4 risposte a “Ultimo banco 229. L’umano è di destra o di sinistra?”

  1. Enrico Pavanello ha detto:

    È proprio vero, Alessandro. In questi giorni a Venezia una trentina di studenti e studentesse liceali sta accompagnando studenti e adulti nel Paradiso di Dante attraverso la mostra di Nembrini e Dell’Otto che conosci benissimo. Sono stupito perché è il loro racconto, un’esperienza che resta come giudizio e paragone per la vita. Grazie

  2. Eleonora Karsan ha detto:

    Carissimo Prof. 2.0,

    Carissimo Alessandro D’Avenia,

    leggo ogni lunedì con grande attesa e interesse la tua pagina, sempre ricca di spunti di riflessione. Devo dire che l’articolo di oggi è particolarmente illuminante.

    Sarà per il recente annuncio sulla riforma scolastica lanciato dal ministro Valditara, o per la chiara deriva educativa che, purtroppo, sta travolgendo i nostri ragazzi a tutti i livelli, ma quanto hai scritto oggi centra pienamente il cuore del problema.

    Non si tratta di una questione politica, né di destra né di sinistra: il punto è mettersi in ascolto e comprendere che i bambini di oggi, futuri adulti, vivono in un contesto molto diverso rispetto a quello dei loro genitori. Un contesto in cui, purtroppo, molte esperienze formative fondamentali sono venute meno.

    Lo dico con amarezza e da mamma, poi non così vecchia, che affronta ogni giorno, insieme ai propri figli, i limiti della scuola moderna. Qualche tempo fa avevo già affrontato questo tema, ispirandomi a una lettera di un bambino pubblicata sul Corriere della Sera una domenica di fine settembre.

    Il vero problema è che la scuola ha perso di vista l’importanza di alcune attività che per generazioni hanno accompagnato e arricchito la loro crescita. Penso, ad esempio, alla scrittura a mano e alla lettura ad alta voce. È inutile coinvolgere le neomamme in iniziative come Nati per Leggere – già impegnate a destreggiarsi tra pannolini, biberon e notti insonni – se poi, quando i bambini arrivano a scuola, la lettura diventa, spesso, un’attività marginale passando in secondo piano, surclassata da mappe concettuali e da trascrizioni meccaniche di pagine di libri di testo nei quaderni.

    E vogliamo parlare del corsivo? Questo è un tema che mi sta particolarmente a cuore e che, personalmente, considero una ferita aperta. Se un bambino non impara a utilizzarlo correttamente fin da subito, spesso si ritrova costretto, ma dico anche “ghetizzato”, a scrivere in stampatello maiuscolo, semplicemente per “tenere il passo” con la classe.

    E qui arrivo al punto centrale. Non è un caso che ne parli: questa scelta educativa, adottata dagli insegnanti di mio figlio, mi sembra una rinuncia a stimolare veramente i ragazzi. Come mamma, non ho accettato questa scorciatoia per Alberto (ora in quinta elementare) e, dopo essermi informata, ho deciso di affidarlo a un’insegnante di grafologia. Da circa un anno, ogni sabato mattina, dopo una lunga settimana di scuola, Alberto affronta con impegno questo percorso per recuperare ciò che gli sarebbe dovuto.

    Il cammino è faticoso e ci sono momenti di difficoltà: il bambino si chiede, giustamente, quale sia il senso di tanto impegno se a scuola le maestre si ostinano a fargli usare lo stampatello maiuscolo. Eppure ci sono anche momenti di soddisfazione e gratificazione, quando finalmente riesce a scrivere con una calligrafia elegante, a tempo di metronomo, che scandisce il ritmo dei suoi progressi.

    Non voglio assolutamente presentarmi come un’esperta di questa materia, ma credo che quanto hai scritto oggi dovrebbe far riflettere tutti coloro che sono coinvolti nella costruzione del futuro dei nostri figli, a prescindere dal loro orientamento politico. Dobbiamo smettere di concentrarci sui cambiamenti delle valutazioni ad ogni cambio di governo e piuttosto dedicarci a momenti formativi come la scrittura di un diario, che permette ai ragazzi di esprimere e comprendere le proprie emozioni, o come l’apprendimento della scrittura a mano, che incarna tradizione e cultura. Stimoliamo la lettura, affinché i ragazzi possano diventare individui liberi di pensare e agire.

    Concludo questa riflessione con la convinzione che ciò che possiamo realmente offrire noi adulti con la nostra esperienza alle nuove generazioni è un dono prezioso.

    Dobbiamo insegnare loro a distinguere ciò che è davvero utile dal rumore di fondo che troppo spesso ci/li circonda. Solo così potranno realmente crescere consapevoli e responsabili del loro cammino, un cammino che, basato su un bagaglio di tradizioni, valori e conoscenze, li porterà a vivere sfruttando ciò che il progresso metterà loro a disposizione, ma sempre con la libertà di scegliere come costruire la propria identità e dignità per affrontare il mondo che li attende.

    Con fiducia e stima per l’impegno con cui dai voce a questi pensieri

    ti invio un caro saluto
    Eleonora

    • Prof 2.0 ha detto:

      Gentilissima Eleonora,
      grazie per le tue parole e per quello che racconti. Spero che in tanti possano leggerlo, a ulteriore conferma che il problema non sono i ragazzi o i bambini, ma che cosa noi adulti decidiamo essere “umano”.

  3. Federica Salvan ha detto:

    Buongiorno, sono Federica Salvan, assidua lettrice dei suoi interventi e commentatrice, nel sui piccolo.
    Ritorno dopo un po’ di assenza in una parte di Gennaio.
    Certamente, l’ apprendimento si nutre non di meccanicismo mnemonico, ma di una calligrafia, bella e chiara grafia , nel segno per render il testo attraente,anche nel contenuto.
    E certamente, la lettura, sortisce effetto di crescita compiuta in una immedesimazione di sé nelle storie.
    Riforme, come queste, calate dall’ alto, avvalendosi di cosiddetti esperti, di cui non si dovute la preparazione, suonano come dichiarazioni eclatanti per fare grandeggiare la scuola.
    Quest’ ultima chiede invece, educazione che pone a fondamento la persona con le sue domande, in modo critico.
    Altrimenti, si paventa un perenne controllo per apparire con iniziative roboanti, ma non educative.
    Propenso, fortemente, per una educazione dove io,tu che dialogano con curiosità, desiderio di scoperta, siano i protagonisti.
    Federica che tenta l’ avvetura di educare cin la Filosofia.

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